Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14037 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14037 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

Data pubblicazione: 04/06/2013

SENTENZA

sul ricorso 4151-2009 proposto da:
STARA

SALVATORE

STRSVT41E14I851R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DUILIO 22 (AGENZIA OMNIA
SERVICE S.R.L.), presso lo studio dell’avvocato STARA
SALVATORE, che lo rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013
701

contro

EQUITALIA SARDEGNA S.P.A., PRESIDENTE DEL TRIBUNALE
DI NAPOLI, PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI CAGLIARI;
– intimati –

1

L

Th

nonchè contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del ministro
p.t., domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui
è difeso per legge;
resistente con atto di costituzione

avverso la sentenza n. 2131/2008 del TRIBUNALE di
CAGLIARI, depositata il 04/07/2008, R.G.N. 6965/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato SALVATORE STARA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. L’Avvocato Salvatore Stara ha proposto ricorso per cassazione contro il
Ministero della Giustizia e la s.p.a. Equitalia Sardegna (già Bipiesse Riscossioni s.p.a.)
avverso la sentenza del 4 luglio 2008, con la quale il Tribunale di Cagliari ha rigettato
l’opposizione da lui proposta, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. avverso undici cartelle
esattoriali, emesse dalla Bipiesse di Cagliari (ora Equitalia s.p.a.), per la riscossione di

spese di giustizia ed accessori per conto del Ministero della Giustizia.
Al ricorso ha resistito con atto denominato “atto di costituzione”, depositato in
cancelleria il 7 aprile 2009 ma non notificato, soltanto il Ministero della Giustizia.
§2. La trattazione del ricorso, essendo soggetta alla disciplina delle modifiche al
processo di cassazione, disposte dal d.lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi
proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006
compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del d.lgs. (art. 27, comma 2 di tale d.lgs.),
veniva fissata in camera di consiglio ai sensi del art. 380-bis c.p.c. per l’adunanza del 28
gennaio 2010 e la relazione predisposta ai sensi di detta norma veniva notificata agli
avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
§2.1. Il ricorrente, dopo avere depositato tempestiva memoria ai sensi dell’art. 380bis (nel testo applicabile ratione temporis), con istanza depositata il 26 gennaio 2010
ricusava quattro membri del collegio designato, fra cui il relatore.
Sospeso il processo a norma dell’art. 52, ultimo comma, c.p.c. altro Collegio di
questa Sezione, con ordinanza del 2 aprile 2010, n. 8190, respingeva l’istanza di
ricusazione.
Veniva nuovamente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio sulla
relazione già depositata per 1’8 luglio 2010 e parte ricorrente, dopo avere depositato
memoria in funzione della detta adunanza, depositava nuova istanza di ricusazione il 5
luglio 2010. Il Collegio, nella detta adunanza, sospendeva il processo e disponeva
rimettersi il fascicolo al presidente titola della sezione.
§3. Il presidente titolare della sezione ha fissato l’odierna udienza pubblica.
In vista di essa parte ricorrente ha depositato memoria.
§4. Parte ricorrente ha anche depositato brevi osservazioni sulle conclusioni del
Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 379 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
3
Est. Co

ffaele Frasca

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

§1. Il Collegio ritiene preliminarmente necessario svolgere alcune considerazioni
sullo svolgimento processuale che è sfociato nella fissazione dell’odierna udienza.
Va rilevato, infatti, che sull’istanza di ricusazione del 5 luglio 2010 non si è mai
provveduto.
Essa riguardava magistrati non facenti parte del presente Collegio, ad eccezione
dell’odierno relatore ed estensore.

