Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14043 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14043 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

Data pubblicazione: 04/06/2013

SENTENZA
sul ricorso 4806-2010 proposto da:
MAZZALI

BATTISTA

FRANCESCO

MZZBTS46S14G753P,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAllA AUGUSTO
IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato POTTINO
GUIDO MARIA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GALGANO FRANCESCO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

712

SCIAVA

RAFFAELE

SCVRFL28P05C100T,

considerato

domiciliato “ex lege” in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

1

‘1_

dall’avvocato ARTIOLI PATRIZIA con studio in 41037
MIRANDOLA (MO), VIALE GRAMSCI 7/A giusta delega in
atti;
BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA 03700430238,
Capogruppo del Gruppo bancario Banco Popolare

Depositi ed al Fondo Nazionale di Garanzia,
subentrato nei rapporti processuali al BANCO POPOLARE
DI VERONA E NOVARA SOC. COOP. A R.L. e ALLA BANCA
POPOLARE ITALIANA – BANCA POPOLARE DI LODI SOC. COOP.
a seguito di fusione, in persona dell’Avv. FRANCESCO
MERCANTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio
dell’avvocato CONTALDI MARIO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FORNI EUGENIO giusta
delega in atti;
BANCA CR FIRENZE S.P.A. 04385190485, appartenente al
Gruppo Bancario Intesa Sanpaolo a seguito di fusione
per incorporazione della CASSA DI RISPARMIO DI
MIRANDOLA S.P.A., in persona del procuratore Dott.
MARIANO BARBARO, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato
D’ACUNTI CARLO MARIO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIUSTI GIORGIO giusta delega
in atti;
– controricorrenti –

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aderente al fondo interbancario di Tutela dei

avverso la sentenza n. 82/2009 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 20/01/2009, R.G.N.
1556/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

udito l’Avvocato GUIDO MARIA POTTINO;
udito l’Avvocato STEFANO D’ACUNTI per delega;
udito l’Avvocato MARIO CONTALDI;
udito l’Avvocato PATRIZIA ARTIOLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

3

FRASCA;

R.g.n. 4806-10 (ud. 25.3.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Francesco Battista Mazzali ha proposto ricorso per cassazione contro la Banca
CR Firenze (già Cassa di Risparmio Mirandola s.p.a.), Raffaele Sciava e il Banco Popolare
Società Cooperativa s.p.a. (già Banco Popolare di Novara e Verona s.c.r.l. incorporante a
Banco di S. Geminiano e S. Prospero s.c.r.1.) avverso la sentenza della Corte di Appello di

avverso la sentenza dell’agosto 2004, con cui il Tribunale di Modena aveva rigettato la
domanda relativa al risarcimento dei danni alla sua reputazione e immagine personale e
commerciale, patiti a seguito di un illegittimo protesto levato a suo carico dallo Sciava il
19 novembre 1992 nella qualità di ufficiale giudiziario, nonché quelli subiti in
conseguenza di comportamenti correlati a tale atto.
§2. Al ricorso tutti gli intimati, hanno resistito con separati controricorsi.
§3. Il resistente Sciava e la resistente Banca CR Firenze s.p.a. hanno depositato
memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Prima ed a prescindere dal riferire dei motivi di ricorso il Collegio
preliminarmente rileva che — come, del resto, ha eccepito nel suo controricorso la banca
CR Firenze s.p.a. – si configura una causa di inammissibilità del ricorso, in quanto esso non
rispetta il requisito di cui al n. 3 dell’art. 366 c.p.c., giacché non fornisce una esposizione
sommaria del fatto sostanziale e processuale idonea ad assicurare l’osservanza di detto
requisito.

