Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14037 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 31/03/2011, dep. 27/06/2011), n.14037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

EUROPEAN VINYLS CORPORATION ITALIA;

– intimato –

sul ricorso 15401-2006 proposto da:

INEOS VINYLS ITALIA SPA (già EUROPEAN VINYLS ITALIA SPA), in persona

del Presidente del CdA pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA GIACOMO PUCCINI 9 presso lo studio dell’avvocato PERRONE

LEONARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TARDELLA GIANMARCO procura speciale Notaio Dr. GASPAROTTI ALBERTO in

Venezia-Mestre REP. 20485 del 2/5/06;

– controricorrente e ricorrente inc.le –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 61/2005 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 03/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/03/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il resistente l’Avvocato PERRONE LEONARDO, che ha chiesto

l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso principale,

l’accoglimento di quello incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atti in data 22.12.1999:

1) La EVC (European Vinyls Corporation) s.p.a. vendeva alla soc. svizzera Celtica ambiente s.a. uno stabilimento industriale chimico sito in Brindisi, nello stato di fatto in cui si trovava, per il prezzo dichiarato di Euro 9.037.995,73; e l’acquirente società si obbligava a realizzare il progetto di riconversione industriale dell’area, ad assumere i dipendenti di EVC e a garantire la messa in sicurezza e la bonifica del terreno;

2) La Celtica Ambiente emetteva fattura n. 150 per l’importo di L. 17.000.000.000 (pari a Euro 8.779.767,28) oltre IVA per L. 3.400.000.000, a carico della EVC per l’esecuzione dei lavori di bonifica di cui innanzi;

3) La stessa Celtica Ambiente sottoscriveva l’aumento di capitale della sua controllata italiana Powerco per Euro 9.037.995,73;

4) La Powerco acquistava a sua volta lo stabilimento dalla Celtica Ambiente al prezzo dichiarato di Euro 10.845.594,88.

A seguito di verifica fiscale eseguita dalla G.d.F. nei confronti della Powerco in data 8.2.2002, non risultando tra l’altro i suddetti lavori di bonifica ancora eseguiti, gli operatori ritenevano la fattura di cui al punto 2) che precede, emessa per operazione inesistente, della qual cosa informavano l’Ufficio delle Entrate di Venezia 1, che in data 22.7.2003 notificava alla EVC un avviso di accertamento per la contestuale rettifica delle dichiarazioni Irpeg, Iva e Irap per l’anno 1999, sulla base del disconoscimento del costo di L. 17.000.000.000 che la società, a giudizio dell’Ufficio, aveva dedotto dall’imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’Irap, nonchè della detrazione dell’Iva relativa, per un importo di L. 3.400.000.000.

La contribuente impugnava l’atto impositivo per motivi di legittimità e di merito, e il giudice adito, respinte le eccezioni relative alla pretesa carenza di motivazione dell’atto e all’erronea applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, annullava l’avviso di accertamento ritenendo sussistente il presupposto oggettivo dell’operazione.

Avverso tale sentenza proponeva gravame l’Agenzia delle Entrate sostenendo, oltre che la legittimità dell’accertamento con riferimento alle già disattese eccezioni formulate dalla società EVC, la fondatezza del medesimo atto per le ragioni tutte già esposte nel precedente grado di giudizio.

La C.T.R. del Veneto, con sentenza n. 61/3/05, depositata il 16.12.2005 e notificata il successivo 3.2.2006, respinta la preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici, rigettava il gravame, ritenendo, anche ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 11, in tema di operazioni permutative, che dall’intera transazione commerciale intervenuta tra le parti nel 1999 fossero sorte varie obbligazioni contrattuali a loro carico, sinallagmaticamente collegate, e così in particolare gli obblighi della Celtico Ambiente di: a) realizzare il progetto di riconversione industriale dell’area e dello stabilimento acquistati;

b) garantire la conservazione dei posti di lavoro esistenti nello stabilimento; c) procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica del terreno; il tutto a fronte di un corrispettivo di L. 17.000.000.000; e che tutte le obbligazioni, anche di pagamento, previste erano state adempiute dalle parti contraenti (v. in particolare reciproci pagamenti e assunzione del personale da parte della Celtica Ambiente), fatta eccezione per la sola operazione di bonifica del terreno, che però non costituiva l’unica obbligazione a carico della società acquirente, e comunque riguardava un’attività che doverosamente e legittimamente era stata fatturata, indipendentemente dall’esecuzione, al momento del pagamento del corrispettivo, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, comma 3.

