Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14039 del 04/06/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 14039 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA
sul ricorso 4171-2010 proposto da:
CORATZA

CARMINE

CRTCMN31S251452B,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo
studio dell’avvocato SCAFARELLI FEDERICA,
rappresentato e difeso dall’avvocato CARTA PIERLUIGI
GIOVANNI AUSONIO con studio in 07100 SASSARI, VIA
2013

MAZZINI 2/D giusta delega in atti;
– ricorrente –

704

contro

DEL.CO . DELOGU COSTRUZIONI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE
00163660905, in persona del suo legale rappresentante

1

Data pubblicazione: 04/06/2013

Avv. SILVIO PIRAS, elettivamente domiciliata in ROMA,
V. DEL TRITONE 102 presso lo studio dell’avvocato
BASSU GIUSEPPE (A.I. AVVOCATI ASSOCIATI IN ITALIA),
che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata
il 24/12/2008, R.G.N. 258/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2013 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato PIERLUIGI GIOVANNI AUSONIO CARTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

avverso la sentenza n. 749/2008 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La presente controversia trae origine dalla stipula di un
atto pubblico e contestuale scrittura privata in data
27.11.1992 in forza dei quali Carmine Coratza trasferì alla
Del.Co. Delogu Costruzioni s.r.l. (di seguito brevemente

destinato alla realizzazione di un progetto edificatorio per
un corrispettivo che – fissato nell’atto pubblico in £
2.224.300.000 – venne in realtà versato nella misura di £
347.557.000, essendosi convenuto nella scrittura privata che,
a titolo di residuo corrispettivo, la Del.Co. avrebbe
trasferito al Coratza un certo numero di mc. della superficie
edificanda entro il termine di ventiquattro mesi dal rilascio
della concessione edilizia o al massimo di trenta mesi dalla
scrittura.
Poiché il termine di trenta mesi venne a scadenza il
27.05.1995 senza che la Del.Co. provvedesse al trasferimento,
il Coratza adì il Tribunale di Sassari per ottenere la
dichiarazione di avvenuto trasferimento ex art.1472 c.c. e in
subordine per la pronuncia ex art. 2932 cod. civ., nonché per
sentire condannare la Del.Co. al pagamento della penale,
fissata nella detta scrittura in £ 500.000 per ogni giorno di
ritardo a decorrere dalla scadenza del termine di trenta mesi,
da defalcarsi delle somme a sua volta dovute alla società.
Per quanto rileva in questa sede la controversia risulta
ormai circoscritta alla misura della penale, giacchè

intervenuta, in primo grado, sentenza di condanna della
Del.Co. al pagamento, a tale titolo, della somma di C 258,22

3

Del.Co. s.r.1.) le sue quote di partecipazione ad un consorzio

al giorno dal 28.05.1995 sino alla data di pubblicazione della
sentenza oltre interessi legali, da defalcarsi di C 23.885,10,
oltre interessi legali dovuti dall’attore alla società – in
sede di gravame, la Corte di appello di Sassari, preso atto
dell’avvenuto adempimento della prestazione di consegna e

ha, per il resto, parzialmente accolto l’appello con sentenza
in data 24.12.2008 e, per l’effetto, ha ridotto la misura
della penale agganciandola alla media dei tassi di interesse
legale nel periodo di riferimento sulla somma non corrisposta
dalla società; ha, quindi, condannato la Del.Co. al pagamento
di C 126,53 giornaliere sino alla data della consegna, ferma
la restante parte della sentenza di primo grado; ha infine
condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Carmine Coratza, svolgendo cinque motivi, illustrati anche da
memoria.
Ha resistito la Del.Co., depositando controricorso.
Parte ricorrente ha, altresì, depositato note scritte per
replicare alle conclusioni assunte dal P.G. in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso – ‘avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.

