Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14039 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. un., 08/07/2016, (ud. 09/02/2016, dep. 08/07/2016), n.14039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente Sezione –

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente Sezione –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8230/2014 proposto da:

S.F., rappresentata e difesa da sè medesima

unitamente all’avvocato GIUSEPPE LEPORE, presso il cui studio in

ROMA, VIA POLIBIO 15, è elettivamente domiciliata, per delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE,

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI POTENZA, PROCURATORE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI POTENZA, PROCURATORE GENERALE DELLA

REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI POTENZA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 10/2014 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

emessa il 26/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato Giuseppe LEPORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Il Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Potenza, con decisione del maggio del 2011 infliggeva all’Avvocato S. F. la sanzione disciplinare della sospensione per un anno dall’esercizio dell’attività professionale, all’esito di un procedimento disciplinare, che era stato avviato a seguito di segnalazione del P.M. relativa ad un procedimento penale a suo carico per concorso in bancarotta fraudolenta e altro, e che, dopo la sospensione per la pregiudizialità del processo penale, era stato riassunto.

p.2. Sul ricorso della interessata, il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza depositata il 10 aprile 2013, modificava la decisione impugnata solo quanto alla durata della sospensione, che riduceva a sei mesi.

La S. impugnava la sentenza dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ricorso notificato il 27 maggio 2013 e iscritto al n.r.g. 13314 del 2013.

p.3. Con istanza del 2 maggio 2013, intitolata “Istanza di applicazione dell’indulto” la S. si rivolgeva al Consiglio Nazionale Forense nelle funzioni di giudice dell’esecuzione della sanzione inflitta e, adducendo che la sanzione comminata era immediatamente eseguibile ai sensi del R.D. n. 1578 del 1933, art. 56, anche in caso di proposizione del ricorso per cassazione e che poteva essere sospesa solo dalle Sezioni Unite, chiedeva che essa fosse dichiarata condonata ai sensi dell’art. 1, della legge di concessione di indulto n. 241 del 2006, in quanto il fatto di reato dalla cui commissione era scaturita l’azione disciplinare e la comminazione della sanzione disciplinare rientrava nell’ambito di applicazione dell’indulto di cui a detta legge.

p.4. Con sentenza deliberata il 26 settembre 2013 e notificata alla S. il 13 marzo 2014, il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso.

p.5. Avverso detta decisione la S. ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi del R.D. n. 1578 del 1933, art. 56, sulla base di un unico motivo articolato in due censure.

Il ricorso è stato proposto contro il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza e il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Potenza.

Nessuno degli intimati ha resistito.

p.6. Nelle more della fissazione della trattazione del ricorso in esame, con sentenza n. 11908 del 28 maggio 2014 le Sezioni Unite di questa Corte hanno rigettato il ricorso iscritto al n.r.g. 13314 del 2013, proposto dalla S. contro la sentenza del Consiglio Nazionale Forense del 10 aprile 2013.

p.4. La ricorrente, in vista dell’udienza, ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione della L. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1, in relazione all’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale. Motivazione apparente”.

Vi si censura in primo luogo la motivazione della decisione impugnata là dove avrebbe addotto – così si scrive – “che la disposizione invocata si riferisce esclusivamente ai reati e non alle sanzioni disciplinari”, per negare che potesse trovare applicazione al processo disciplinare forense la norma della L. n. 241 del 2006, art. 1, e che dunque la sanzione disciplinare irrogata potesse reputarsi condonata per effetto dell’indulto previsto da quella norma.

La censura viene sostenuta prospettando – con citazione di Cass. Sez. Un. nn. 13975 del 2004, n. 3763 del 1988, n. 2178 del 1967 e n. 1988 del 1998 e, quindi, di Cass. Sez. Un. n. 23287 del 2010 – che la giurisprudenza di questa Corte si sarebbe invece espressa in senso contrario.

Tenendo conto che la decisione impugnata si è fatta carico proprio di quanto la ricorrente desume da detta giurisprudenza a favore del suo assunto l’illustrazione della censura si articola criticando l’esegesi offerta da detta decisione.

