Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14039 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 27/06/2011), n.14039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

N.A.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 14/2005 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 28/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente che, respingendo l’appello da esso Ufficio proposto, aveva confermato la decisione resa in primo grado. Quest’ultima aveva accolto il ricorso presentato da M.A.M. avverso gli avvisi di mora emessi a suo carico – in qualità di erede e socia dell’Istituto vendite Giudiziarie di M.V., suo padre defunto il 26.4.1990 – a seguito dell’iscrizione a ruolo del carico conseguente a diversi processi verbali ed avvisi di irrogazione sanzione, emessi a carico della società costituita tra gli eredi di V. M. con riferimento agli anni 1990 e 1991. Il giudice dell’appello riteneva: – che l’attività svolta dall’Istituto Vendite Giudiziarie non potesse essere continuata dagli eredi, in quanto soggetta a concessione amministrativa; -che l’estraneità della contribuente a tale attività fosse dimostrata sia dal fatto che ella aveva richiesto una propria partita Iva per poi svolgere la medesima attività svolta dal padre, sia dal fatto che, appena ricevuti gli avvisi di mora, aveva sporto denuncia di falso contro il di lei fratello per avere lo stesso presentato, a sua insaputa, dichiarazione di inizio attività dell’Istituto Vendite Giudiziarie da parte degli eredi di M.V.; -infine che la contribuente non poteva essere considerata responsabile per le eventuali obbligazioni tributarie sorte prima del decesso del padre a carico della ditta, essendo solo una dipendente della stessa.

Avverso tale ultima sentenza l’Agenzia propone ricorso per cassazione articolato su di un motivo unico; la contribuente non ha controdedotto.

MOTIVAZIONE:

1. Con il ricorso in esame l’Agenzia censura l’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per vizi della motivazione; e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c.; 460, artt. 476, 484, 512, 519, 752 c.c.;

D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 27, 28, 33, 43, 44; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65. Assume che il giudice dell’appello ha errato in quanto ha operato una confusione tra l’intrasmissibilità agli eredi, dopo la morte del concessionario, della concessione dell’attività di vendita giudiziaria, e la trasmissione iure ereditatis agli eredi (in quanto non rinuncianti e non accettanti con beneficio d’inventario) delle obbligazioni tributarie sorte in capo al de cuius. Assume altresì l’esistenza di un’attività di vendita giudiziaria svolta dagli eredi di M.V., a seguito del provvedimento di proroga emesso dal Presidente della Corte d’Appello con riferimento ai soli processi esecutivi già pendenti in fase di vendita.

2. La censura è fondata e deve essere accolta.

Nel caso di specie gli atti impostivi impugnati hanno colpito l’attività svolta negli anni 1990 1991 dall’Istituto Vendite Giudiziarie di M.V. titolare – come pacifico – di una concessione per la vendita giudiziaria; è altresì pacifico che il M. è morto il (OMISSIS).

2.1 Tanto premesso, non vi è dubbio che ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 1, la contribuente risponde nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in quanto erede del padre ed in solido con gli altri eredi, di tutte le obbligazioni tributarie sorte in capo al de cuius in conseguenza dell’attività svolta da quest’ultimo prima del decesso. L’intimata avrebbe infatti potuto liberarsi solo fornendo la prova di aver rinunciato all’eredità, ma di tanto non vi è menzione nell’impugnata sentenza.

Erra pertanto il giudice a quo nell’affermare: “in alcun modo costei (la contribuente) può essere ritenuta responsabile per eventuali obbligazioni derivanti dall’attività svolta dal padre prima del decesso (essendo stata una semplice dipendente)” Invero la contribuente risponde di tali obbligazioni non in qualità di socia del padre (come erroneamente sembra ritenere il giudice a quo, anche se per escluderlo), ma in qualità di erede dello stesso.

2.2 La censura è fondata altresì con riferimento alle obbligazioni tributarie sorte in conseguenza e nei limiti dell’attività dell’Istituto Vendite Giudiziarie svolta dopo il decesso di M. V., in virtù del provvedimento di proroga di operatività del Presidente della Corte di Appello del 9.6.1990 come circostanziatamente dedotto nel ricorso per cassazione, fornito sul punto della necessaria autosufficienza per aver riportato testualmente il brano del suddetto provvedimento. Tale provvedimento risulta peraltro già citato nella impugnata sentenza (come prodotto agli atti dalla contribuente) come emesso dal Presidente della Corte d’Appello, ai sensi del D.M. 20 giugno 1960, art. 4, comma 2, per comunicare la revoca di diritto della concessione con decorrenza 26.4.90 (data del decesso) ed autorizzare la “vecchia struttura dell’Istituto delle Vendite Giudiziarie a portare a termine le esecuzioni già fissate e pendenti”.

Ha pertanto errato il giudice a quo a non distinguere, svolgendo il necessario approfondimento sul punto, tra attività svolta dagli eredi in esaurimento dei processi esecutivi già in corso, ed attività non riferibile invece alla contribuente per l’impossibilità, come giustamente sostenuto dal giudice a quo, di configurare un’impresa ereditaria avente ad oggetto l’attività già svolta dal padre M.V. (in quanto trattatavasi di attività soggetta a concessione amministrativa, concessione revocata di diritto in caso di morte del titolare).

Tanto dovrà essere svolto dal giudice del rinvio, il quale dovrà ritenere la ricorrente tenuta al versamento dell’Iva gravante sull’attività svolta dagli eredi di M.V. in esaurimento, come sopra detto, dei processi esecutivi già in corso.

Tale obbligazione discende infatti dalla mera qualità di erede, che, unita all’altro presupposto, cioè l’autorizzazione discendente dal provvedimento di proroga di operatività del Presidente della Corte di Appello, ha consentito agli eredi tutti di svolgere l’attività necessaria per portare a termine i processi esecutivi già pendenti.

A nulla rileva pertanto, relativamente all’Iva dovuta su tale attività, l’eventuale falsità della firma apposta sulla dichiarazione di inizio attività dell’Istituto Vendite Giudiziarie da parte degli eredi di M.V.; secondo la denuncia di falso sporta dalla ricorrente contro il di lei fratello: la responsabilità della stessa nasce infatti non da tale dichiarazione, ma dall’effettiva e legittima operatività, in proroga, dell’Istituto Vendite giudiziarie.

Il ricorso deve pertanto essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche che, nell’applicare i principi sopra esposti, provvedere altresì a regolamentare le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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