Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14024 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 08/07/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 08/07/2016), n.14024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19294-2013 proposto da:

B.B., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO LAZZARI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

PROJECT CONSULTING S.A.S., p.i. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, Via FLAMINIA 318 – STUDIO LEGALE CORAPI, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO FIORAVANTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA STEFANIZZO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1761/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 03/05/2013 R.G.N. 3358/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.B. adiva il Tribunale di Lecce ed esponeva di aver prestato, a far tempo dal 17/10/03, attività d’opera intellettuale in favore della Project Consulting s.a.s. società che curava la realizzazione di progetti per ottenere e gestire finanziamenti in favore di associazioni di commercianti; deduceva di aver diretto le attività di realizzazione di tutte le attività del progetto di finanziamento, coordinando l’opera dei consulenti sia interni che esterni e curando i rapporti con la Regione Puglia per quanto atteneva alla attività di rendiconto. Precisava che la società si era impegnata a corrispondergli un compenso complessivo di Euro 24.000,00 dilazionato nei dodici mesi previsti per la realizzazione del progetto, versandogli, tuttavia, il solo importo di Euro 800,00 a titolo di rimborso spese e recedendo dal rapporto in data 24/1/04.

Sulla scorta di tali premesse, conveniva in giudizio la Project Consulting s.a.s. chiedendo il pagamento delle competenze maturate sino al 24/1/04 nella misura di Euro 7.101,36 ed il risarcimento del danno per mancato guadagno, pari ad Euro 16.898,64. In via di subordine, accertata la intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti, chiedeva la reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento della retribuzione spettante in relazione alla attività di lavoro prestata.

La società si costituiva e resisteva alla domanda chiedendone la reiezione. Il giudice adito respingeva il ricorso.

Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello di Lecce che poneva a fondamento del decisum l’essenziale rilievo della carenza di elementi precisi idonei a configurare il rapporto così come le modalità di cessazione dello stesso, non ravvisando in capo alla appellata alcuna responsabilità in ordine alla risoluzione del contratto.

Avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione il B. affidato a tre motivi corredati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prioritaria in ordine logico, è la disamina della eccezione sollevata dal B. nella sua memoria, di nullità della notifica del controricorso in quanto svolta da ufficiale giudiziario competente per una circoscrizione territoriale diversa da quella di Roma (Corte d’Appello di Lecce).

Nella fattispecie, è documentato che il controricorso è stato notificato presso il domicilio dal B. eletto in Roma ai fini del processo dinanzi alla Cassazione, per il tramite del servizio postale, nonchè presso lo studio del difensore del ricorrente in Lecce, a cura dell’ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di Lecce.

Come noto, a mente del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 106 e art. 107, comma 2, l’ufficiale giudiziario, da un lato, è abilitato ad eseguire tutte le notificazioni da compiere nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto e, dall’altro, per ciò che concerne gli atti giudiziali, può eseguire, senza limitazioni territoriali, a mezzo del servizio postale, le notificazioni degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale è addetto.

Con riguardo a questo profilo, la competenza a notificare il controricorso è stata ritenuta dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte, che va qui ribadita, di natura “promiscua”, nel senso che appartiene, alternativamente, sia all’ufficiale giudiziario di Roma sia a quello del luogo in cui siede il giudice a quo (cfr. Cass. 15/02/2007 n.3455, cui adde Cass. 15/07/2010 n.16592). In diversi termini, il controricorso può essere notificato dall’ufficiale giudiziario di Roma o da quello del luogo in cui ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (che nel caso è il Tribunale di Lecce).

Del resto, numerose sono le sentenze secondo cui la notificazione del ricorso per Cassazione, equiparabile alla notificazione del controricorso (che può contenere anche un ricorso incidentale), costituisce un atto di competenza promiscua, in quanto interessa non soltanto Roma, sede dell’organo davanti al quale il processo deve essere trattato, ma anche il luogo in cui la sentenza impugnata è stata pronunciata e il ricorso deve essere notificato; con la conseguenza che la notificazione di un ricorso per Cassazione fuori Roma può essere eseguita, nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali, anche dagli ufficiali giudiziari appartenenti all’ufficio unico delle notificazioni esistente presso l’ufficio giudiziario che ha emanato la sentenza impugnata (così, Cass. SU 4/10/1996 n. 8683, Cass. 27/3/2000 n.3632,Cass. SU 9/8/2001 n. 10969/2001, Cass. 11/3/2002 n.3942).

Da ultimo, va osservato che la dedotta nullità della notificazione sarebbe comunque rimasta sanata con effetto ex tunc per il raggiungimento dello scopo, giacchè con la proposizione della memoria da parte del ricorrente, risulta dimostrato il raggiungimento dello scopo della notifica (art. 156 c.p.c., comma 3) che è quello di portare (tempestivamente) a conoscenza della controparte l’atto notificato.

L’eccezione è, pertanto, del tutto infondata.