La fissazione dell’odierna udienza appare espressione del potere ordinatorio del
presidente titolare e sulla ritualità dell’esercizio, che si è concretato nella rimozione della
sospensione disposta all’adunanza dell’8 luglio 2010, non sono state sollevate questioni dal
ricorrente, né nella memoria depositata in funzione dell’odierna udienza, né all’odierna
udienza.
§1.1. In particolare, nella memoria, che rappresentava la prima difesa esercitata dopo
il provvedimento di fissazione dell’udienza pubblica odierna parte ricorrente non aveva
prospettato alcun rilievo su tale fissazione, né ha lamentato che non si sia provveduto sulla
suddetta istanza di ricusazione.
Ne consegue che ogni ipotetica nullità dello svolgimento del procedimento si sarebbe
dovuta considerare sanata ai sensi del secondo comma dell’art. 157 c.p.c.
§1.2. E’ da considerare, d’altro canto, che nella specie non si sarebbe potuta
escludere la rilevanza dell’art. 157, secondo comma, c.p.c. ipotizzando che si vedesse in
un ambito in cui eventuali profili di nullità sarebbero rilevabili d’ufficio ed in ipotesi
riconducibili al vizio ai sensi dell’art. 158 c.p.c.: è sufficiente osservare che, essendo la
ricusazione avvenuta in forza di un’iniziativa della parte anche il successivo svolgimento,
quanto al potere di rilevazione di presunte nullità è dominato dall’impulso di parte.
§1.3. Si deve, comunque, aggiungere che l’istanza di ricusazione su cui non si è
provveduto avrebbe conservato attualità soltanto per il relatore, atteso che del presente
Collego non fanno parte gli altri magistrati che erano stati chiamati a comporre il Collegio
dell’adunanza dell’8 luglio 2010.
Peraltro, in riferimento all’odierno relatore, il Collegio avrebbe dovuto rilevare che
quanto dedotto nella pagina 4, punti 1), 2) e 3) riguardo al medesimo nell’istanza di
ricusazione del 5 luglio 2010, si risolveva, per un verso nella imputazione del non aver
segnalato (punto 1) al presidente titolare un presunto anomalo svolgimento della decisione
sulla ricusazione e, dunque, in una inammissibile impugnazione della decisione stessa (che
l’art. 53, secondo comma, dice espressamene inimpugnabile), per altro verso (sempre
4
Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

punto 1) nel non aver segnalato la presunta anomalia della nuova fissazione dell’adunanza
e, quindi, un profilo dipendente da quello precedente e come tale inammissibile per la
medesima ragione per evidente dipendenza, per altro verso ancora (j)unto 2) nell’espressa
riproposizione delle ragioni della prima ricusazione e, dunque, nuovamente
nell’impugnazione surrettizia della decisione di rigetto della ricusazione, ed in fine (punto
3) nel rinvio alle argomentazioni “di merito” a critica della relazione svolte nella memoria
illustrativa depositata si sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e, dunque, non già nell’esposizione di

motivi di ricusazione.
Ne sarebbe derivato che l’istanza nei confronti dell’odierna relatore si sarebbe potuta
reputare inammissibile e la sospensione disposta in ragione della ricusazione, pur in difetto
di espressa affermazione, sarebbe stata da riferire — ove in ipotesi fosse stata ancora
rilevante – esclusivamente agli altri quattro consiglieri componenti il Collegio, che non
compongono il Collegio odierno.
Sicché, tenuto conto che l’istanza sarebbe stata inammissibile verso il relatore perché
concretantesi nella mera impugnazione della decisione di cui all’ordinanza n. 8190 del
2010 e che il Collegio odierno non comprende gli altri magistrati ricusati, il mancato
formale provvedimento sull’istanza di ricusazione del 5 luglio 2010 sarebbe, in definitiva,
risultato del tutto ininfluente sul presente svolgimento processuale.
§1.4. Peraltro, in via preliminare alla discussione nella pubblica udienza ed al fine di
assicurare pienamente il contraddittorio, il Collegio ha ritenuto opportuno domandare al
ricorrente se l’istanza di ricusazione su cui non si è provveduto, data la odierna
composizione del Collegio ed in ragione del rigetto della prima nei riguardi del relatore,
conservasse dal suo punto di vista rilievo e parte ricorrente ha espressamente risposto
negativamente dichiarato che si poteva procedere alla discussione ed alla decisione.
Ne consegue che il ricorso può essere senz’altro deciso.
§2. Il Collegio ritiene che le ragioni di inammissibilità evidenziate a suo tempo nella
relazione depositata in funzione della trattazione in camera di consiglio, siano condivisibili
e possano senz’altro essere affermate in questa sede, atteso che, per un verso non v’è stata
alcuna rimessione alla pubblica udienza ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380-bis c.p.c.
nel testo introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile al ricorso, e considerato, per
altro verso, che, se anche — come non è accaduto, atteso che la rimessione al presidente
titolare della sezione avvenne in ragione della sospensione del processo per la ricusazione una rimessone ai sensi di quella norma vi fosse stata a seguito di effettiva trattazione
nell’adunanza dell’8 luglio 2010, cioè se anche non fossero state ritenute sussistenti le
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Est. Ccins. Raffaele Frasca

