Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14034 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 07/07/2020), n.14034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2268/2015 R.G. proposto da:

CONCERIA LA VENETA & SACPA SRL IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’Avv. GIANPIETRO CONTARIN, elettivamente domiciliato in

Bassano del Grappa, L.go Parolin n. 54/8, domiciliata in Roma p.zza

Cavout, presso la Cancelleria delle Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

n. 787/31/14, depositata il 13 maggio 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre

2019 dal Consigliere Dott. D’Aquino Filippo.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La contribuente ha impugnato diversi avvisi di accertamento per IRES, IRAP, IVA e accessori relativi agli anni di imposta 2007 2010, con i quali sono stati ripresi a tassazione costi indeducibili, costituiti dalla differenza tra i canoni di locazione passiva del capannone adibito a conceria dichiarati rispetto a quelli accertati secondo i valori OMI, deducendo violazione del contraddittorio e insussistenza dei presupposti;

che la CTP di Vicenza ha accolto il ricorso e la CTR del Veneto, con sentenza in data 13 maggio 2014, ha accolto l’appello dell’Ufficio, osservando che:

– non vi è stata verifica in loco per l’accertamento in oggetto, laddove l’accertamento ha riguardato l’annualità precedente per la quale pendeva giudizio di impugnazione;

– non vi sono giustificazioni economiche all’oneroso contratto di locazione nel quale la ricorrente è subentrata quale conduttrice, se non quelle di ottenere un risparmio di imposta tale da abbattere il reddito imponibile, mediante la creazione in capo alla contribuente di un costo per canone sproporzionato rispetto ai valori OMI, circostanza rilevante anche in considerazione della identità della compagine sociale della ricorrente rispetto alle altre società del gruppo con le quali è stata posta in essere l’operazione;

– la resistente non ha addotto valide ragioni per ritenere economicamente conveniente il contratto di locazione;

che propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a due motivi, resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere giudice di appello tenuto conto, ai fini del maggior costo di locazione, della perizia di parte prodotta nel procedimento di primo grado, nella quale sarebbero state esaurientemente indicate le ragioni per la quale il canone di locazione si discosterebbe dai valori OMI, rilevando, inoltre, come l’Ufficio non avrebbe correttamente tenuto conto dell’oggetto del contratto, non avendo considerato nella loro integralità le “strutture tecnologiche”;

che il motivo è inammissibile, posto che il supposto cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – ove attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. I, 26 settembre 2018, n. 23153; Cass., Sez. III, 10 giugno 2016, n. 11892);

che, peraltro, la censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 investe l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive e, in particolar modo, l’omessa considerazione delle risultanze di una consulenza tecnica di parte (Cass., Sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26305), anche in considerazione del fatto che la perizia di parte non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto (Cass., Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 33503);

che il motivo è ulteriormente inammissibile, posto che il ricorrente, attraverso la allegazione di una omessa considerazione di un lemento istruttorio, invoca una diversa rivalutazione dell’accertamento in fatto attraverso una rilettura del materiale probatorio; il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio espresso dal giudice di merito, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526); così come si collocano sul piano del merito la delibazione e individuazione del materiale probatorio, valutazioni che spettano al giudice del merito (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463); nonchè essendo consolidato nella giurisprudenza della Corte il principio che il libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c. è situato interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), salvo che si deduca che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o abbia disatteso, valutandole secondo prudente apprezzamento, prove legali (Cass., VI, 17 gennaio 2019, n. 1229); il che, nella specie, non ricorre;

che con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 2727 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto cattivo uso del procedimento inferenziale partendo dagli elementi addotti dall’Ufficio, avuto riguardo all’oggetto del contratto, deducendo che gli elementi indiziari di cui il giudice ha tenuto conto si fondano su una erronea individuazione dell’oggetto del contratto, che non sarebbe “quello che appare nel documento del contratto”;

che il motivo è inammissibile, in quanto, nonostante la dedotta violazione di legge, non si fa valere una questione interpretativa ovvero l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa secondo il corretto uso del ragionamento inferenziale – bensì una diversa rivalutazione dell’accertamento in fatto attraverso una rilettura degli elementi indiziari; il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio del giudice di merito, bensì (anch’esso) revisione del ragionamento decisorio che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526);

che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e raddoppio del contributo unificato;

PQM

La Corte, rigetta il ricorso, condanna CONCERIA LA VENETA & SACPA SRL IL LIQUIDAZIONE al pagamento delle spese processuali in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ciascuno dei ricorsi proposti, se dovuti.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 luglio 2020

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