Per la cassazione della sentenza di appello proponevano ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate deducendo un unico articolato motivo.

Al ricorso resisteva la Ineos Vinyls Italia s.p.a. (già European Vinyls Corporation Italia s.p.a.) con controricorso e contestuale ricorso incidentale condizionato, nonchè con successiva memoria aggiunta, formulando eccezione di inammissibilità del ricorso principale perchè rivolto a prospettare questioni di fatto non proponibili in sede di legittimità, nonchè per il giudicato formatosi sull’adempimento dell’obbligazione relativa all’assunzione dei dipendenti da parte della celtica Ambiente, contestando comunque la fondatezza del ricorso e riproponendo le altre eccezioni e difese non accolte dal giudice di merito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Rileva questa Suprema Corte doversi preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza, e dichiarare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso del Ministero in quanto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado perchè soggetto rimasto estraneo al giudizio di appello (ex plurimis. v. Cass. 23.4.2010, n. 9794).

Non risultando la questione definitivamente ed univocamente ancora chiarita negli esposti termini, al momento del ricorso, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra Ministero e società intimata.

2 – Con l’unico complesso motivo di ricorso articolato dall’Agenzia la ricorrente deduce i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 1552 e 2697 c.c. – artt. 115 e 116 c.p.c. -D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4, 6, 11, 19 – D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 54, 66, 75 (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), e di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti di fatto e documenti decisivi ai fini della definizione della controversia (ex art. 360 c.p.c., n. 5).

La società intimata replica eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso perchè relativo a questioni di fatto non proponibili nell’attuale fase del giudizio, nonchè in virtù del giudicato interno che si sarebbe formato sull’adempimento da parte della Celtica Ambiente dell’obbligazione di assunzione dei dipendenti.

Le eccezioni sono entrambe infondate. Ed invero, quanto al preteso giudicato interno, la problematica relativa all’assunzione degli ex dipendenti della E.V.C., non è direttamente rilevante nel presente giudizio, e tanto meno costituisce l’oggetto della presente controversia, riguardando prestazione che per un verso risulta addirittura estranea al contenuto della fattura n. 150 del 22.12.1999, così come integralmente riportato con l’uso del virgolettato a pag. 8 del ricorso dell’Agenzia e non specificamente contestato dalla contribuente, e per altro verso resta comunque estranea all’attività di bonifica del terreno, che di quella fattura costituisce il sicuro oggetto, e la cui effettività integra il punto nodale della presente lite.

Per quanto invece relativo alla pretesa riproposizione, attraverso la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, di questioni di fatto che sarebbero state già puntualmente esaminate e valutate dal giudice di merito, osserva questa Corte che se è indubitabilmente vero che il vizio della motivazione, deducibile in cassazione, non può mai consistere nella difformità degli apprezzamenti formulati dal giudice rispetto alle valutazioni proposte dalla parte o nella mancata specifica confutazione di tutte le argomentazioni difensive, è anche vero però che il vizio sussiste allorquando nel ragionamento de giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi, o quando emerga un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte (ex plurimis v. Cass. 18.3.2011, n. 6288; 13.11.2010, n. 23296;

23.12.2009, n. 27162). Orbene entrambe le indicate ipotesi costituiscono oggetto della doglianza formulata in ricorso, onde la sua inequivocabile ammissibilità.

Tanto premesso il ricorso proprio con riferimento alla denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, risulta fondato nei termini che saranno di seguito chiariti.

In fatto emerge dall’impugnata sentenza che con l’atto del 22.12.1999 la Celtica, contestualmente acquirente dello stabilimento industriale in precedenza gestito dalla EVC, per il prezzo di L. 17.500.000.000 circa, si sarebbe obbligata nei confronti della società alienante, e dietro pagamento di un corrispettivo complessivamente determinato in L. 17.000.000.000, a realizzare un progetto di riconversione industriale dell’area; garantire l’assunzione dei dipendenti della EVC; eseguire le opere di messa in sicurezza e bonifica del terreno.