4

dell’estinzione in parte qua dell’impugnazione della Del.Co.,

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
o falsa applicazione degli artt. 101, 112, 115, 182 e 359 cod.
proc. civ., 1382 e 1384 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc.
civ.). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di
appello abbia proceduto d’ufficio alla riduzione della penale,

dunque, il seguente quesito:

«dica la Suprema Corte di

Cassazione se il Giudice dell’Appello, nel caso che, anche
dopo l’udienza e la discussione della causa, ritenga che
dall’esame delle risultanze emerga l’applicabilità dell’art.
1384 del c.c., mai eccepita, né rilevata in precedenza e
intenda esercitare d’ufficio 11 potere di diminuire equamente
la penale pattuita, è tenuto a sospendere la decisione e a
informare preventivamente dell’insorgere della questione le
parti e porle in condizioni di svolgere le rispettive difese e
le attività consequenziali proprie del diritto al
contraddittorio in relazione alla nuova materia del
contendere».
1.2. Il motivo non merita accoglimento, ancorchè il
Collegio debba ribadire il principio – confermato dalla nuova
formulazione dell’art.384 cod. proc. civ., nonchè
dall’introduzione del comma 2 dell’art.101 cod. proc. civ.
secondo cui il Giudice, il quale ritenga di decidere la lite
in base ad una questione rilevata di ufficio, ha il dovere
costituzionale di provocare il contraddittorio delle parti in
ordine alla questione stessa al fine di evitare la “sentenza a
sorpresa” o della “terza via” che viola la parità delle armi
(v. Cass. 31 ottobre 2005, n 21108; Cass. 21 novembre 2001, n

5

senza previamente sottoporre la questione alle parti; formula,

14637 ed altre).
Siffatto ordine concettuale – con specifico riferimento al
sistema (che qui rileva) antecedente alla novella del 2009
legge n. 69 e all’espressa previsione della sanzione di
nullità introdotta dal comma 2 dell’art. 101 cod. proc. civ. –

(oggi comma 4) cod. proc. civ. che, pur dettato con
riferimento alla prima udienza, è espressivo di un principio
operante per l’intero corso del processo, dovendosi osservare
per tutto il suo sviluppo dal giudice, in posizione di
terzietà, il dovere di collaborazione con le parti ed essendo
intrinseco al corretto svolgimento di un giusto processo il
principio del contraddittorio.
Di conseguenza,

qualora la violazione,

nei termini

suindicati, si sia verificata nel giudizio di primo grado, la
sua denuncia in appello, accompagnata dalla indicazione delle
attività processuali che la parte avrebbe potuto porre in
essere, cagiona, se fondata, non già la regressione al primo
giudice, ma, in forza del disposto dell’art. 354 comma quarto
cod. proc. civ., la rimessione in termini per lo svolgimento
nel processo d’appello delle attività il cui esercizio non è
stato possibile. Ove invece la violazione sia avvenuta nel
giudizio di appello, la sua deduzione in cassazione determina,
se fondata, la cassazione della sentenza con rinvio, affinchè
in tale sede, in applicazione dell’art. 394, terzo comma, cod.
proc. civ., sia dato spazio alle attività processuali omesse.
1.3. Merita in particolare evidenziare che la previsione di
cui all’art. 183 cit. non costituisce adempimento fine a se

6

rinviene un preciso fondamento normativo nell’art. 183 comma 3

stesso, risultando, piuttosto, funzionale a consentire alle
parti di aggiustare le proprie posizioni in conseguenza del
nuovo sviluppo dialettico del processo impresso dal rilievo
officioso. In tale prospettiva le Sezioni Unite di questa
Corte (cfr..sentenza 30 settembre 2009, n. 20935) – pur

giudicante che decida pronunciando sentenza sulla base di
rilievi non previamente sottoposti alle parti (all’udienza

ex

art. 183 c.p.c., ovvero, se emersi o comunque acclarati
diacronicamente rispetto ad essa, anche in un momento
successivo del processo) – hanno precisato che la nullità
processuale non può essere,