In particolare, all’uopo, il ricorso richiama:

a) il passo della motivazione di Cass. Sez. Un. n. 13975 del 2004, nel quale fu affermato quanto segue: “nei procedimenti disciplinari relativi agli avvocati si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale, in mancanza delle quali, come nel caso che ne occupa, si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile, al contrario di quanto avviene con riguardo alle norme del codice di procedura penale la cui applicazione è limitata a quelle cui la legge professionale fa espresso rinvio, ovvero a quelle relative ad istituti (amnistia, indulto) che trovano la loro regolamentazione soltanto nel codice anzidetto”;

b) il passo della motivazione di Cass. Sez. Un. n. 23287 del 2010 secondo cui: “Osserva preliminarmente questa Corte (riportandosi ad un principio già espresso, per quanto risalente, di queste S.U. sent. 13/04/1981, n. 2176) che, data anche la natura amministrativa della fase procedimentale davanti al Consiglio dell’Ordine Locale, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati e procuratori, si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che sono dettate dalla legge professionale per ogni singolo istituto ovvero, qualora manchino disposizioni specifiche si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile. Trovano applicazione le norme del codice di procedura penale invece, quando la legge professionale ne faccia espresso rinvio ovvero quando siano da applicare istituti, quali l’amnistia e l’indulto, che trovano la loro regolamentazione solo in detto codice”.

Sostiene, poi, la ricorrente che “la costruzione sintattica della richiamata massima con l’introduzione dell’avverbio ovvero non consente di affermare, come invece si legge nella sentenza del CNF, che dalla giurisprudenza richiamata si evince implicitamente la possibilità che un provvedimento di amnistia o indulto abbia ad oggetto anche infrazioni disciplinari qualora il legislatore lo preveda espressamene introducendo(si) in questo modo un limite in realtà non previsto nè dalla giurisprudenza nè dalla legge”.

Questa conclusione è, quindi, così motivata: “Non vi è, infatti, nell’ordinamento giuridico alcuna previsione normativa che escluda l’applicazione dell’indulto alle sanzioni disciplinari, nè la Giurisprudenza richiamata impone una previsione espressa, poichè l’analisi letterale della massima (Cass. Sez. Un. 18/11/2010 n. 23287) con il richiamato avverbio, esplica e rafforza solo la possibilità di tale applicazione, che è di carattere analogico ed estensivo”.

p.1.1. La censura è priva di fondamento.

Queste le ragioni.

Esse debbono muovere innanzitutto dalla considerazione del testo della norma dell’art. 174 del codice di procedura penale, il quale recita: “L’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie salvo che il decreto (riferimento da intendesi ora alla legge, di cui all’art. 79 Cost., come sostituito dalla L. cost. n. 1 del 1992) disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna”.

Le lettura della norma evidenzia che il legislatore del Codice ha indicato specificamente gli effetti dell’istituto regolato, cioè dell’indulto, e lo ha fatto con una disciplina diretta che riguarda la pena c.d. principale.

Il fatto stesso che la norma codicistica abbia detto che, salvo che la legge disponga altrimenti, non si estingue la pena accessoria e non cessano gli altri effetti penali della condanna, oltre ad implicare che il riferimento generico alla pena come oggetto dell’effetto estintivo o commutativo, concerne la c.d. pena principale relativa al reato, induce, sulla base di un argomento letterale desunto dalla stessa struttura della norma, a ritenere che il legislatore abbia inteso disciplinare in via generale gli effetti dell’indulto direttamente, cioè con le sue dirette previsioni, con riferimento all’ipotesi in cui una legge dispositiva di indulto venga adottata senza una particolare disciplina degli effetti da ricollegare alla misura premiale e, nel contempo, di lascare alla stessa legge di adozione dell’indulto l’eventuale compito di ampliare quegli effetti.

In forza della previsione diretta, se la legge di indulto non specifica gli effetti, essi sono quelli indicati dalla norma e, dunque, si riferiscono alla sola pena principale per i reati contemplati, il che esclude che possano esserne individuati altri, perchè era la legge di indulto ad doverli individuare.