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

ragioni di cui all’art. 375 c.p.c., la relativa valutazione non sarebbe stata in alcun modo
vincolante in questa sede, posto che l’ordinamento non la prevedeva.
Onde il Collegio conserva pienamente il potere di valutare le condizioni di
ammissibilità del ricorso.
§3. Con il primo motivo si deduce “Ex artt, 111/7 Cost. e 360 nn. 3-4 c.p.c., per
violazione di legge, in relazione alla violazione e falsa applicazione della legge 212/2000,

degli artt. 112 c.p.c., 111/6 Cost.. e 132/4 c.p.c.”.
L’illustrazione di questo motivo, che, in ragione dell’indicazione delle norme violate,
suppone la proposizione di due distinte censure, si conclude con la richiesta alla Corte di
enunciare ai sensi dell’art. 366-bis il seguente principio di diritto: <>.
Il Collegio rileva preliminarmente che l’art. 366-bis c.p.c. è applicabile al ricorso
nonostante l’abrogazione intervenuta il 4 luglio 2009 per effetto dell’art. 47 della stessa
legge. L’art. 58, comma 5, della legge ha, infatti, sostanzialmente disposto che la norma
abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati dopo quella data avverso provvedimenti
pubblicati anteriormente (si vedano: Cass. (ord.) n. 7119 del 2010; Cass. n. 6212 del 2010
Cass. n. 26364 del 2009; Cass. (ord.) n. 20323 del 2010). Nel contempo, non avendo avuto
l’abrogazione effetti retroattivi l’apprezzamento dell’ammissibilità dei ricorsi proposti,
come quello in esame, introdotto con notificazione perfezionatasi — anche dal punto di
vista del notificante — nel febbraio del 2009, anteriormente a quella data continua a doversi
fare sulla base della norma abrogata, che ha dispiegato i suoi effetti regolatori del
contenuto del ricorso al momento in cui era pienamente vigente e non ha visto elisi detti
effetti.
Tanto premesso, il Collegio osserva che sono prospettati tre quesiti di diritto, che,
tuttavia, non sono espressamente correlati alle due distinte censure proposte con il primo
Est. Co

affaele Frasca

art. 7, e della ivi richiamata legge 241/90, e per nullità della sentenza data dalla violazione

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

motivo, che sono non solo formalmente distinte, a stare alla indicazione del motivo sopra
riportata, ma anche distinte sostanzialmente, data l’oggettive diversità delle norme indicate
come violate, talune delle quali ineriscono a norma del procedimento.
A tutto voler concedere e superando il rilievo che nella formulazione del quesito di
diritto il ricorrente in cassazione aveva l’onere della chiarezza, i riferimenti normativi che
in essi si rinvengono potrebbero consentire di correlare solo il secondo ed il terzo.

vigenza dell’art. 366-bis c.p.c., era necessario che ciascun motivo fosse concluso da un
quesito di diritto (si veda già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007, seguita dalla successiva
giurisprudenza) e che, quando formalmente in un unico motivo si fossero proposte distinte
censure, si doveva formulare un quesito per ciascuna di esse, evidenzia a fortiori che l’art.
366-bis non risulta nella specie osservato.
Da qui l’inammissibilità del motivo e delle censure.
Va ricordato, al riguardo, che è stato deciso che: <> (Cass. n. 4556 del 2009); e che è stato, parimenti statuito che
<> (Cass. n. 13868 del 2010).
Le Sezioni Unite della Corte, inoltre, hanno sottolineato, sempre nella direzione che
ad ogni censura debba corrispondere un quesito, che <> (Cass. sez. un. n. 5624
del 2009).
§3.1. Il Collegio rileva che, se si superasse il precedente rilievo di inammissibilità, si
dovrebbe considerare che i proposti quesiti sono inidonei ad integrare il requisito di cui
all’art. 366-bis c.p.c., in quanto sono del tutto astratti, privi cioè di riferimento, pur
sommario, alla vicenda oggetto del giudizio ed al decisum della sentenza impugnata.
Tutti e tre i quesiti prospettano, infatti, interrogativi che, pur potendo evocare astratti
principi normativi di doverosa conoscenza per questa Corte, risultano assolutamente privi
del requisito della conclusività, necessario perché la formulazione del quesito possa
assolvere al suo scopo.
L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione
impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto
oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per
concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
Est. Cons. RfJe1e Frasca

della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche
privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano
funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a

pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare all’interno del ricorso nel suo
complesso il criterio di cui al terzo comma dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il
legislatore qualifica una nullità di un certo atto come determinativa della sua
inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che il giudice possa apprezzare
l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di contenuti desunti aliunde
rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi con elementi desunti dal
residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era parametrata al quesito come
parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi compresa l’illustrazione del motivo
(si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007, citata; (ord.) n. 15628 del 2009, a
proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
D’altro canto, la necessità che il quesito avesse natura conclusiva nel senso indicato
era ed è perfettamente coessenziale all’assicurazione della funzione del requisito di
contenuto forma del ricorso previsto dall’art. 366-bis c.p.c.: ciò, per la semplice ragione
che ritenere soddisfatto quel requisito da un quesito astratto si sarebbe risolta nella pratica
inoperatività di esso, giacché al ricorrente per cassazione sarebbe bastato in chiusura di
ogni motivo formulare un qualsiasi quesito di diritto astratto per assolvere al requisito.
Né si sarebbe potuto neutralizzare questo rilievo osservando che in tal caso, all’esito
della lettura dell’illustrazione del motivo, ove il quesito fosse risultato del tutto privo di
pertinenza con l’illustrazione, la sanzione di inammissibilità sarebbe potuta scattare
all’esito di tale ricognizione: è sufficiente osservare che la funzione di consentire alla Corte
di cassazione di percepire la quaestio iuris in via immediata, prima di procedere alla lettura
del motivo, sarebbe risultata in tal modo impossibile, con conseguente riduzione della
norma aflatus vocis.
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
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Est. Coni Raffaele Frasca

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo
della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo

comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntczs e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che dia norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un
criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.
§4. Il secondo motivo lamenta “Ex art. 111/7 Cost. e 360 mi. 3-4- c.p.c., per
violazione di legge, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 617 e 615
c.p.c., 474, 479 c.p.c., 226 d.P.R. 115/02 e norme richiamate, fra cui, gli artt. 28 e 29 del
D.L.vo 46/99, e per nullità della sentenza data dalla violazione degli artt. 112 c.p.c., 111/6
Cost. e 123/4”.
Anche questo motivo, come rivela la sua intestazione preannunzia diverse censure.
Nel corso della sua illustrazione sono prospettati tre distinti quesiti, sotto forma di
principi di diritto, dei quali si chiede alla Corte l’enunciazione.
Il primo è del seguente tenore: <>.
Il secondo quesito è così formulato: <>.
Il terzo quesito è il seguente: <>.
Anche tali quesiti, peraltro ciascuno plurimo, non sono correlati espressamente con
quanto emerge dall’intestazione del motivo. Se pure si superasse tale rilievo facendo leva
sull’indicazione delle norme — come a proposito del primo motivo — ancora una volta gli
stessi quesiti risulterebbero inidonei ad assolvere all’onere di cui all’art. 366-bis, sempre
per astrattezza e difetto assoluto di conclusività, secondo i principi di diritto sopra
richiamati.
§5. Entrambi i motivi appaiono, dunque, inammissibili ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
§6. Il ricorso appare inammissibile anche per inosservanza dell’onere di indicazione
specifica dei documenti su cui si fonda, di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.
I motivi si fondano sulle emergenze di una serie di atti, dei quali non si indica la sede
di produzione nel giudizio di merito e, soprattutto, siccome imposto dalla norma ora citata,
11
Est. Coni. Raffaele Frasca

R.g.n. 4151-09 (ud. 25.3.2013)

se e dove sarebbero stati prodotti in questa sede di legittimità. Vengono, pertanto, in rilievo
i principi di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; in precedenza: Cass. (ord.) n.
22303 del 2008; a proposito degli atti processuali: Cass. (ord.) n. 26266 del 2008. Ancora:
Cass. (ord.) n. 22485 del 2009. I principi di diritto di cui a Cass. sez. un. n. 28547 del 2008
vennero ribaditi da Cass. n. 7161 del 2010. Anche con riferimento agli atti processuali,
ipotesi che non riguarda comunque la valutazione di questo ricorso, che concerne
documenti, Cass. n. 22726 del 2011, pur ammettendo che, se si tratti di atti processuali

presenti nel fascicolo d’ufficio di una fase di merito il ricorrente o il contro ricorrente può
assolvere all’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c. indicando la loro
presenza ivi, ha sottolineato che resta fermo l’adempimento circa tale indicazione, che è
espressione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
Va rilevato che l’onere di specificazione di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. è inadempiuto
anche perché dei detti atti non si trascrive il contenuto per la parte che interessa e
nemmeno lo si riproduce indirettamente, precisando in quale parte del documento
l’indiretta riproduzione trovi riscontro, in tal modo obbligandosi la Corte, con evidente
supplenza dell’onere del ricorrente, rischio di male intendere il suo assunto e mancanza di
possibilità di contradditorio, a ricercare Essa quello che corrisponde al contenuto supposto
dal ricorrente, oltre che, anteriormente, a ricercare il documento.!! Collegio rileva che
sull’esegesi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. recentemente sono state svolte ampie considerazioni
riassuntive delle sue implicazioni dall’ord. n. 7455 del 2013, resa all’adunanza del 7
febbraio 2013, in particolare ribadendosi, anche cono considerazioni su orientamenti
dottrinali dissonanti, che <

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