Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1405 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26490-2017 proposto da:

A.L., B.G., BA.GI., tutti nella

loro qualità di eredi di b.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO N. 19, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LIPERA, rappresentati e difesi dall’avvocato

NICOLETTA CERVIA;

– ricorrenti –

contro

NUOVO PI. S.P.A., (GE ENERGY OIL & GAS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OVIDIO n. 32, presso lo studio dell’avvocato DEBORA

MILILLI, rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTO CALABRESI,

LAPO GUADALUPI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 435/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/12/2016 R.G.N. 334/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 435 depositata il 9.12.2016 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Massa, che, pur avendo accolto la domanda proposta da A.L., G. e Ba.Gi., eredi di b.g., nei confronti di NUOVO PI. S.p.A., datrice di lavoro del de cuius, per il risarcimento del danno biologico derivante dall’esposizione ad amianto ed ad altre sostanze morbigene sul luogo di lavoro, aveva respinto la domanda di risarcimento del danno morale soggettivo e del danno esistenziale;

2. la Corte territoriale rilevava, quanto al danno morale, che, pur avendo una sua specificità come voce del danno non patrimoniale, era soggetto alle regole generali di allegazione e prova, e che il pregiudizio doveva essere obiettivamente riconoscibile come conseguenza dell’illecito, non essendo sufficiente la deduzione di generici stati d’animo (stress, disagio, angoscia, ricorrenti per altri casi analoghi) del tutto disancorati da elementi obiettivi e alla stregua dei quali poter inferire un concreto peggioramento della vita interiore, affettiva e di relazione; aggiungeva che non poteva ritenersi dimostrato il nesso tra le ulteriori patologie del fibrotorace e della broncopneumopatia cronica ostruttiva posto che il c.t.u., in sede di chiarimenti a seguito di rilievi sollevati dal c.t.p., aveva affermato che, riguardo alla prima, mancava la soddisfazione dei criteri “cronologico”, “di continuità fenomenica” e di “esclusione di altre cause” e, riguardo alla seconda, andava ricollegata a “diversa scaturigine causale”;

3. avverso la detta sentenza gli eredi hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, e la società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3,32 Cost., artt. 2059,2087,2727 c.c., D.P.R. n. 27 del 2009, art. 5, D.P.R. n. 181 del 2009, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo, la Corte territoriale, escluso la sussistenza del danno morale e/o esistenziale ritenendo non applicabile il ricorso alle presunzioni, anche semplici, nonostante deduzione, sin dal primo grado, di puntuali e precise allegazioni (i ricorrenti, omettono la trascrizione delle allegazioni contenute nel ricorso originario e trascrivono alcuni capitoli di, prova testimoniale del ricorso originario) nonchè consulenza tecnica ambientale che ha riconosciuto la nocività dell’ambiente in cui operavano tutti i lavoratori, compreso il B.;

2. con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2087,2059,2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo, la Corte territoriale, integralmente recepito le deduzioni della c.t.u. medico-legale, senza prendere posizione sulle contestazioni puntuali espresse dal lavoratore attraverso il c.t.p. relative alle ulteriori patologie del fibrotorace e della broncopneumopatia cronica ostruttiva-BPCO, pervenendo alla genesi professionale da esposizione da amianto solamente per le placche le uniche, trascurando la documentazione versata in atti (quale gli esiti di prove funzionali respiratorie eseguite nel (OMISSIS)), il criterio del “più probabile che non” e attribuendo efficacia esclusiva al fumo nell’insorgenza della BPCO; si chiede la cassazione con rinvio della sentenza impugnata per effettuare nuova c.t.u.;

3. con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2087,2059,2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo, la Corte territoriale, travisato le risultanze processuali, provate e documentate attraverso le allegazioni processuali stesse, per cui l’attestazione dell’esistenza dello status psicologico (deduzione contenuta nel ricorso di primo grado) risulta inconciliabile con la decisione del giudice che ha ritenuto nuova la domanda;

4. il ricorso va rigettato;

5. quanto al primo motivo, la Corte territoriale ha ritenuto la mancanza di prova del danno morale e del danno esistenziale per la mancata allegazione di circostanze obiettive, dotate di un sufficiente grado di specificità, sintomatiche di tale danno. Tale ratio decidendi è immune dalle censure mosse in ricorso.