Sempre in forza della previsione normativa, se la legge di indulto dispone in senso ampliativo espressamente prevedendoli si possono verificare l’effetto estintivo delle pene accessorie e quello relativo ad altri effetti penali della condanna.

p.1.2. La tecnica di redazione della norma dell’art. 174 c.p., comma 1, le fa assumere il valore di c.d. metanorma, perchè, per un verso essa regola in via diretta gli effetti di una qualsiasi legge di indulto, allorquando tale legge non individui espressamente tali effetti, ma si limiti a dispone l’indulto per certe categoria di reati, per altro verso disciplina l’ampiezza del potere legislativo espresso dalla legge di indulto affidando al legislatore che adotta tale legge la possibilità di attribuire all’indulto efficacia estintiva delle pene accessorie e degli altri effetti penali.

Ne segue che la previsione dell’art. 174 c.p., comma 1, implichi che:

a) quando il legislatore della specifica legge di adozione di indulto non disciplina specificamente gli effetti dell’indulto (salvo naturalmente per l’identificazione oggettiva e temporale dei reati) oppure li disciplina in senso ampliativo, si deve necessariamente ritenere che nel primo caso valga la diretta disciplina del detto primo comma e nel secondo che gli effetti siano anche aggiuntivamente quelli espressamente previsti dalla legge di indulto;

b) che, in conseguenza, nel primo caso non sia possibile predicare effetti estintivi ulteriori rispetto a quello di estinzione della pena principale e nel secondo altri effetti estintivi ulteriori rispetto a tale estinzione e a quelli previsti espressamente dalla legge di indulto.

Questo naturalmente, sul piano degli effetti penali della condanna cioè di quegli effetti che rilevano sul piano dell’ordinamento giuridico penale.

La norma del codice penale evidentemente si preoccupa di dettare la disciplina secondo la sua funzione di metanorma soltanto per gli effetti penali.

Essendo la legge di indulto espressione del potere legislativo, naturalmente, nulla impedisce al legislatore che l’adotta di attribuire all’indulto anche effetti di natura extrapenale.

E se tale ipotesi si avveri nulla quaestio.

Il problema che viene in evidenza e deve risolversi per decidere il ricorso sollecita la soluzione dell’interrogativo sul se, in mancanza di espressa previsione della legge di indulto di effetti extrapenali, l’interprete della legge sia legittimato ad individuare lui tali effetti.

p.1.3. Ebbene, se ci si interroghi sul se, in presenza di una metanorma regolatrice degli effetti dell’indulto quale quella espressa dall’art. 174, comma 1, e della circostanza che essa si preoccupa dei soli effetti penali, regolandoli in via diretta od affidando al legislatore della specifica legge di adozione di indulto di disciplinarli in modo diverso ed ampliativo, è agevole concludere che a maggior ragione detta metanorma implichi:

a) che una legge di adozione di indulto che non regoli specificamente gli effetti penali di esso e, quindi, affidi alla diretta disciplina dell’art. 174, primo coma, c.p., di individuarli solo nell’estinzione della pena principale, con esclusione di effetti estintivi sulle accessorie e sugli altri effetti penali della condanna, debba necessariamente essere interpretata nel senso che nemmeno possano da esso conseguire effetti di natura diversa da quelli penali, se non previsti da altra norma dell’ordinamento, atteso che sarebbe del tutto contrario ai normali criteri esegetici ipotizzare effetti ampliativi analogici riguardo ad essi, se essi sono vietati, per il silenzio del legislatore della legge di indulto che poteva consentirli, già quanto agli altri effetti penali: è palese che applicare il ragionamento analogico ad effetti non penali quando non lo si può applicare agli effetti penali, che sono certamente omologhi di quello estintivo della pena principale, sarebbe un fuor d’opera;

b) che una legge di adozione di indulto che, invece, contenga una disciplina ampliativa dei soli effetti penali oppure preveda eventualmente anche specifici effetti non penali debba, sempre per le stesse ragioni, essere intesa non solo nel senso che l’effetto estintivo non possa riguardare altri effetti penali non contemplati, ma anche, a maggior ragione, effetti diversi da quelli rilevanti sul piano dell’ordinamento penale.

