Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14026 del 10/06/2010

Cassazione civile sez. II, 10/06/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 10/06/2010), n.14026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 684/2006 proposto da:

T.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL DI

LANZO 79, (Studio dell’avvocato GIUSEPPE IACONO QUARANTINO) presso

l’avvocato CORDONE Filippo, che la rappresenta e difende, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INGEGNERE CAPO DEL DISTRETTO MINERARIO DI PALERMO, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 475/2004 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE,

depositata il 15/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per la ricorrente l’Avvocato Giuseppe Iacono Quarantino (per

delega avv. Filippo Cordone) che si riporta agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. GIAMPAOLO LECCISI che

conferma le conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il giudice di pace di Termini Imerese il 15 novembre 2004 respingeva l’opposizione proposta, con separati ricorsi, riuniti per la trattazione, da G. e T.V. avverso l’ordinanza ingiunzione emessa il 10 maggio 2001 dal Corpo Regionale delle Miniere distretto di Palermo, relativa a estrazione abusiva di detriti calcarei in contrada (OMISSIS).

T.V. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 7 dicembre 2005; il Distretto Minerario di Palermo, difeso dall’Avvocatura dello Stato, ha resistito con controricorso.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso perchè manifestamente infondato.

La decisione è stata rinviata in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione in materia. Cass SU n. 18040/08 ha ritenuto che le cause di opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento per violazione della normativa relativa alle cave appartengono alla giurisdizione ordinaria.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta infondatamente che il giudice non avrebbe rilevato d’ufficio che la violazione non era stata contestata nel termine di novanta giorni all’obbligata solidale. Il giudizio di accertamento della pretesa sanzionatoria dell’amministrazione, introdotto con ricorso in opposizione, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 è delimitato per l’opponente dalla causa petendi fatta valere con quel ricorso e per l’amministrazione dal divieto di dedurre motivi o circostanze diverse da quelli enunciati con l’ingiunzione, a fondamento della pretesa sanzionatorio (Cass. 17625/07). Pertanto il giudice non può rilevare d’ufficio vizi diversi da quelli dedotti dal medesimo opponente, entro i termini di legge, con l’atto introduttivo (Cass 656/2010;

6519/05).

La seconda censura (violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 e difetto di motivazione) nega che sussistessero in atti gli elementi per affermare che nel terreno della ricorrente sia stata posta in essere attività di cava. Il motivo mira inammissibilmente, come ha rilevato il P.G., a ottenere dalla Corte una valutazione dei fatti diversa da quella data dal giudice di merito; ciò è precluso alla Corte di Cassazione, che può soltanto rilevare eventuali vizi logici o insufficienze della motivazione, che nel caso di specie si presenta invece adeguata. Inoltre il ricorso riporta solo frammenti delle risultanze testimoniali e documentali o assume apoditticamente quanto da esse si dovrebbe desumere per contrastare il giudizio di merito reso dal tribunale. In tal modo viola il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio suddetto, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. 11886/06; 8960/06).

Da ultimo il ricorso espone violazione del citato art. 23, “omesso esame di un punto decisivo” e vizio di motivazione con riferimento:

a) alla insussistenza degli elementi da cui il tribunale ha desunto che la ricorrente fosse plurirecidiva; b) alla mancata applicazione di una riduzione della sanzione, benchè la legge conceda tale possibilità al giudice; c) all’omessa valutazione delle circostanze di fatto rilevanti per la riduzione. Anche questa censura è manifestamente infondata. La sentenza d’appello assume come “pacificamente ricorrente nella specie” il caso di plurirecidiva.

Tale presupposto non risulta oggetto di contestazione dalla ricorrente in corso di causa; non emerge cioè che essa avesse negato davanti al tribunale la sussistenza di precedenti analoghe violazioni. Orbene, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio (Cass. 7981/07). Il ricorso per cassazione doveva pertanto specificare, a pena di inammissibilità, in quale atto difensivo o verbale di udienza l’opponente aveva formulato il rilievo, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione.

Quanto alla mancata riduzione della sanzione, va in primo luogo ricordato che il potere del giudice dell’opposizione di modificare l’ordinanza ingiunzione relativamente all’entità della sanzione dovuta (ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23) può essere esercitato unicamente nell’ambito dei limiti prestabiliti dal legislatore, ditalchè non è consentito al giudice dei ridurre l’entità’ della sanzione ad un importo inferiore al minimo edittale previsto per la specifica contestazione. (Cass. 13286/06; 23930/06).

Pertanto quando, come nella specie, sia incontroversa l’applicabilità di una sanzione in misura fissa, non sussiste il potere invocato dal ricorrente. Peraltro il ricorso, a fronte della contestata recidiva di cui si è detto, omette di indicare quali fossero le circostanze emergenti dagli atti che avrebbero dovuto e potuto indurre, ove possibile, l’esercizio della facoltà di riduzione.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 2.000,00 per onorari, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2010

 

 

 

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