Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14026 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14026 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 20908-2007 proposto da:
COPPOLECCHIA

ANTONIO

CPPNTN52H26B619U,

COPPOLECCHIA ANGELO CPPNGL56B05B619C, considerati
domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
VALENTE GIANFRANCO giusta procura in atti;
– ricorrenti contro
NAVALE ASSICURAZIONI S.P.A. (già MMI ASSICURAZIONI
S.P.A. fusa per incorporazione) 00296790389, in persona del suo
procuratore speciale dott. SAN PIETRO ENRICO, elettivamente

Data pubblicazione: 04/06/2013

domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio
dell’avvocato BALDI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati CIPRIANI ROMOLO GIUSEPPE,
CARTILLONE BIAGIO, BALDI FRANCESCO giusta procura in
atti;

nonchè contro
TURTURIELLO VITO ANTONIO, VAI EMILIO;

intimati

avverso la sentenza n. 1152/2006 della CORTE D’APPELLO di
TORINO, depositata il 29/06/2006, R.G.N. 76/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/03/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato BALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine, per il rinvio in attesa della decisione
delle Sezioni Unite in tema di art. 75 c.p.p. e, comunque, per il rigetto
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato nell’ottobre del 1990 Coppolecchia Antonio e
Coppolecchia Angelo, il primo quale conducente e il secondo quale
proprietario della Fiat Panda tg T040567M, convenivano in giudizio,
innanzi al Tribunale di Asti, Vai Emilio, proprietario dell’autoarticolato
tg. TOX40063, e la compagnia assicuratrice dello stesso per la r.c.a., La
Nazionale Assicurazioni S.p.a., chiedendo, previa declaratoria di
esclusiva responsabilità del Vai in relazione al sinistro verificato il 6

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– controricorrente –

aprile 1990 tra i predetti veicoli, la condanna dei convenuti in solido al
risarcimento dei danni subiti.
I convenuti si costituivano contestando la domanda; il Vai proponeva
domanda riconvenzionale e chiedeva, senza esito, di chiamare in causa
l’Universo S.p.a.

Tribunale con sentenza del 16 dicembre 1992 sospendeva la causa
civile.
Provvedeva alla riassunzione della causa il solo Coppolecchia Angelo
mentre Coppolecchia Antonio introduceva altra causa. In entrambi i
giudizi si costituivano i convenuti Vai e la Nazionale Assicurazioni
S.p.a.; le cause venivano riassunte e veniva disposta la chiamata in
causa di Turturiello Vito Antonio, conducente dell’autoarticolato, il
quale si costituiva riportandosi alle difese già svolte dai convenuti.
La causa veniva interrotta per il decesso del difensore dei convenuti e
quindi riassunta dagli attori, con costituzione dei convenuti mentre il
Turturiello restava contumace.
Il Tribunale di Asti, con sentenza del 12 dicembre 2002, rigettava la
domanda degli attori e quella riconvenzionale del Vai e regolava le
spese di giudizio. Riteneva in particolare il Tribunale che: 1) l’azione
promossa da Coppolecchia Antonio non poteva più essere riproposta
in sede civile avendo egli trasferito la stessa nel processo penale
avvalendosi dell’art. 75 c.p.p. sicché la sua domanda era inammissibile,
2) la domanda risarcitoria di Coppolecchia Angelo non poteva essere
accolta, essendo emerso che il sinistro si era verificato per esclusiva
colpa di Coppolecchia Antonio, conducente della sua auto, 3) andava
respinta la domanda riconvenzionale del Vai perché non coltivata e
comunque non provata.

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Veniva prodotta la sentenza penale emessa dal Pretore di Asti e il

Avverso tale decisione i Coppolecchia proponevano appello, cui
resisteva la sola MMI Assicurazioni S.p.a. (già Nazionale Assicurazioni
S.p.a.).
La Corte di appello di Torino, con sentenza del 29 giugno 2006,
rigettava l’appello proposto da Coppolecchia Antonio e, in parziale

responsabilità del sinistro di cui si discute in causa andava ascritta per il
50% a carico di ciascuno dei conducenti dei veicoli coinvolti e
condannava la società assicuratrice e il Vai al pagamento, in favore di
Coppolecchia Angelo, della somma di € 1.250,00, oltre rivalutazione e
interessi come specificato in dispositivo e compensava interamente tra
le parti le spese del giudizio di secondo grado.
In particolare affermava la Corte di merito che: il trasferimento
dell’azione civile nell’ambito penale, comportava, ai sensi del primo
comma dell’art. 75 c.p.p., la rinuncia agli atti del processo civile con gli
effetti di cui all’art. 306 c.p.c.; comunque, al di là dell’avvenuta rinuncia
agli atti del giudizio, nella specie Coppolecchia Antonio non aveva
coltivato l’azione risarcitoria nel processo penale, respinta in primo
grado, così consumando l’azione stessa; la pronuncia sulla domanda
successivamente azionata si sarebbe tradotta nella violazione del
principio del ne bis in idem. In relazione al gravame proposto da
Coppolecchia Angelo, che non aveva esercitato l’azione civile nel
processo penale, rilevava la Corte di merito che, non essendo possibile,
alla luce delle risultanze in atti, la ricostruzione della dinamica del
sinistro, andava applicato il secondo comma dell’art. 2054 c.c. e che,
pertanto, la responsabilità del sinistro andava ascritta in pari misura al
Turturiello e a Coppolecchia Antonio e determinava il risarcimento del
danno come sopra indicato.