Sotto altro versante, è da respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società sotto il profilo della violazione nella fattispecie, dell’art. 348 ter c.p.c..

La disposizione invocata, risulta inapplicabile alla fattispecie ratione temporis, atteso che il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso depositato il 21/7/2011, in data anteriore, quindi, alla entrata in vigore della disposizione codicistica (11/9/2012).

Ciò premesso, con il primo motivo si denuncia omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4; nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.; violazione dell’art. 1458 c.c. ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5.

Si lamenta, in sintesi che la Corte distrettuale, pur avendo vagliato le risultanze istruttorie inerenti alla evoluzione del rapporto inter partes, abbia pretermesso ogni valutazione della domanda concernente il pagamento delle prestazioni rese sino alla data di risoluzione del contratto, in tal senso vulnerando i dettami di cui all’art. 1458 c.c. secondo cui la risoluzione non produce effetti retroattivi rispetto alle prestazioni già eseguite, ove rivestano, come nella fattispecie, natura di prestazioni periodiche e di durata.

Il motivo è privo di pregio non potendo ritenersi che la lacuna descritta realizzi nella specie il vizio denunciato.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, invero, affinchè si configuri il vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice sulla questione delibata, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.

Ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (vedi in tali sensi, fra le tante, Cass. 10/5/2007 n.10696, Cass. 4/10/2011 n. 20311, Cass. 20/9/2013 n.21612 cui adde, da ultimo, Cass. 26/1/2016 n. 1360).

Nello specifico, la domanda formulata dal B. intesa a conseguire declaratoria di risoluzione del contratto per mutuo consenso, appare logicamente incompatibile con l’impianto motivazionale che sorregge la sentenza impugnata. I giudici dell’impugnazione, dopo aver riportato gli estremi del quadro probatorio delineato in prime cure, hanno infatti proceduto ad una esegesi dello stesso con valutazione globale delle risultanze processuali, indicando gli elementi sui quali si fondava il loro convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni. All’esito del compimento di tale attività ermeneutica, hanno quindi modulato integralmente il loro incedere argomentativo pervenendo all’accertamento della carenza di fondo che connotava il quadro probatorio, ritenuto inidoneo a definire le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro inter partes, nonchè l’entità dell’effettivo apporto lavorativo fornito dal B., pur definito quale attività collaborativa di natura intellettuale.

Nell’ottica descritta, la critica formulata dal ricorrente non può essere condivisa, giacchè la censura da lui formulata in sede di gravame, concernente la determinazione delle competenze spettati in relazione alla attività di lavoro espletata, deve ritenersi implicitamente respinta dalla Corte, in quanto non coerente con un quadro probatorio del tutto indefinito quanto a modalità e termini della prestazione lavorativa resa.

In tali sensi, detto primo motivo va, pertanto, disatteso.

Con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine alle risultanze probatorie e ad un fatto decisivo per il giudizio. Si critica la sentenza impugnata per aver trascurato i dati documentali e testimoniali che indicavano, in guisa non equivoca, l’esecuzione da parte del ricorrente, dei compiti affidatigli e consistiti nella realizzazione del progetto di cui al contratto inter partes, mediante il conseguimento dei finanziamenti richiesti.

La censura presenta profili di inammissibilità, non apparendo rispettosa dei dettami sanciti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo art. 5 concerne, quindi, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Il ricorrente ha, in sintesi, dedotto, da un canto, che le emergenze processuali consentivano di ritenere acclarata la riconducibilità del rapporto allo schema del lavoro a progetto D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 61; dall’altro, che talune deposizioni testimoniali avevano confermato lo svolgimento nel corso del pur breve rapporto, di attività lavorativa suscettibile di remunerazione.

Per contro, la fattispecie concreta è stata oggetto di puntuale disamina da parte della Corte territoriale che è pervenuta ad una ricostruzione dei fatti, come in precedenza rimarcato, all’esito di un analitico scrutinio delle deposizioni testimoniali raccolte e richiamate nell’iter motivazionale, pervenendo alla conclusione della insussistenza di elementi idonei a definire con sufficiente specificità il contenuto e la portata della prestazione lavorativa resa dal ricorrente.

L’incedere argomentativo della pronuncia impugnata non risponde, quindi, ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità, onde resiste alle censure all’esame.

Con il terzo motivo è denunciato vizio di ultrapetizione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ci si duole che la Corte distrettuale sia pervenuta all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla società – intesa a conseguire pronuncia dichiarativa di risoluzione del rapporto per inadempimento del B. – pur in mancanza di proposizione di appello incidentale avverso la statuizione della sentenza di prime cure che la disamina di detta domanda aveva ritenuto preclusa.

Il motivo è privo di pregio, giacchè la Corte, diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente, non è addivenuta ad alcuna pronuncia sul tema, essendosi limitata a respingere l’appello proposto dal lavoratore sulla scorta della estrema genericità e labilità del quadro istruttorio delineato in prime cure in ordine alla definizione ed allo svolgimento del rapporto di lavoro inter partes.

In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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