Bologna del 20 gennaio 2009, con la quale è stato rigettato il gravame da lui proposto

Invero il ricorso presenta, dopo l’intestazione, la seguente struttura, quanto alla parte
dedicata all’esposizione del fatto:
a) nella pagine due e tre, sotto la rubrica “Fatto e svolgimento del giudizio di primo
grado”, si riproducono, dopo un riferimento all’atto introduttivo del giudizio del luglio del
1999, le conclusioni prese in esso, fino al primo rigo della pagina quattro tre;
b) segue, fra virgolette, fmo alla pagina sette la riproduzione integrale della citazione
introduttiva riguardo alla parte intestata come “fatto” e, quindi, dalla pagina otto alla metà
della pagina quindici riguardo alla parte intestata come “diritto”;
c) dopo che nella seconda metà della pagina quindici si fa riferimento alla
costituzione dello Sciava ed alla sua deduzione di non essere responsabile, nonché a quella
3 bts

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della Cassa di Risparmio di Mirandola ed alla deduzione della prescrizione della pretesa e
dell’esclusione della propria responsabilità, nonché alla mancata costituzione della Banca
Popolare di Verona, si fa riferimento nelle ultime due righe ad una memoria ex art. 183
c.p.c., che si riproduce, sempre fra virgolette, dalla pagina sedici fino al primo rigo della
diciannove;
d) da quest’ultima pagina fino alle prime due righe della ventuno, si riproduce,
sempre fra virgolette una memoria ai sensi dell’art. 184 c.p.c.;

e) dalla pagina ventuno fino alla metà della ventitré si svolge attività di riassunto
dello svolgimento successivo del giudizio sul piano istruttorio e, quindi, del contenuto
della sentenza di primo grado;
J? successivamente, dopo un accenno alla proposizione con atto dell’8 settembre
2005, si riproduce il contenuto dell’atto di appello quanto ai motivi e ciò fino a tre quarti
della pagina trentadue;
g) dopo di che si enuncia che per i motivi riprodotti si chiedeva la riforma della
sentenza impugnata, si fa riferimento alla costituzione in appello di tutti e tre gli appellati,
al rigetto di un’istanza di c.t.u. e alla precisazione delle conclusioni;
h) dalla pagina trentaquattro si riproduce fra virgolette fino alla pagina quarantuno, la
motivazione della sentenza qui impugnata.
§1.1. Ora, in punto di rilievo del requisito della esposizione sommaria dei fatti di
causa, si rileva che <> (ex multis,
Cass. n. 7825 del 2006).
4
T’ -a r,

R.g.n. 4806-10 (ud. 25.3.2013)

Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto,
precisato che <>. E, in applicazione di tale principio si è
dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che
avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio
dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per
tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello) (Cass. n.
4403 del 2006).
Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della
detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto
omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004).
E’ stato pure enunciato che <> (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).
Nel caso di specie si è creduto di adempiere all’onere di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c.
anziché attraverso un’attività narrativa per riassunto del modo di essere del fato sostanziale
e dei vari passaggi dello svolgimento processuale, attraverso — salvo che per taluni limitati
passaggi intermedi – la riproduzione di una serie di atti difensivi e, quindi, dell’intera
motivazione della sentenza impugnata.
5
T’

R.g.n. 4806-10 (ud. 25.3.2013)

§1.2. Ora, anche recentemente, nel solco di una consolidata pregressa giurisprudenza,
simili forme di adempimento dell’onere di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c. sono state ritenute
inidonee allo scopo da Cass. sez. un. n. 5698 del 2012, secondo la quale <>.
In base a tale principio di diritto il ricorso appare inammissibile.
Il Collegio, nel solco del ricordato principio, rileva che le indicate riproduzioni di atti
innanzi riscontrate non potrebbero dirsi funzionali all’osservanza del c.d. principio di
autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.
Il Collegio rileva, infatti, che una giustificazione delle ampie riproduzioni di cui s’è
dato conto non potrebbe rinvenirsi nel principio di autosufficienza, o meglio del principio
ora codificato nell’art. 366 n. 6 c.p.c., che ne costituisce il precipitato normativo, in quanto
è nella illustrazione dei motivi di ricorso che si deve rispettare l’onere di specifica
indicazione degli atti e dei documenti e degli atti processuali, o riproducendone il
contenuto per la parte che serve a spiegare il motivo o la censura e indicando dove è
rinvenibile in sede di legittimità (anche agli effetti, successivi a quelli dell’art. 366 n. 6, del
secondo comma n. 4 dell’art. 369 c.p.c.), o riproducendolo indirettamente e indicando
sempre dove è rinvenibile e a quale parte di esso corrisponde il contenuto indirettamente
riprodotto (pagina, rigo, etc.).
L’esposizione sommaria del fatto, viceversa, non ha a che fare con il principio, ohm
di autosufficienza, oggi espresso nell’art. 366 n. 6 c.p.c., ma riguarda l’onere del ricorrente
in cassazione di dare conto, al fine di consentire alla Corte di cassazione il fatto sostanziale
oggetto della lite ed il suo divenire nel processo nelle fasi di merito e comunque pregresse,
attraverso l’apporto dei soggetti del processo, cioè il c.d. fatto processuale. A tale onere
corrisponde uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, distinto
da quello dell’art. 366 n. 6 c.p.c. e, quindi, correlato al raggiungimento di uno scopo,
com’è consentaneo alla previsione di una forma processuale, specifico e differente.
L’adempimento dell’onere richiede un’attività di allegazione riassuntiva da parte del
ricorrente, che in sostanza richiede l’assunzione della funzione di “storico” dello
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svolgimento del giudizio, sempre in vista di ciò che riguardo ad esso è funzionale al
giudizio di cassazione.
Il precedente di cui a Cass. sez. un. n. 11653 del 2006, del resto, quando allude
all’autosufficienza come criterio che deve guidare il ricorrente in cassazione
nell’assicurazione del requisito dell’esposizione del fatto, lo fa con riferimento a quanto è
funzionale all’esposizione del fatto sostanziale e processuale, mentre le riproduzioni come
quelle che presenta il ricorso non hanno nulla a che fare con una simile funzionalizzazione,

risolvendosi solo nel costringere la Corte alla lettura dispendiosa degli atti riprodotti senza
alcuna finalizzazione a quella esposizione: infatti, la riproduzione integrale, proprio perché
del tutto materiale e sganciata da attività narrativa che la espliciti non risulta avere quella
finalizzazione.
Il Collegio rileva, altresì, che l’integrale riproduzione di atti delle fasi di merito nel
ricorso si presenta, del resto, del tutto eccentrica rispetto alla struttura normativa dell’atto
introduttivo del giudizio di legittimità, posto che l’ordinamento regola la produzione degli
atti sui quali si fonda il ricorso con un’apposita norma, quella dell’art. 369, secondo
comma, n. 4 c.p.c. e lo fa prevedendo un onere che la parte può assolvere con un’attività
esterna rispetto alla redazione del ricorso, che deve solo fare riferimento specifico, a norma
dell’art. 366 n. 6 .p.c., al contenuto degli atti stessi per la parte fondante l’argomentare del
ricorso e indicare dove e come sono stati prodotti, nei termini che si sono sopra precisati.
§2. Peraltro, se si superasse la rilevata ragione di inammissibilità, i motivi
risulterebbero tutti inammissibili per inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c.
Queste le ragioni.
§2.1. Il primo motivo deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7, 10,
1223, 1226, 1227, 2043, 2056, 2059, 2729 del cod. civ. e art. 2 [e] e 6 Cost., in relazione
all’art. 360, comma 1°, n. 3 c.p.c.”.
La sua illustrazione è conclusa dal seguente quesito di diritto: <>.
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Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 60, 2043 e
2055 con riferimento alla responsabilità solidale dell’ufficiale giudiziario e della Cassa di
Risparmio di Mirandola, in relazione all’art. 360 comma 1°, n. 3 c.p.c.”.
L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: <>.
Con un quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod.
civ. in relazione all’art. 360, comma 10 n. 3 c.p.c.
Il motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: <>.
Con il quinto motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod.
civ., 24, 111 e 117, comma 1°, Cost. e 6 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3
c.p.c. Ammissibilità ex articolo 360 bis n. 1 c.p.c.”.
L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: <>
§2.1.1. Il Collegio rileva che i quesiti di diritto relativi al primo, al terzo, al quarto ed
al quinto motivo sono inidonei ad assolvere al requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c.
Va rilevato che questa norma è applicabile al ricorso nonostante l’abrogazione
intervenuta il 4 luglio 2009 per effetto dell’art. 47 della stessa legge. L’art. 58, comma 5,
della legge ha, infatti, sostanzialmente disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva
per i ricorsi notificati — come nella specie – dopo quella data avverso provvedimenti
pubblicati anteriormente (si vedano: Cass. (ord.) n. 7119 del 2010; Cass. n. 6212 del 2010
Cass. n. 26364 del 2009; Cass. (ord.) n. 20323 del 2010). Nel contempo, non avendo avuto
l’abrogazione effetti retroattivi l’apprezzamento dell’ammissibilità dei ricorsi proposti
anteriormente a quella data continua a doversi fare sulla base della norma abrogata, che ha
dispiegato i suoi effetti regolatori del contenuto del ricorso al momento in cui era
pienamente vigente e non ha visto elisi detti effetti.

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Ora, i quattro quesiti sopra riprodotti si concretano nella prospettazione alla Corte di
interrogativi del tutto astratti, in quanto: a) il quesito relativo al primo motivo, sebbene
contenga un riferimento alla vicenda concreta di cui è processo, lo contiene in modo del
tutto minimale, di modo che tale vicenda a sua volta risulta evocata in maniera del tutto
generica ed in defmitiva non risulta percepibile come fatto effettivamente individuato,
bensì individuato solo tramite generiche ed astratte qualificazioni normative
(particolarmente quanto alla illegittimità del protesto); b) il quesito de quo, inoltre, risulta

privo di pur minimi riferimenti alla motivazione della decisione impugnata; c) lo stesso
quesito, più che un interrogativo giuridico seppure astratto (e comunque come tale
inidoneo ad assolvere al requisito dell’art. 366-bis c.p.c.), si risolve nell’enunciazione di
una mera affermazione circa le conseguenze ricollegate alla vicenda coinvolgente il
Mazzali; d) gli altri tre quesiti risultano prospettare interrogativi giuridici del tutto astratti,
sia perché privi di riferimento pur minimale e riassuntivo alla concreta vicenda, sia perché
omettono qualsivoglia riferimento alla decisione impugnata.
In tali termini i quesiti, pur potendo evocare astratti principi normativi di doverosa
conoscenza per questa Corte, risultano assolutamente privi del requisito della conclusività,
necessario perché la formulazione del quesito possa assolvere al suo scopo.
L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione
impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto
oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per
concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
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contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche
privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano
funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al terzo comma
dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto
come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che
il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di
contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi
con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era
parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi
compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo
della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.

Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a

L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
10
T” -a

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quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che dla nonna sia stata data. Invero, anche l’adozione di un
criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris

significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.
Con riguardo al secondo motivo il Collegio rileva che esso si doveva concludere o
doveva contenere (secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, inaugurata da Cass.
(ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n. 20603 del 2007) il c.d. momento di sintesi
espressivo della “chiara indicazione”, cui alludeva l’art. 366-bis c.p.c.
Il motivo non si conclude e nemmeno contiene il momento di sintesi.
Tutti i motivi risultano, dunque, inammissibili per violazione dell’art. 366-bis c.p.c. .
§3. Il ricorso è conclusivamente dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, nell’osservanza del d.m. n. 140 del
2012, in dispositivo ed a favore di entrambi i resistenti.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione, in
favore di ciascuno dei resistenti, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, a favore
sia dello Sciava sia della Banca CR Firenze s.p.a. in euro tremilacinquecento, di cui
duecento per esborsi, oltre accessori come per legge, ed a favore del Banco Popolare
Società Cooperativa s.p.a. in euro duemilaonocento, di cui duecento per esborsi, oltre
accessori come per legge.
sì deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 25 marzo 2013.
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