La controversia scaturisce dal fatto che per la società intimata le attività a carico della Celtica costituivano il contenuto di un’obbligazione di servizi contrattualmente assunta, il cui costo, rappresentato dalla fattura n. 150 emessa in quella stessa data, legittimamente poteva essere portato in deduzione ai fini dell’imposta sul reddito della società, così come l’IVA pagata sulla prestazione poteva essere portata in detrazione, mentre per l’Ufficio la rappresentazione negoziale dei rapporti intercorsi tra le parti, senza reale movimentazione di denari tra le tre società coinvolte, sarebbe stata funzionale a far risultare “un movimento finanziario solo strumentale per consentire alla società Celtica A sa il possesso dei fondi necessari al pagamento del sito industriale di Brindisi ed il contemporaneo aumento di capitale sociale di Powerco s.p.a. di Euro 9.037.995,74”, dovendosi ritenere inesistenti le attività fatturate, onde l’esclusione del costo portato in deduzione e della detrazione Iva computata dalla Eve. A tal riguardo la G.d.F. deduceva in particolare che: “sulla base di elementi concreti e certi … i lavori di bonifica previsti nella fattura n. 150 del 22.12.1999 emessa da Celtica A. s.a. non sono mai stati effettuati. Tale fattura … è pertanto da ricondurre ad operazioni inesistenti”.

Se così è la risoluzione della lite ruota intorno alla interpretazione del contratto di trasferimento dello stabilimento, e all’esistenza di un effettivo interesse della società alienante all’esecuzione della prestazione fatturata, che ne giustificasse la configurazione come autonoma obbligazione a carico della società acquirente, dovendosi altrimenti ritenere, come opinato dall’Ufficio, trattarsi soltanto di una modalità di determinazione del prezzo, concordata unicamente per finalità diverse ed estranee al contenuto dell’atto (quali, ad esempio, consentire alla EVC la detrazione di IVA in realtà mai effettivamente versata per insussistenza della prestazione di servizio ad essa correlata, o ancora garantire alla Powerco, società controllata dalla Celtica Ambiente di acquistare il terreno ad un prezzo enormemente maggiore del suo valore reale), e comunque, quel che più conta ai fini del presente giudizio, senza che ad essa corrispondesse un obbligazione effettiva per l’acquirente, avente ad oggetto la mai eseguita attività di bonifica del terreno, onde l’inesistenza della operazione fatturata.

La CTR, dopo aver trascurato di riportare in sentenza in maniera puntuale e analitica i contenuti rilevanti del contratto intervenuto tra le parti il 22.12.1999, li ha poi riassunti in maniera palesemente contraddittoria, e comunque inadeguata, allorchè, dopo aver affermato in maniera chiara e categorica che la vendita del terreno era avvenuta “nello stato in cui esso si trovava, senza che la compratrice ottenesse alcun indennizzo per la necessaria bonifica e messa in sicurezza del terreno”, ha poi riferito in parentesi che “(tale attività è stata invece retribuita dalla EVC, cui competeva, tramite la fattura per spese di riconversione e bonifica di L. 17.000.000.000 oltre Iva di cui qui si discute)”. Al riguardo non può non rilevarsi quanto sia quanto meno incongruo pretendere di relegare in forma parentetica l’affermazione della veridicità del presupposto oggettivo dell’operazione contestata, e così ribaltare quanto invece immediatamente prima detto con proposizione principale, in termini assolutamente opposti. Non senza considerare come l’efficacia della proposizione parentale risulti inevitabilmente pregiudicata dall’assenza di adeguati chiarimenti sul perchè l’onere economico di quelle attività dovesse ricadere sulla EVC visto che la stessa, al momento della fatturazione, che aveva preceduto l’esecuzione dei lavori di bonifica, non era più proprietaria del terreno, e quindi interessata alla sua bonifica.

La rilevata contraddizione appare poi tanto più grave perchè si accompagna alla omessa valutazione delle deposizioni rese dal tecnico della società EVC, ing. C., e dal legale della Powerco, avv. Fusco, così come riportate nel p.v.c. della G.d.F. e trascritte in ricorso, secondo le quali la società alienante si sarebbe fatta carico unicamente di garantire lo smaltimento delle sostanze pericolose dall’interno degli impianti, onde assicurare che i successivi interventi da parte dell’acquirente potessero svolgersi in condizioni di sicurezza (attività poi effettivamente eseguita a mezzo di ditte estranee alla Celtica Ambiente), mentre la bonifica del terreno sarebbe stata da eseguire con oneri a carico della società acquirente.