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accoglimento dell’appello di Coppolecchia Angelo, dichiarava che la

Avverso la sentenza della Corte di merito Coppolecchia Antonio e
Coppolecchia Angelo hanno proposto ricorso per cassazione sulla base
di due motivi.
Ha resistito con controricorso la Navale Assicurazioni S.p.a. (già MMI
Assicurazioni, fusa per incorporazione).

questa sede.
La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (29 giugno 2006).
1.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c. “i quesiti di diritto
imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di
soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo
stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica
della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova
normativa secondo N’esplicito intento evidenziato dal legislatore
all’art. 1 della Legge Delega 14.5.2005, n. 80; i quesiti costituiscono,
pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti,
inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
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Gli intimati Vai e Turturiello non hanno svolto attività difensiva in

legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass. 9 maggio
2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez.
un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n.
14385).
Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte che,

legittimità” “la risoluzione della singola controversia, il legislatore ha
inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di
collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale,
diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la
stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità:
donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si
concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai
criteri informatori della norma. Incontroverso che il quesito di diritto
non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a
sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato,
nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di
questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel
ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso
debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è
alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del
principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una
decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il
giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo
quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di
diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la
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“travalicando” “la funzione nomofilattica demandata al giudice di

prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale
articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in
un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto,
risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la
fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il

chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del
principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione
nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera
richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello
svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione d’una regula iunis- che sia, in quanto tale,
suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere
applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in
motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24
luglio 2008, n. 20409).
1.2. Nella giurisprudenza di questa Corte é stato, inoltre, precisato che,
secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria,
ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la
relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del
quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera
da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di

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difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si

valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n.
20603).
In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assuma omessa, insufficiente o contraddittoria,
deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò

possibile ritenere rispettato il requisito concernente il motivo di cui al
n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. allorquando solo la completa
lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di
un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione
da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art.
366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto
controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od
insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui
la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione
(Cass., sez. un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., 27 ottobre 2011, n.
22453).
É stato pure affermato da questa Corte che é inammissibile, ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause – come quella all’esame – ancora ad
esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il cd.
quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito
momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa
la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18
novembre 2011, n. 24255).
8

specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la “nullità della
sentenza per omessa, insufficiente contraddittoria motivazione” (art.
360 primo comma, n. 5, c.p.c).
A conclusione dell’esposizione della censura i ricorrenti formulano il
seguente “quesito di diritto”: “Se vi é omissione o contraddittorietà

dell’azione civile volta ad ottenere il risarcimento del danno, per aver
in precedenza trasferito gli atti dalla sede civile a quella penale, quando
il procedimento penale si è concluso con sentenza definitiva avente ad
oggetto solo la liquidazione delle spese e non anche il risarcimento del
danno”.
2.2. Pur se prospettato come violazione dell’art. 360, primo comma, n.
5, c.p.c., in realtà il motivo all’esame si risolve in una censura ex art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c.. Così inteso, il motivo in questione
manca del relativo idoneo quesito di diritto, né può al riguardo valere
quello comunque formulato; ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il
quesito inerente ad una censura in diritto, dovendo assolvere – come
posto in evidenza al § 1.1. – alla funzione di integrare il punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio giuridico generale, non può essere – come lo é, invece, il
quesito formulato in relazione al motivo all’esame – meramente
generico e astratto, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per
mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura,
l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola
applicabile; sicché esso non può consistere in una semplice richiesta di
accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in
ordine alla fondatezza o meno della propugnata petizione di principio
o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass.
7 marzo 2012, n. 3530).
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della motivazione nella sentenza che dichiari l’improcedibilità

3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano ancora una volta la
“nullità della sentenza per omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione” e formulano al riguardo il seguente “quesito di diritto”:
“Se vi è omissione o contraddittorietà della motivazione nella sentenza
civile che applica la presunzione di responsabilità concorsuale ex art.

stabilita da una sentenza penale definitiva, dell’imputato che è anche
convenuto nel procedimento civile”.
3.1. Anche il secondo motivo all’esame, pur se prospettato come
violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in realtà si risolve in
una censura ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., lamentandosi in
sostanza con lo stesso una erronea applicazione dell’art. 2054 c.c..
Così inteso, il motivo in questione manca del relativo idoneo quesito di
diritto, né può al riguardo valere quello comunque formulato, per le
medesime ragioni già evidenziate in relazione al quesito proposto con
riferimento al primo motivo.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammisisbile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro
3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Sup

a di Cassazione, il 6 marz 2013.

2054 — co. 2, c.c. prescindendo dalla valutazione sulla responsabilità,

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