Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14052 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 07/07/2020), n.14052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Poalo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26155 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Beatrice Fimiani

e Carlo Romano per procura speciale in calce al ricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, via Agostino Depretis, n. 86,

presso lo studio legale e tributaria CMS Adonnino Ascoli &

Cavasola Scamoni;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate,

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, n. 425/1/2010, depositata in data 14 settembre

2010;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari;

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a B.A., titolare della ditta individuale esercente attività di commercio di macchinari agricoli, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva contestato la deduzione di costi non inerenti, relativi a due fatture intestate ad altra ditta, nonchè di costi non documentati in quanto relativi a fatture emesse da azienda partecipata dallo stesso contribuente e prive della descrizione dei lavori eseguiti; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: il motivo di carenza di motivazione dell’atto impugnato doveva essere considerato inammissibile, in quanto proposto per la prima volta in grado di appello; le schede di lavorazione prodotte dal contribuente non avevano alcun formale riferimento alla relativa fattura e non documentavano sufficientemente le prestazioni di cui alle fatture contestate;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso B.A. affidato a due motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato di costituzione con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, per avere erroneamente dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale il contribuente aveva prospettato il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento;

il motivo è infondato;

al riguardo, va osservato che, secondo questa Corte (Cass. Civ., 25 ottobre 2017, n. 25259) il principio secondo cui l’interpretazione di qualsiasi domanda, eccezione o deduzione di parte dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si denunci un vizio che sia riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato oppure del principio del tantum devolutum quantum appellatum, trattandosi, in tale caso, della denuncia di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali;

nella fattispecie, il passaggio del ricorso di primo grado, cui parte ricorrente fa riferimento nel presente motivo, attiene non tanto ad un profilo di difetto di motivazione dell’atto impugnato, quanto ad una questione di inidoneità della prova presuntiva in quanto non fondata su fatti certi; inoltre, assolutamente generico e non univocamente finalizzato ad una specifica prospettazione del vizio di motivazione è il successivo passaggio in cui parte ricorrente si è limitata ad evidenziare che l’accertamento deve indicare anche le ragioni giuridiche e che nel caso di specie il suddetto atto impositivo si era limitato a fare generico richiamo alla normativa in materia di imposizione diretta ed Iva, profilo che, comunque, di per sè, non costituisce ragione di illegittimità dell’atto impositivo ove sia possibile ricavare dal contesto dell’atto la ragione della pretesa; tali passaggi del ricorso introduttivo, in mancanza di altri elementi da cui evincere chiaramente che la parte intendesse prospettare ragioni di ricorso specificamente diretti a contrastare la legittimità dell’atto anche sotto il profilo motivazionale, non possono condurre ad una diversa valutazione rispetto a quella compiuta dal giudice del gravame;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

il motivo è inammissibile;

al riguardo, va premesso (come già evidenziato da questa Corte: Cass. civ., 6 ottobre 2017, n. 23384; Cass. civ., 14 novembre 2018 n. 29290) che la Corte di giustizia (sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliarios e Turisticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’iva, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonchè della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA;

la Corte di Giustizia, ha inoltre, aggiunto, che l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale;

in questo ambito, incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, di conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta;

nel caso in esame, la genericità delle fatture accertata dalla Commissione tributaria regionale (prive della descrizione dei lavori eseguiti) non è stata supplita, a giudizio della Commissione, da ulteriori elementi che, in combinazione con la fattura, evidenziassero quali prestazioni erano state effettivamente rese;

il giudice del gravame ha espresso la propria valutazione circa gli elementi di prova documentale forniti dalla ricorrente, in particolare ha preso in considerazione le schede di lavorazione che, secondo l’assunto della medesima ricorrente, avrebbero dovuto provare l’effettuazione dei lavori di cui alle fatture, ed ha ritenuto che le stesse non documentavano sufficientemente le prestazioni di cui alle suddette fatture;

rispetto a tale valutazione, con il presente motivo di ricorso si censura la sentenza per non avere tenuto conto del fatto che era stata, invero, data ampia prova nei gradi di merito del presente giudizio, sia con esibizione delle copie delle fatture in cui si dava atto che si trattava di lavorazioni eseguite sulle macchine agricole del sig. B. che delle schede di lavorazione nelle quali di precisavano in modo dettagliato le lavorazioni effettuate;

si tratta, in realtà, di ragioni di doglianza prive di specificità e che, comunque, attengono alla valutazione di merito compiuta dal giudice del gravame in ordine alla documentazione prodotta dalla ricorrente, non sindacabile in questa sede;

irrilevante è la questione della produzione delle schede di lavorazione solo in grado di appello, in quanto il giudice del gravame, dopo avere evidenziato tale circostanza, ha comunque compiuto una valutazione circa la idoneità probatoria delle stesse;

il successivo passaggio motivazionale della sentenza, laddove si fa riferimento alla non corretta tenuta delle scritture contabili, oltre che non rilevante, in quanto il punto centrale dell’argomento motivazionale della sentenza ha riguardato la non idoneità probatoria della documentazione prodotta dalla ricorrente, va, comunque ricollegato, differentemente da quanto sostenuto dalla ricorrente, alla mancata specifica descrizione nelle fatture delle prestazioni per le quali le stesse erano state emesse;

nè può ragionarsi in termini di insufficienza motivazionale sotto il profilo della sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni sulle quali l’amministrazione finanziaria aveva fondato la pretesa;

il giudice del gravame, invero, ha tenuto conto della ragione fondante la pretesa dell’amministrazione finanziaria, cioè del fatto che i costi dedotti erano relativi a fatture emesse da azienda partecipata dal B. e prive della descrizione dei lavori eseguiti; dinanzi a tale elemento di incertezza delle effettività delle prestazioni ricevute dalla ricorrente, configurata dal giudice del gravame nel mancato rispetto delle regole fiscali di una corretta tenuta delle scritture contabili, sono state ritenute non idonee le prove documentali prodotte dalla ricorrente, non consentendo le stesse di accertare con sufficienza le prestazioni di cui alle fatture; si tratta, dunque, di una motivazione nella quale sono stati presi in considerazione tutti gli elementi fattuali di riferimento e si è pervenuti ad un accertamento in fatto circa la non rilevanza della prova contraria dedotta dalla ricorrente;

risulta, dunque, compiuta una specifica valutazione delle idoneità probatoria degli elementi forniti dalle parti e, sotto tale profilo, è stato riconosciuta prevalente idoneità alla circostanza che le fatture erano del tutto prive di specifica indicazione;

rispetto a tale valutazione, parte ricorrente si limita a contestare genericamente tale accertamento, prospettando, in sostanza, una nuova valutazione di merito, non consentita in questo giudizio;

in conclusione, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile, con conseguente rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimata.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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