D’altronde, e qui ancora una volta la sentenza impugnata rivela l’insufficienza della sua motivazione, come già innanzi osservato il giudice del gravame neanche si è preoccupato di chiarire per qual mai motivo la società alienante, ai momento della perdita della proprietà del terreno e dello stabilimento, avrebbe dovuto prendersi cura di garantire l’esecuzione su di essi dei necessari interventi di bonifica, fino al punto di richiedere alla Celtica Ambiente di obbligarsi al riguardo nei suoi confronti, accollandosi il relativo onere economico in almeno apparente contrasto con le risultanze dell’atto di trasferimento, così tra l’altro quasi svuotando di contenuto economico quell’atto che a fronte di un prezzo di vendita di Euro 9.037.995,73 prevedeva a carico della alienante l’obbligo di pagamento alla controparte di un corrispettivo di Euro 8.779.767,28 (pari a L. 17.000.000.000) per l’esecuzione delle attività a carico della acquirente Celtica s.a..

Ed a ben vedere l’osservazione di cui innanzi sembra gettare un’ombra sull’insieme delle obbligazioni apparentemente assunte dalla Celtica Ambiente, non emergendo dalla sentenza quale potesse essere l’interesse della società alienante alla loro complessiva esecuzione: un interesse che, invece, avrebbe dovuto emergere con assoluta chiarezza, non fosse altro che per la sua idoneità ad assorbire quasi integralmente il contenuto economico della vendita, riducendo il lucro effettivamente conseguito dalla venditrice da L. 17.500.000.000 ad appena L. 500.000.000 circa, così da giustificare il sospetto dell’Ufficio che le parti avessero in realtà soltanto simulato un appalto di servizi, per finalità estranee ai contenuti dell’atto, senza che fosse stata mai non solo effettivamente eseguita, ma neanche realmente prevista l’attività di bonifica del sito. E la considerazione non è di poco momento se sol si considera il rilievo che essa assume in ordine al parziale adempimento invocato dalla società intimata a sostegno della tesi dell’effettività dell’obbligazione assunta e remunerata.

A questo proposito ulteriore circostanza da valutare, e che invece non risulta affatto apprezzata dal giudice di merito che al riguardo si è limitato a rilevare “l’effettiva esecuzione dei pagamenti di cui alla fattura contestata: le somme in questione risultano documentalmente prelevate sui conti delle società interessate dall’operazione, con contestuale emissione delle relative fattura”, è che dalle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dai funzionari bancari N.G. e G.C. alla G.d.F. così come trascritte in ricorso, e prima ancora nell’atto di appello, emerge che l’effettivo movimento di danaro tra le due società riguardò soltanto l’importo di Euro 258.228,45 pari a L. 500.000.000 circa, che costituiva la differenza tra le rispettive obbligazioni a carico dei contraenti, e che potrebbe in definitiva rappresentare l’effettivo corrispettivo concordato per il trasferimento del terreno. L’omesso esame da parte della CTR delle pagine del p.v.c. dalle quali emergono le citate circostanze, idonee a ricostruire i rapporti finanziari tra i contraenti come realizzatisi prevalentemente, e comunque per l’importo di cui alla fattura contestata, mediante una mera operazione di giroconto, contribuisce significativamente a rendere insufficiente la motivazione della sentenza per non aver tenuto conto il giudicante di un fatto oggettivamente idoneo a supportare la tesi dell’inesistenza dell’operazione fatturata.

La carenza di un effettivo interesse della EVC all’esecuzione delle prestazioni fatturate, e soprattutto della principale tra esse (quella avente ad oggetto l’attività di bonifica di un terreno oramai ceduto a terzi), l’assenza di un concreto movimento di danaro a titolo di pagamento di quelle prestazioni, il contrasto rilevabile tra le affermazioni contenute nell’atto di trasferimento in ordine al passaggio di proprietà dei terreno “nelle condizioni in cui esso si trovava”, e l’onere delle operazioni di bonifica che la società alienante si sarebbe viceversa accollato, integrano circostanze di oggettivo rilievo, e quindi decisive, ai fini del riconoscimento dell’effettività o meno delle prestazioni medesime, risultanti da documenti di causa e non adeguatamente valutate dal giudicante.

Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi come decisivo il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, giacchè se è vero che la citata disposizione prevede che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, con il conseguente obbligo di emissione della relativa fattura, indipendentemente dall’effettiva esecuzione della prestazione medesima, nel caso di specie quello che è in contestazione è che vi sia stato un effettivo pagamento di quei servizi, e prima ancora che vi sia stata una reale obbligazione in tal senso da parte della soc. Celtica. E ciò tanto più che costituisce un dato di fatto inequivocabile che a distanza di oltre due anni dal contratto, quelle attività di bonifica non risultavano affatto eseguite, ed anzi il terreno costituì oggetto di contestuale ulteriore cessione dalla Celtico Ambiente alla soc. Powerco (nè dell’esecuzione di quelle attività si è mai più avuto notizia nel corso del processo).

Piuttosto deve al riguardo rilevarsi come il sistema di pagamento dell’IVA sia tutto improntato, attraverso i meccanismi di cui soprattutto al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, a consentire la detrazione dell’imposta nei limiti in cui essa risulti effettivamente dovuta per prestazioni realmente svolte, prevedendo procedure successive di adeguamento alla realtà fattuale dei rapporti laddove le vicende contrattuali si svolgano in maniera tale da caducare in tutto o in parte l’obbligazione di prestazione di servizi originariamente assunta da una delle parti contraenti, regolarmente pagata e fatturata e successivamente non più eseguita.

Mentre per quanto riguarda l’Irpeg, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (ex art. 75) consente la deduzione dei costi ai fini della determinazione del reddito d’impresa, nei limiti in cui essi risultino certi e inerenti, così che l’eventuale inesistenza di operazioni fatturate, in quanto idonea ad incidere sulla certezza del costo, può refluire sulla sua deducibilità.

Orbene, come già in premessa rilevato, secondo consolidata giurisprudenza di legittimita.’ Il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è configurabile quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice de merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e su significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (v. in aggiunta alle altre già innanzi richiamate, Cass. 2.2.2007, n. 2272; n. 21249/06; n. 14973/06; n. 14304/05; n. 7086/05).

Ma è la prima ipotesi quella che, per i motivi innanzi esposti, deve ritenersi ricorrere nel caso in esame, onde la fondatezza del ricorso principale.

3. Infondato, ed in parte addirittura inammissibile, è invece il ricorso incidentale condizionato della contribuente.

Con il primo motivo ha dedotto la società la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, con riferimento alla eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici formulata dinanzi alla C.T.R. e da questa rigettata.

La doglianza è infondata come dal giudice dei gravame ampiamente e condivisibilmente esposto in sentenza, risultando il ricorso in appello dell’Ufficio, benchè contenente anche riferimenti a questioni già risolte dalla C.T.P. favorevolmente all’appellante, sufficientemente specifico ai fini dell’individuazione dei limiti della devoluzione e delle ragioni per le quali si invocava la riforma della sentenza di primo grado.

Con gli altri tre motivi la ricorrente in via incidentale ha invece riproposto questioni che aveva posto con il suo iniziale ricorso, e successivamente ribadito in sede di costituzione in appello, lamentando in particolare:

a) La nullità dell’accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42;

b) La nullità dell’irrogazione della sanzione, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16;

c) La nullità accertamento per violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, per essere l’atto impositivo, in conseguenza dell’integrale rinvio al p.v.c. motivato sulla base di prove testimoniali non ammissibili nel processo tributario.

Tali difese risultano tutte inammissibili in questa sede investendo questioni che, non affrontate e risolte dalla C.T.R. perchè ritenute assorbite dalla infondatezza nel merito dell’accertamento, potranno essere a quel giudice nuovamente riproposte in sede di rinvio (v.

Cass. 26.4.2010, n. 9907; 10.12.2009, n. 25821; 15.2.2008, n. 3796).

4 . Conclusivamente il solo ricorso principale deve dunque trovare accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della controversia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della C.T.R. della Puglia.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e compensa le spese tra Ministero e società intimata.

Accoglie il ricorso dell’Agenzia, rigetta il ricorso incidentale della contribuente, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della C.T.R. della Puglia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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