Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14041 del 21/05/2021

Cassazione civile sez. I, 21/05/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 21/05/2021), n.14041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4899/2015 proposto da:

JDPROF S.r.l, nella propria qualità di liquidatore della Fratelli

T. S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Carlo Conti Rossini

n. 95, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Ruffini, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G., T.B. e T.M., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Sabotino n. 2-a, presso lo studio

dell’avvocato Valentino Vulpetti, rappresentati e difesi

dall’avvocato Vincenzo Vito Chionna, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1057/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Fratelli T. s.r.l. in liquidazione ricorre a questa Corte, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza in epigrafe della Corte d’Appello di Bari che, respingendone l’impugnazione, ha confermato la legittimità del lodo arbitrale pronunciato a definizione del contenzioso insorto tra essa ed i fratelli T. circa, tra l’altro, la liquidazione della quota sociale spettante a costoro in conseguenza del loro recesso ed il danno da essa patito in conseguenza delle attività di concorrenza sleale poste in essere nei suoi confronti da T.A., padre degli odierni intimati.

Nel motivare il proprio deliberato, la Corte d’Appello, negata la sindacabilità della questione afferente alla pretesa nullità della clausola compromissoria per tardività della relativa allegazione, ha previamente rilevato l’inammissibilità per difetto di specificità degli svolti motivi di gravame, indicanti “a grappolo un’insieme di pretesi vizi della pronuncia arbitrale, sì da impedire di esaminare partitamente ciascuna doglianza, verificandosi anzitutto la corrispondenza al tipo previsto dall’art. 829 c.p.c.”; indi, scrutinando in dettaglio ciascun motivo, ha osservato, quanto al primo afferente alla liquidazione della quota di recesso, che “la società non ha indicato quale dei numeri dell’art. 823 c.p.c. sarebbe stato richiamato attraverso l’indicazione del n. 5 dell’art. 829 c.p.c.” e che gli addebiti mossi alla CTU “non hanno nulla a che fare con la violazione del principio del contraddittorio prevista dal n. 9 dell’art. 829 c.p.c. e non provocano la contraddittorietà tra specifiche statuizioni del lodo prevista dal n. 11829”; analoghi rilievi ha poi enunciato riguardo al secondo riferito al danno da concorrenza sleale, osservando che la dedotta violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, secondo periodo, riguardando norme di ordine pubblico, non investe “gli invocati art. 1226 c.c. e art. 114 c.p.c. (che) non sono norme di ordine pubblico e, (che) comunque, nella prospettazione della società, sarebbero stati violati non in via autonoma, ma solo in conseguenza del preteso vizio di motivazione”.

Al proposto ricorso, seguito pure da memoria, resistono i fratelli T. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente si duole 1) in principalità della decretata inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di impugnazione del lodo, posto che “l’odierna ricorrente aveva proposto cumulativamente impugnazioni sotto i profili dell’assenza di una motivazione del lodo… e di violazione di legge…, individuando quali norme violate l’art. 1226 c.c. e art. 114 c.p.c. e censurando l’impugnato lodo sia in relazione ad un vizio di motivazione, sia in relaziona alla violazione delle citate disposizioni”; in dettaglio, 2) lamenta, poi, che la Corte d’Appello abbia dichiarato inammissibili le censure proposte ex art. 829 c.p.c., comma 3, ritenendo che l’art. 1226 c.c. e art. 114 c.p.c. non siano norme di ordine pubblico, quantunque, in considerazione dell’anteriorità della clausola arbitrale alla novella del 2006, “il lodo oggi impugnato ben poteva essere censurato anche per violazione delle regole di diritto attinenti al merito della controversia”; 3) lamenta, ancora, che erroneamente la Corte d’Appello abbia dichiarato le sollevate censure inammissibili in quanto le norme anzidette ed, in particolare, l’art. 1226 c.c. non sarebbero state oggetto di autonoma violazione, ma solo quale riflesso del vizio di motivazione, sebbene nella specie fosse stato allegato “che l’arbitro avesse proceduto ad una valutazione arbitraria e non equitativa del danno, non avendo preso in esame alcun indice o elemento di fatto”; 4) lamenta, infine, l’erroneità, ove in essa si dovesse riconoscere un’autonoma statuizione, di quanto pure affermato dalla Corte d’Appello circa l’assorbenza della predetta declaratoria di inammissibilità rispetto all’eccepita acquiescenza della società dedotta dagli intimati, non potendo avere alcun rilievo a questo fine la circostanza che la società avesse deliberato “di dare esecuzione al lodo impugnato”.