Queste considerazioni, basate sull’esegesi della metanorma dell’art. 174, primo comma, c.p., evidenziano, in definitiva, che, salvo che la legge di indulto non disponga diversamente, è escluso che, in via analogica o di esegesi estensiva, possa postularsi un’incidenza dell’indulto, ove non prevista dalla specifica legge di indulto, con effetti al di fuori dell’ordinamento penale e, quindi, all’ordinamento disciplinare.

Si vuol dire, cioè, che nella norma dell’art. 174, comma 1, è contenuta i via implicita, per elementari ragione di coerenza del disposto normativo, la previsione che compete alla legge di indulto, a meno che norme extrapenali di altri settori ordina mentali non li attribuiscano espressamente, eventuali effetti extrapenali.

p.1.4. Venendo ora all’esame del ricorso, da quanto osservato discende che non è, pertanto, in alcun modo sostenibile l’interpretazione prospettata dalla ricorrente, nelle due decisione delle Sezioni Unite da essa evocate, quanto all’inciso retto dall’avverbio cui essa ha alluso.

Quando le due decisioni hanno alluso all’indulto, lo hanno fatto volendo fare riferimento alla regolamentazione disposta dalla metanorma del codice penale, che è quella i cui termini si sono riassunti.

Ne segue che esse hanno voluto alludere alla possibilità che sia la legge di adozione dell’indulto ad estendere gli effetti di esso sul piano disciplinare, perchè proprio questo consente il primo comma dell’art. 174 c.p., il quale invece implica che nel silenzio di tale legge detta estensione sia preclusa.

Il Consiglio Nazionale Forense, dunque, allorquando ha escluso che la legge di indulto di cui trattasi potesse implicare effetti estintivi della sanzione disciplinare ha adottato una decisione del tutto corretta.

p.2. Si deve, a questo punto, rilevare che, poichè l’art. 174 è norma che, come s’è detto, esaurisce la disciplina degli effetti dell’indulto in mancanza di previsioni della legge che lo dispone di contenuto ampliativo sia sul piano penale che extrapenale e la sua struttura e natura di metanorma del tutto chiara in ragione del suo disposto non tollera interpretazioni estensive o analogiche nel silenzio di quella legge, le considerazioni che ulteriormente il motivo – prospettando altra censura – svolge con riferimento ai rilievi con cui il C.N.F. ha giustificato la soluzione accolta evocando Cass. sez. un. n. 538 del 1977 e n. 7035 del 1988 diventano del tutto irrilevanti, restando la censura assorbita.

Invero gli ulteriori rilievi che il C.N.F. ha desunto da quelle due decisioni sono del tutto privi di decisività e, quindi, sono del tutto irrilevanti le critiche che ad essi muove il motivo, anche sotto il versante dell’apparenza della motivazione.

Tanto dicasi in particolare per il rilievo relativo alla diversità fra sanzione penale e sanzione disciplinare e per l’argomento desunto dalla medesima soluzione di indifferenza della sanzione disciplinare all’indulto che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite sostiene in ambito disciplinare della magistratura.

p.3. Il ricorso è, dunque, rigettato sulla base delle considerazioni esegetiche svolte sull’art. 174 c.p., comma 1, e tanto esime dall’interrogarsi su un problema: quello della stessa ammissibilità della proposizione della domanda rivolta al C.N.F. come giudice dell’esecuzione della sanzione.

Sotto tale profilo si sarebbe dovuto verificare – eventualmente nella prospettiva di una possibile applicazione dell’art. 382 c.p.c., comma 3, se la prospettazione degli effetti dell’indulto non dovesse farsi valere già nello stesso procedimento di cognizione davanti al C.N.F. e comunque con il primo ricorso a queste Sezioni Unite, quello deciso dalla sentenza n. 11908 del 2014.

p.4. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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