Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14044 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14044 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 21968-2007 proposto da:
MINISTERO ECONOMIA FINANZE,

in persona del Ministro

in carica pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
per legge;
– ricorrentE –

2013

contro

752

NEGRIN

ALDO,

ROVEGLIA

FRANCO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE CARSO 63, presso lo studio
dell’avvocato GARUTI GIANFRANCO, che li rappresenta e

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Data pubblicazione: 04/06/2013

difende giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrenti

532/2007 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 05/02/2007 R.G.N. 9749/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

AMENDOLA;
udito l’Avvocato STEFANO VARONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

udienza del 03/04/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 18 novembre 1998 Aldo Negrin e Franco Roveglia
convennero innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Tesoro chiedendo che
venissero riliquidate le somme che l’Amministrazione aveva loro erogato con decreto
ministeriale del 1995, a titolo di indennizzo per i beni perduti in Etiopia, sostenendone
l’insufficienza.

Proposto gravame dal soccombente, la Corte d’appello lo ha respinto.
Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione l’Avvocatura dello Stato, formulando
due motivi.
Resistono con controricorso Aldo Negrin e Franco Roveglia.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso.
E invero, a norma del comb. disp. degli artt. 365 e 370 cod. proc. civ. il controricorso, al
pari del ricorso, deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo,
munito di procura speciale.
Ora, tale procura, non solo deve essere conferita in epoca anteriore alla notificazione del
ricorso (o del controricorso), ma deve espressamente investire il patrocinatore del potere
di proporre impugnazione per cassazione contro un provvedimento determinato o di
resistere a una certa impugnazione. Ne deriva che gli atti di conferimento della procura
di cui al secondo comma dell’art. 83 cod. proc. civ. devono fare preciso riferimento agli
elementi essenziali del giudizio, quali le parti e la sentenza impugnata.
Nella fattispecie la procura speciale manca del tutto, essendosi l’avvocato Gianfranco
Garuti costituito in virtù di procura a margine dell’atto di citazione nel giudkio di primo grado.
Il controricorso è pertanto inammissibile (confr. Cass. civ. 27 giugno 2007, n. 14843;
Cass. civ. 26 giugno 2007, n. 14749).

2 Passando ad esaminare la proposta impugnazione, con il primo motivo l’impugnante
denuncia violazione degli artt. 1224 e 1219 cod. civ., ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito secondo cui il coefficiente di
rivalutazione previsto dalla legge h. 135 del 1985 — certamente comprensivo di interessi e
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Con sentenza del 19 giugno 2003 . il giudice adito accolse la domanda.

rivalutazione monetaria — non precludeva affatto il potere del giudice di liquidare, in
presenza di un colpevole ritardo dell’amministrazione nell’adempimento, gli interessi di
mora e l’ulteriore danno ex art. 1224 cod. civ. per il periodo successivo all’entrata in
vigore della legge n. 135 del 1985. Correttamente, pertanto, gli stessi erano stati
riconosciuti dal giudice di prime cure, non avendo l’amministrazione dimostrato che
l’inadempimento e il ritardo erano dipesi da impossibilità della prestazione derivante da

nella liquidazione degli indennizzi.

3 Di tale valutazione si duole dunque la difesa erariale che, nel primo motivo di ricorso,
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1219 cod. civ. Segnatamente,
secondo l’impugnante, la liquidazione del danno da ritardo, in misura pari all’ammontare
degli interessi legali sul valore dei beni perduti e dell’avviamento commerciale, rivalutato
anno per anno in base ai coefficienti ISTAT dei prezzi al consumo, con decorrenza dal
16 dicembre 1992 al saldo, sulle somme dovute a titolo di indennizzo per la perdita dei
beni materiali, e dal 6 giugno 1994 al saldo, sulle somme dovute a titolo di indennizzo
per la perdita dell’avviamento commerciale, sarebbe illogica e illegittima. Deduce al
riguardo che la colpa da ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria è
ravvisabile nel solo caso in cui detta somma sia liquida ed esigibile; che il riconoscimento
dei conseguenti danni è subordinato alla messa in mora del debitore, ex art. 1219 cod.
civ.; che, nella fattispecie, la liquidazione era stata frutto di un complesso procedimento
amministrativo, connotato da innegabile discrezionalità; che il credito in discorso aveva,
in ogni caso, natura di credito per indennizzo, non già di credito risarcitorio, con
conseguente inapplicabilità dell’istituto della mora ex re di cui all’art. 1219, secondo
comma, cod. civ.; che, al più, la rivalutazione poteva essere riconosciuta dalla data di
notifica dell’atto di citazione, posto che altrimenti si sanzionerebbe la Pubblica
Amministrazione per avere adottato in ritardo un provvedimento.
Chiede pertanto alla Corte di dire se sia o meno vero “che gli artt. 1224 e 1219 cod. civ.
possono essere applicati solo nel caso in cui il creditore vanti nei confronti del debitore
un credito liquido ed esigibile e, dunque, nell’ipotesi di credito verso
un’Amministrazione dello Stato, che dette norme non trovano applicazione nel caso in
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causa ad essa non imputabile ed essendo anzi accertata la colpa della debitrice appellante

cui l’Amministrazione non abbia ancora emanato il decreto ministeriale di liquidazione
relativo al credito vantato dal cittadino”.
4 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.
In tema di indennizzi a cittadini e imprese italiane per beni perduti in territori già soggetti
alla sovranità italiana e all’estero, questa Corte — premesso che la legge n. 135 del 1985,
art. 4, nel sostituire la legge. n. 16 del 1980, art. 5, e nel regolare l’intera materia