3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente reitera la doglianza già esternata con la prima censura del primo motivo ed insiste perchè sia dichiarata la cassazione della sentenza qui impugnata nella parte in cui essa, rigettando il primo motivo di impugnazione del lodo, ha ritenuto inammissibile la dedotta violazione dell’art. 829, comma 1, n. 5 per difetto di indicazione di quale dei requisiti dell’art. 823 c.p.c. da esso richiamato siano stati violati dagli arbitri, “posto che dal tenore letterale dell’impugnazione per nullità è chiaramente evincibile come l’odierna ricorrente contestasse l’assenza del requisito della motivazione di cui all’art. 823 c.p.c., n. 5”.

4. Con il terzo motivo di ricorso è intenzione della ricorrente censurare l’affermazione operata dal decidente del grado circa la mancata considerazione del motivo inteso a far valere la nullità della clausola compromissoria in quanto prospettata tardivamente; e ciò sebbene la dedotta nullità fosse “rilevabile d’ufficio e come tale dovesse essere affrontata e decisa dal giudice dell’impugnazione per nullità anche in mancanza di specifica impugnazione”.

5. E’ prioritario per intuitive ragioni di assorbenza logica l’esame del terzo motivo di ricorso.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello rigettando l’impugnazione sul punto ha non solo fatto rilevare la tardività dell’allegazione, ma ha pure chiosato l’affermazione censurata dalla ricorrente a mezzo della considerazione che “peraltro dalla mancata impugnazione di buona parte delle statuizioni di merito è già derivata la creazione di un giudicato parziale che non può non coprire ogni questione in ordine alla clausola compromissoria”.

Poichè questa affermazione che, integra un’autonoma ratio decidendi ed è idonea a sorreggere di per sè sola la decisione sul punto, non è stata fatta oggetto di alcuna contestazione, ne deriva, come questa Corte ha più volte osservato, che la ricorrente non ha interesse a dolersi del profilo qui impugnato, poichè, quand’anche se ne riscontrasse la fondatezza, l’impugnata decisione si suffragherebbe pur sempre in base all’affermazione non censurata.

6. Quanto al primo motivo di ricorso, tacitate le obiezioni che in punto di ammissibilità vi oppone il controricorso poichè le doglianza che vi trovano esposizione non violano il precetto della specificità dei motivi di ricorso – è fondata la prima delle sviluppate censure.

E’ convinzione di questa Corte – enunciata con riferimento al giudizio per cassazione, ma estensibile anche all’impugnazione del lodo, trattandosi di giudizio a critica vincolata che presuppone la veicolazione delle ragioni di doglianza a mezzo di motivi specifici, (Cass., Sez. IV, 23/12/2004, n. 23900) – che, pur esigendosi che il ricorso per cassazione debba essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (Cass., Sez. U, 24/07/2013, n. 17931), “il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Cass., Sez. U, 6/05/2015, n. 9100).

La prospettazione “a grappolo” di una pluralità di censure non è perciò ragione di pregiudiziale inammissibilità del gravame quando, scandagliandone la formulazione, sia possibile scindere il contenuto cassatorio di ciascuna censura ed, indipendentemente dalla sua rubricazione e, ancor più, dalla correttezza dell’indicazione numerica adottata, sia identificabile, tra quelli enunciati dall’art. 360 c.p.c., e non diversamente dall’art. 829 c.p.c., il parametro normativo di riferimento. Tanto più, se qui, come non manca di fare la sentenza impugnata, dopo aver più generalmente sentenziato l’inammissibilità del proposto atto di gravarne per difetto di specificità dei motivi di impugnazione, non si trascuri di scrutinare anche nel merito il contenuto delle singole doglianze rapportate, con ciò dimostrando de plano di averne colto con la necessaria chiarezza il contenuto.

La contraria opinione sposata dalla Corte d’Appello si smentisce perciò da sola.

7. Anche la seconda censura va accolta.

Si impone la sua regolazione in applicazione del principio iura novit curia, di guisa che, una volta che siano indicati i fatti dedotti a fondamento della domanda e così dell’eccezione, è dovere del giudice procedere alla ricerca della norma che si attaglia al caso concreto ed in applicazione della quale pronunciare su di esso.