Ipso

facto,

sempre e comunque

predicata, quale conseguenza indefettibile di tale omissione.
In particolare il Supremo Collegio – esclusa la rilevanza,
sotto il profilo della violazione del contraddittorio, del
mancato rilievo officioso (e della conseguente, mancata
segnalazione tempestiva alle parti) con riferimento alle
questioni di puro diritto – ha precisato che saranno le sole
questioni di fatto ovvero miste, di fatto e di diritto, a
legittimare la parte soccombente (a prescindere dalla censura
di erroneità della soluzione) a dolersi del

decisum,

sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha
vulnerato la facoltà di chiedere prove (o, in ipotesi, di
ottenere una eventuale rimessione in termini).
In definitiva deve trattarsi di una questione sollevata
d’ufficio che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in
considerazione dalle parti, che, modificando il quadro
fattuale, determini nullità della sentenza per violazione del

7

riconosciuta la violazione “deontologica” da parte del

diritto di difesa delle stesse, privandole dell’esercizio del
contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande
ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste
istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione
solitaria. Di conseguenza l’omessa indicazione alle parti, ad

sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della
sentenza per violazione del diritto di difesa, solo quando la
parte che se ne dolga prospetti

in concreto le ragioni che

avrebbe potuto far valere in sua difesa qualora il
contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato
tempestivamente attivato, in quanto, alla stregua del canone
costituzionale di ragionevole durata del processo, detta
indicazione non costituisce un adempimento fine a sé stesso,
la cui omissione è censurabile in sede d’impugnazione a
prescindere dalle sue conseguenze pratiche, ma assume rilievo
solo in quanto finalizzata all’esercizio effettivo dei poteri
di difesa. (Cass. 12 marzo 2010, n. 6051; Cass. 23 aprile
2010, n. 9702; cfr ancor più di recente SS.UU. 4 settembre
2012, n. 14828 in motivazione, laddove, richiamandosi principi
già espressi da Cass. n.21108/2005 sopra cit., si è ribadito
che la denuncia dell’omessa segnalazione del rilievo ufficioso
deve essere accompagnata dalla indicazione delle attività
processuali che la parte avrebbe potuto porre in essere, il
cui esercizio non è stato possibile).
Tutto ciò è, del resto, in linea con principi ricorrenti
negli ultimi anni nella giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui l’art. 360, n.4, cod. proc. civ., nel consentire

8

opera del giudice, di una questione rilevabile d’ufficio,

la denuncia di vizi che comportino la nullità della sentenza o
del procedimento, non è volto a tutelare l’interesse
all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria (e non
trasforma il ricorrente

nell’anbudsman del processo civile),

ma presidia e tutela, per converso, un diritto
vulnera

subiti in concreto dal

diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato
error in procedendo.

Il precipitato logico di detta regola è

che la nullità della sentenza e del procedimento debbono
essere dichiarate solo ove, nell’impugnazione, alla denuncia
del vizio idoneo a determinarle, segua l’indicazione dello
specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di
difesa

(ex multis Cass. 30 dicembre 2011, n. 30652; Cass. 21

febbraio 2008, n. 4435; Cass. 27 luglio 2007, n. 16630), sia
pure con la precisazione che l’esplicita indicazione del
concreto pregiudizio che la parte abbia o ritenga di avere
accusato dall’affermata violazione della norma processuale non
è necessaria ove quanto lamentato possa essere immediatamente
colto dal contenuto complessivo del ricorso (Cass., 7 ottobre
2010, n. 20811).
Si tratta di una particolare ricaduta applicativa del
principio di proporzionalità nell’uso dell’apparato
giurisdizionale, che impone di rinvenire un preciso limite
all’invocazione della tutela astrattamente espressa dalle
norme processuali, oltre il quale zi-±zRzcap si andrebbe ad
abusare del processo.
1.4. Sciogliendo le fila del discorso e venendo al caso di
specie, si osserva che parte ricorrente non pone in