perdite avvenute dopo il primo gennaio 1950 le valutazioni vanno eseguite secondo i
criteri già in vigore e moltiplicate per il coefficiente 1,90, in tal modo compensando
l’avente diritto della perdita conseguente alla progressiva erosione del valore della
moneta e comprendendo nell’importo così determinato il risarcimento da ritardato
adempimento, sia per la parte ragguagliata agli interessi moratori maturati alla stessa data,
sia per l’eventuale maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. — ha affermato,
occupandosi proprio della debenza degli interessi moratori e del maggior danno per il
periodo successivo alla data di entrata in vigore della legge n. 135 del 1985, che la
responsabilità dell’Amministrazione per ritardato adempimento è configurabile anche
prima dell’emanazione dei decreti ministeriali con i quali si conclude il procedimento di
determinazione dell’indennizzo (Cass. 1997/3070). Invero, secondo la giurisprudenza di
legittimità, la situazione giuridica azionata, relativa ad indennizzo spettante al privato per
la perdita di beni all’estero “ha consistenza di diritto soggettivo, onde sussiste a carico
della Pubblica Amministrazione una obbligazione che trova la sua fonte direttamente
nella legge, di fronte alla quale la stessa Pubblica Amministrazione è tenuta
all’adempimento con l’ordinaria diligenza ai sensi degli artt. 1176 c.c. e segg.”, essendo, in
generale, essa soggetta alla normativa comune in tema di obbligazioni pecuniarie e non
essendo ravvisabili margini di discrezionalità nell’agire al quale è obbligata.
Segnatamente l’assunto secondo cui la fattispecie costitutiva del diritto si
perfezionerebbe soltanto con l’emanazione dei decreti ministeriali che chiudono il
procedimento di determinazione, è stato ritenuto in contrasto con la normativa innanzi
menzionata, dalla quale emerge invece che il diritto nasce direttamente dalla legge, ove
sussistano le perdite che questa intende indennizzare, laddove la situazione giuridica
3

dell’indennizzo spettante alla data della sua entrata in vigore, ha stabilito che per le

azionata verrebbe ad esser degradata a mero interesse legittimo se la fattispecie
costitutiva si perfezionasse soltanto con l’emanazione del provvedimento amministrativo
di determinazione dell’indennizzo. In tale prospettiva è stato quindi affermato che, se è
vero che l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie della P.A. si realizza con
l’emissione del titolo di spesa (Cass., 23 maggio 1986, n. 3448), ciò attiene alla sola fase
dell’adempimento, mentre in quella precedente rimane fermo il potere del giudice

comportamento della P.A. sussista ritardo colpevole, con le relative conseguenze in tema
di mora. Dalla generale soggezione della Pubblica Amministrazione alla normativa
comune delle obbligazioni pecuniarie — in forza della quale gli interessi previsti dall’art.
1224 c.c. sono dovuti dal giorno della mora, salva la dimostrazione del maggior danno ai
sensi del comma 2 della medesima norma — si è quindi desunto che gravi sulla stessa
Amministrazione “l’onere di provare che il ritardo o l’inesattezza della prestazione siano
dipesi da causa ad essa non imputabile, a sensi dell’art. 1218 c.c.” (cfr. ancora Cass. civ.
1997/3070).
Ora, a tale orientamento, che il collegio condivide e in questa sede ribadisce, si è
uniformata la sentenza impugnata, che pertanto resiste alle critiche sollevate dal
Ministero ricorrente (confr. Cass. civ. 4 marzo 2011, n. 5212; Cass. civ. 11 settembre
2009, n. 19687; Cass. civ. 30 aprile 2008, n. 10912).

5 Quanto poi alle ulteriori doglianze, peraltro confusamente formulate, con le quali si
sostiene che gli accessori andavano, al più, riconosciuti dal momento della proposizione
della domanda giudiziale, esse sono inammissibili, per non essere state in alcun modo
riprese nel quesito di diritto. Questo risulta infatti incentrato, come è agevole cogliere
dalla sua lettura, esclusivamente sull’an della pretesa azionata, e cioè sulla inapplicabilità
degli artt. 1224 e 1219 cod. civ. in caso di credito vantato verso un’Amministrazione
dello Stato, nell’ipotesi in cui la stessa non abbia ancora emanato il decreto ministeriale
di liquidazione.

6 A ciò aggiungasi che le censure stesse sono generiche ed eccentriche rispetto alla ratio
decidendi del provvedimento impugnato, posto che ignorano lo specifico riferimento del
giudice di merito al “periodo successivo al 1992, per i beni materiali” e “alla domanda
4

ordinario di verificare, in applicazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, se nel

presentata il 6 giugno 1994, quanto al chiesto indennizzo per la perdita dell’avviamento”
e non precisano, quindi, perché tale decorrenza sarebbe errata.
7 Con il secondo mezzo l’impugnante denuncia vizi motivazionali in relazione
all’assunto che l’Amministrazione non avrebbe dato la prova che il ritardo o l’inesattezza
della prestazione erano dipesi da causa ad essa non imputabile.
8 II motivo è inammissibile per mancanza del momento di sintesi, omologo del quesito

rispetto alla mera illustrazione delle critiche alla decisione impugnata. Il momento di
sintesi, invero, impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente
individuabile, volto a circoscrivere i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in
maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione
demandata alla Corte (confr. Cass. civ. 10 ottobre 2007, n. 20603).

9 Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.
L’inammissibilità del controricorso preclude ogni pronuncia in ordine alle spese di causa.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 3 aprile 2013

di diritto, che, come da questa Corte ripetutamente precisato, richiede un quid pluris

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