6. le questioni poste con il motivo sono state già esaminate da questa Corte nella pronuncia n. 27324 del 2017 ed in epoca più recente dalle ordinanze nn. 32663, 31784, 31785, 31786, 31787, 31788, 31789, 31789, 31790 e 31791 del 2018 e dalle sentenze numeri 4615, 4616, 4673, 5747, 6260, 6339, 30641 del 2019, che hanno respinto analoghi ricorsi proposti da altri lavoratori della società odierna controricorrente, ai cui principi in questa sede si intende assicurare continuità;

7. giova premettere che questa Corte nell’arresto a Sezioni Unite n. 26972 del 2008, nel definire la consistenza e le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale, dopo avere chiarito che, al di fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge, il danno non patrimoniale è risarcibile unicamente se derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, ha respinto tanto la tesi che identifica il danno nella lesione stessa del diritto (danno – evento) che la variante costituta dalla affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa; ha osservato che entrambe le tesi snaturerebbero la funzione del risarcimento in quella di una pena privata per un comportamento lesivo;

8. le Sezioni Unite hanno, dunque, precisato che mentre per il danno biologico l’accertamento medico legale è il mezzo di prova al quale comunemente si ricorre, per il pregiudizio non-biologico, relativo a beni immateriali, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo; a tale rilievo non va disgiunto, comunque, il principio che “il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti checonsentano di risalire al fatto ignoto” (punto 4.10 sent. cit.);

9. la Corte territoriale, dunque, non ha negato la rilevanza delle presunzioni ai fini della prova del danno non-biologico ma ha affermato che nella concreta fattispecie di causa non erano stati allegati elementi obiettivi, dotati di un sufficiente grado di specificità, sulla base dei quali risalire alla sofferenza ed al cambiamento delle abitudini di vita derivati dalla consapevolezza della esposizione lavorativa ad agenti nocivi.

10. appare, pertanto, corretto in punto di diritto il ragionamento della Corte di merito, che ha evidenziato come la mancata allegazione di elementi obiettivi specifici impediva di inferire la prova per presunzioni; come siano stati gli stessi ricorrenti a dedurre che i disagi e le sofferenze non si erano tradotti in alcuna malattia psichica (circostanza che avrebbero avuto autonoma valenza quale danno risarcibile per violazione dell’art. 32 Cost., piuttosto che rilievo indiziante);

11. il complessivo iter argomentativo appare, dunque, corretto in punto di diritto e chiaramente fondato non sulla inammissibilità della prova per presunzioni ma sulla genericità delle allegazioni indizianti.

12. tanto premesso in diritto, il giudizio di fatto circa la genericità delle allegazioni e dei capitoli di prova e circa la loro inidoneità al raggiungimento della prova non è impugnabile in questa sede di legittimità con la deduzione del vizio di violazione di norme di diritto ma unicamente con la denunzia di un vizio di motivazione; tuttavia nella fattispecie di causa il giudizio di genericità delle allegazioni resta non più contestabile, per la preclusione alla deducibilità del vizio di motivazione di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, trattandosi di giudizio conformemente reso nei due gradi di merito; a ciò si aggiunga che non risulta che gli attuali ricorrenti avessero reiterato in appello la richiesta della prova testimoniale non ammessa nel primo grado;

13. il secondo motivo, concernente i lamentati errori e le lacune della consulenza tecnica d’ufficio, non è fondato posto che la c.t.u. è suscettibile di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza, quando siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni scientificamente errate e non già quando si prospettino semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e la valutazione della parte (Cass. nn. 3307 del 2012, Cass. n. 22707 del 2010, Cass. n. 569 del 2011);

14. costituisce orientamento costante di questa Corte quello secondo il quale nel giudizio in materia d’invalidità, il vizio – denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (Cfr. per tutte Cass. n. 23990 del 2014; Cass. n. 1652 del 2012);

15. nel quadro del suddetto enunciato si è, altresì, precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni perchè tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudicè di appello bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; e tale profilo non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (Cfr. ex plurimis, Cass. n. 14374 del 2008, Cass. n. 7341 del 2004 e Cass. n. 15796 del 2004);

16. la Corte territoriale si è conformata ai principi innanzi detti e la sentenza impugnata, con motivazione logicamente coerente e scientificamente fondata sulla documentazione acquisita (motivazione non più contestabile, per la preclusione alla deducibilità del vizio di motivazione di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5), fornisce precise risposte ai rilievi sollevati dal consulente tecnico di parte in ordine alla carenza di nesso causale tra la nocività dell’ambiente e le patologie del fibrotorace e della broncopneumopatia cronica ostruttiva;

17. anche la censura concernente il travisamento delle risultanze processuali, con particolare riguardo al rilievo di novità delle allegazioni di fatto contenute nell’atto di appello del lavoratore in punto di danno non è fondata, avendo la Corte correttamente evidenziato in punto di diritto che nell’atto di appello erano stati allegati fatti (la sottoposizione del lavoratore a numerosi esami clinici e visite mediche), che non erano stati allegati nel ricorso introduttivo (e i ricorrenti non hanno trascritto alcun passo del ricorso introduttivo del giudizio ove fossero illustrate tali specifiche circostanze), con il conseguente verificarsi delle preclusioni istruttorie;

18. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;

19. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per,compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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