9

all’eliminazione di eventuali

discussione il principio secondo cui il potere di diminuire
equamente la penale, attribuito dall’art. 1384 cod. civ. al
giudice, può essere esercitato, anche in appello, di ufficio,
dovendosi riconoscere in tale intervento correttivo la
realizzazione del generale interesse alla ricostruzione

settembre 2005, n. 18128; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21297), ma
allega il fatto

in sé della mancata preventiva segnalazione

della questione dell'”eccessività” della penale, lamentando in
termini assertivi che le parti non siano state in grado di
«svolgere le rispettive difese e le attività consequenziali
proprie del diritto al contraddittorio in relazione alla nuova
materia del contendere»;

non indica, però, quali istanze,

modifiche o deduzioni si sarebbero volute effettuare e quale
sarebbe il pregiudizio che in concreto sia ad essa derivato
dall’omessa segnalazione della questione; tantomeno lascia
intendere (neppure con i successivi motivi) quali attività
processuali dovrebbero essere “recuperate” in sede di rinvio
ex art. 394 cod. proc. civ., per non essere state svolte a
causa della decisione “a sorpresa”.
Di conseguenza la rilevata inadempienza non è da ritenere
rilevante ai fini della nullità della sentenza, costituendo
una mera irregolarità, inidonea a giustificarne la cassazione.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione
e falsa applicazione degli artt. 101, 112, 115, 329 e 345 cod.
proc. civ. e 384 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) e si
«dica la Suprema Corte di

formula il seguente quesito:

Cassazione se l’eccezione dell’adempimento dell’obbligazione

10

dell’equilibrio contrattuale (cfr. Cass. Sez. Unite, 13

di consegna di un complesso immobiliare avvenuto dopo la
pubblicazione della sentenza di primo grado fatta
dall’appellato nella comparsa di risposta all’unico scopo di
eccepire l’improponibilità del gravame e l’istanza ex art. 345
cod. proc. civ. volta all’acquisizione del documento

all’appello fatta dall’appellante

in limine

può costituire

elemento probatorio sufficiente ed idoneo, in difetto di altre
risultanze e allegazioni processuali, a legittimare
l’esercizio d’ufficio, da parte del Giudice di appello, del
potere di riduzione della penale ex art. 1384 c.c.».
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione o
falsa applicazione degli artt.1382 e 1384 cod. civ. (art. 360
n.3 cod. proc. civ.) e si formula il seguente quesito:

«dica

la S.C. se in tema di clausola penale per il solo ritardo
della prestazione di consegna, l’esecuzione della prestazione,
avvenuta con ritardo, è circostanza idonea a giustificare,
insieme alla cessazione del decorso della penale, anche la
riduzione della penale in assenza di tutte le condizioni
espressamente singolarmente previste dall’art. 1384 c.c. ».
3.1. I due motivi che si esaminano congiuntamente per la
stretta connessione, sono corredati da quesiti al limite della
comprensibilità e non meritano, comunque, accoglimento.
Essi attingono il punto della decisione in cui la Corte di
appello – confermata la decisione del primo Giudice in punto
di decorrenza della penale – afferma che la misura della
penale giornaliera è

«eccessiva, avuto riguardo che

l’appellante ha comunque provveduto all’adempimento della

11

attestante la consegna, tacitamente rinunziata per la rinunzia

propria prestazione».