E’ vero che, come si evince dallo stesso ricorso (pag. 3), nell’introdurre il giudizio di gravame avanti alla Corte d’Appello, con riferimento al capo della decisione arbitrale afferente al risarcimento del danno, la società oggi ricorrente si era data cura di indicarne;

l’erroneità in diritto per violazione dell’art. 1226 c.c. e art. 114 c.p.c. richiamando espressamente l’art. 829 c.p.c., comma 3, secondo periodo. Tuttavia ove la Corte d’Appello si fosse data per inteso della lezione, già dispensata da questa Corte al tempo della pronuncia impugnata, giusta la quale si reputa che le modifiche apportate all’art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 siano volte a delimitare l’ambito d’impugnazione del lodo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima della sua entrata in vigore continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente (Cass., Sez. I, 19/04/2012, n. 6148), avrebbe dovuto divisare la non conducenza del richiamo all’art. 829 c.p.c., comma 3, secondo periodo, e non avrebbe dovuto sentenziare l’inammissibilità della svolta censura con la motivazione invece adottata, non applicandosi alla specie, secondo quanto in seguito chiarito con l’autorità della pronuncia monofilattica dalle SS.UU. (Cass., Sez. U, 9/05/2016, n. 9284), il testo dell’art. 829 c.p.c. novellato.

8. Parimenti fondata è la terza censura.

L’affermazione che ne è oggetto si rivela invero totalmente errata atteso che una violazione di legge non può dipendere da un vizio di motivazione, trattandosi di vizi diversi e non sovrapponibili, dato che l’uno attiene al giudizio di diritto, l’altro al giudizio di fatto.

9. L’ultima censura va invece reputata assorbita in considerazione dell’accoglimento delle pregresse censure e della conseguente caducazione di quanto in contrario all’ammissibilità del gravame affermato dalla Corte territoriale.

10. Quanto al secondo motivo di ricorso, come visto, la ricorrente reitera con esso la doglianza già esternata con la prima censura del primo motivo ed insiste perchè sia dichiarata la cassazione della, sentenza qui impugnata nella parte in cui essa, rigettando il primo motivo di impugnazione del lodo, ha ritenuto inammissibile la dedotta violazione dell’art. 829, comma 1, n. 5 per difetto di indicazione di quale dei requisiti dell’art. 823 c.p.c. da esso richiamato siano stati violati dagli arbitri.

Entrambe le allegazioni – in disparte dai rilievi che in punto di inammissibilità il controricorso indirizza alla seconda, che non sono conducenti – si rivelano fondate.

Della prima di esse si è già detto in generale; qui si rende solo necessario aggiungere che anche in rapporto al primo motivo di nullità del lodo la Corte ha avuto modo di scansionare la doglianza declinata “a grappolo” dall’impugnante, mostrando, nel replicare a ciascuna di esse, di cogliere con la dovuta chiarezza il contenuto delle diverse censure prospettatevi.

Circa la seconda va osservato che l’impegno interpretativo che si richiede al giudicante, onde assicurare in nome del principio di effettività della tutela giurisdizionale la realizzazione dello scopo del processo, impone di accertare e valutare il contenuto sostanziale degli atti processuali, quale desumibile non solo dalla letteralità di essi, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte, nonchè dal provvedimento in concreto richiesto.

Sotto questa angolazione, considerata l’ampiezza delle contestazioni che, assolvendo l’onere di autosufficienza del motivo, sono documentate alle pagg. 18-19-20 del ricorso, la ricorrente aveva inteso muovere alla motivazione del provvedimento impugnato davanti alla Corte d’Appello, l’affermazione qui censurata non si giustifica e se ne impone perciò la doverosa cassazione.

11. Vanno accolte in conclusione la prima, la seconda e la terza doglianza del primo motivo di ricorso ed integralmente il secondo motivo di ricorso, inammissibile risultando invece il terzo.

12. Ne consegue la cassazione nei limiti delle censure accolte della sentenza qui avversata ed il rinvio della causa avanti al giudice a quo perchè proceda alla rinnovazione del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie la prima, la seconda e la terca doglianza del primo motivo ricorso ed il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Bari che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della I sezione civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2021

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