Parte

ricorrente

focalizzando

atussl-

l’attenzione

ar

frase – per un verso,

deduce che la circostanza dell’intervenuta consegna degli
immobili “non faceva parte” della res iudicata dal Tribunale e
neppure poteva evincersi dall’eccezione da essa formulata di

all’adempimento dell’obbligazione di consegna) e, per altro
verso, osserva che, trattandosi di penale per il ritardo, la
circostanza dell’avvenuta consegna esula dalla previsione
della prima parte dell’art. 1384 cod. civ., rilevando
unicamente ai fini di fare cessare il corso della penale.
3.2. Nessuna delle suddette censure coglie nel segno.
Va innanzitutto ribadito che il potere di riduzione della
penale può essere esercitato, anche di ufficio, per ricondurre
l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare
meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale
manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in
cui la riduzione avvenga perchè l’obbligazione principale è
stata in parte eseguita, giacchè anche in quest’ultimo caso la
mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione
della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione
si traduce comunque in una eccessività della penale, se
rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta (Cass. Sez. Un.
13 settembre 2005, n. 18128; Cass. 10 aprile 2006, n. 8293).
Ciò premesso in via di principio, il Collegio rileva che
entrambe le censure all’esame si appuntano sull’incipit della
trattazione della questione della riduzione della penale,
trascurando completamente il più ampio percorso argomentativo

12

improcedibilità dell’appello (per la parte relativa

attraverso il quale la Corte di appello dà conto delle ragioni
della riduzione della penale alla luce della ratio perseguita
dalle parti con la previsione della penale e in considerazione
del criterio sotteso alla determinazione del relativo importo
(fl 6, 7 e 8 della decisione impugnata). In tale prospettiva

potere-dovere di riduzione nell’ambito normativo della seconda
parte dell’art. 1384 cod. civ., il rilievo dell'”eccessività”
della penale non trova fondamento nell’argomento del (sia pur
tardivo) adempimento della prestazione, bensì nella
considerazione che la cifra fissa giornaliera di E 500.000,
originariamente individuata in una percentuale dell'”allora”
tasso legale del 10% sulla somma non corrisposta dalla Del.Co.
(dovendo la stessa provvedere a trasferire il “controvalore”
in un certo numero di mc. del realizzando progetto
edificatorio entro trenta mesi) risultava iniqua, avuto
riguardo alle variazioni del tasso legale e del prime rate
intervenute nel periodo di riferimento, denuncianti tassi di
redditività di gran lunga inferiori.
Questa la ratio decidendi della decisione impugnata, appare
chiaro che le censure all’esame risultano eccentriche rispetto
ad essa, giacchè si appuntano su un argomento secondario,
evidentemente desunto dalle pacifiche allegazioni delle parti
e, comunque, eccedente la necessità logico giuridica della
decisione, come tale inidoneo a comportare la cassazione della
decisione impugnata.
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e
falsa applicazione, per altro verso, dell’art. 1384 cod.

13

che riconduce, in maniera non equivoca, l’esercizio del

civ.(art. 360 n.3. cod. proc. civ.) e si formula il seguente
quesito:

«dica la S.C. se il Giudice, ritenuto che l’entità

della penale convenuta dalle parti per il ritardo
nell’adempimento corrisponde obbiettivamente al tasso di
interesse legale corrente al momento della stipula, incorre

di apposita ed espressa convenzione, a ridurre la penale
adeguandola alla media del tassi di interesse legale fissati
nell’arco temporale tra la successiva scadenza
dell’obbligazione principale e il suo ritardato adempimento»
5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.
proc. civ.). Nel “momento di sintesi” ex art. 366

bis cod.

proc. civ. si assume che la Corte di appello «ha esaurito» la
motivazione in ordine alla penale, riferendosi – oltre al
fatto vero dell’avvenuta consegna degli immobili alla
circostanza che la penale era stata determinata dalle parti
applicando il tasso legale dell’epoca, desumendo tale
circostanza da un’osservazione contenuta nella memoria di
replica della parte appellata che aveva tutt’altro
significato, non implicando alcuna ammissione, esplicita o
implicita, di una convenzione tra le parti di una qualsivoglia
indicizzazione per il futuro.
5.1. I due motivi si incentrano sul punto della decisione
impugnata in cui si legge:

«in proposito, va tenuto presente

che, secondo le precisazioni – non smentite – dall’appellato,
la previsione di una penale di £ 500.000 giornaliere è stata

14

ic901

nella violazione dell’art. 1384 c.c. se provvede, in difetto

determinata applicando il rendimento del tasso legale
all’epoca vigente (10%) sulla somma non corrisposta dalla
società appellante».
Parte ricorrente

muovendo dal presupposto che «/e

precisazioni – non smentite – dell’appellato»

sarebbero state

dell’appellante – da un lato, denuncia, in relazione al n.3
dell’art. 360, la violazione (anche) della seconda parte
dell’art. 1384 cod. civ., atteso che il tasso di interesse
legale non poteva che rappresentare il tasso di interesse
minimo che il creditore aveva alla prestazione al momento
della stipula e, dall’altro, lamenta, in relazione al n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ., che la Corte di appello non
abbia correttamente individuato il significato delle
allegazioni difensive, siccome formulate al diverso fine di
individuare il dies a quo del pagamento della penale.
5.2. Anche i suddetti motivi sono eccentrici rispetto al
decisum;

tutto ciò si riflette ovviamente sui quesiti di

diritto e c.d. “di fatto” (“la chiara indicazione” richiesta
dalla seconda parte dell’art. 366

bis cod. proc. civ.) che

muovono da una premessa estranea alla decisione impugnata e
cioè che il giudice di appello abbia postulato
“un’indicizzazione” della penale pur in difetto di un’espressa
convenzione in tal senso tra le parti.
Invero

precisato che le circostanze rilevanti per la

valutazione dell’eccessività della penale risultano desunte
dal giudice di appello ex actis, non solo (e non tanto) dalle
«precisazioni», non smentite, dell’odierna ricorrente, quanto,

15

“estrapolate” dalla memoria di replica alla conclusionale

piuttosto, dalla stessa formulazione della clausola penale e
dalla complessiva disamina dell’articolato accordo tra le
parti – va qui ribadito, alla luce della ratio decidendi sopra
evidenziata

(sub

3.2.) ) che la Corte di appello, ha

correttamente fondato l’esercizio del potere discrezionale, a

dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo
all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle
prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale.
In materia questa Corte ha affermato che ai fini
dell’esercizio del potere di riduzione della penale, il
giudice non deve valutare l’interesse del creditore con
esclusivo riguardo al momento della stipulazione della
clausola – come sembra indicare l’art. 1384 cod. civ.,
riferendosi

all’interesse

che

il

creditore

“aveva”

all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con
riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente
eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche
nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione
principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli
artt.

2

Cost.,

1175

e

1375

cod.

civ.,

conformativi

dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere,
quindi, che la lettera dell’art. 1384 cod. civ., impiegando il
verbo

“avere”

all’imperfetto,

si

riferisca

soltanto

all’identificazione dell’interesse del creditore, senza
impedire che la valutazione di manifesta eccessività della
penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo
svolgimento del rapporto (Cass.6 dicembre 2012, n. 21994).

16

norma dell’art. 1384 cod. civ.., sulla valutazione

Ed è per l’appunto in tale prospettiva che si è mossa la
Corte di appello allorchè ha evidenziato che la penale,
ancorchè adeguata all’interesse del creditore al momento della
stipulazione, risultava “eccessiva” alla luce delle variazioni
dei rendimenti monetari intervenuti nell’arco temporale di

merito e, come tali, non sindacabili in questa sede.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Si ravvisano i giusti motivi di cui all’art. 92 cod. proc.
civ. (nel testo originario qui applicabile

ratione temporis)

per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio
di cassazione, avuto riguardo all’irregolarità connessa alla
mancata segnalazione del rilievo ufficioso e considerata,
altresì, la peculiarità delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese
del giudizio di cassazione tra le parti.
Roma 25 marzo 2013

riferimento: le relative valutazioni sono, poi, di stretto

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA