Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14024 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14024 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 3638-2010 proposto da:
TROISE

ANNA

TRSNNA40L45F839Y,

AMODDIO

VINCENZO
I

MDDVCN67CO2F839R, AMODDIO GIOVANNI MDDGNN69A27F839D,
AMODDIO CARMELA MDDCML71R47F839Y, AMODDIO LUCA
MDDLCU74R18F839F, rispettivamente moglie e figli,
unici ed esclusivi eredi legittimi di AMODDIO CIRO,
2013
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elettivamente domiciliati in ROMA, V. TIBURTINA 612,
presso lo studio dell’avvocato PASSANTE ARIANNA,
rappresentati e difesi dall’avvocato RICCIUTO NICOLA
giusta delega in atti;
– ricorrenti –

1

Data pubblicazione: 04/06/2013

contro

REGIONE CAMPANIA 80011990639, in persona del suo
legale rappresentante Presidente pro tempore della
Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA POLI 29, presso lo studio dell’avvocato GRANDE

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANDATO
GRAZIELLA giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

GESTIONE LIQUIDATORIA USL 40, AZIENDA SANITARIA LOCALE
NAPOLI l CENTRO (DISTRETTO 51), AZIENDA OSPEDALIERA DI
RILIEVO NAZIONALE A. CARDARELLI DI NAPOLI;
– intimati –

avverso la sentenza n. 4361/2008 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 19/12/2008, R.G.N. 1235/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/01/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato NICOLA RICCIUTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

2

CORRADO (UFF. RAPPRESENTANZA REGIONE CAMPANIA), che la

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel giugno del 1998, Ciro Amoddio evocò in giudizio, dinanzi
al tribunale di Napoli, l’ospedale Cardarelli e la gestione
liquidatoria dell’USL 40 Napoli l, e ne chiese la condanna al
risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento

che, nel luglio del 1993, era stato ricoverato presso
l’ospedale Cardarelli di Napoli con diagnosi di

“ascesso

gluteo destro”,

“ascesso

successivamente specificata in

perianale – fistola sacrococcigea. Ascessualizzato”;
che, nonostante avesse firmato il modulo di cd. “consenso
informato”

(rectius, informazione acconsentita) riferito ad un

intervento di
operato di

“fistola sacrococcigea”,

era stato invece

“fistola perianale trans-sfinterica”,

riportando,

come complicazione, un’incontinenza (ancora attuale) alle feci
solide;
che tali complicazioni, pur se normalmente previste a
seguito dell’intervento subito, non lo erano, invece, per
l’intervento cui egli aveva prestato il proprio consenso.
Integrato il contraddittorio nei confronti della regione
Campania, disposta ed esperita CTU, il giudice di primo grado
respinse la domanda.
La corte di appello di Napoli, investita del gravame proposto
dall’attore soccombente – che sostenne, con il conforto del
giudizio espresso dal consulente d’ufficio, di aver subito un
intervento chirurgico diverso da quello per il quale aveva
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chirurgico, esponendo, in sintesi:

prestato il proprio consenso, e per il quale nessuna
informazione e nessun consenso potevano dirsi legittimamente
espressi – lo rigettò, ritenendo che il paziente, a seguito
della modifica della diagnosi, fosse stato pur sempre reso
edotto dell’esistenza di una patologia nella regione ano-

seppur a lui rappresentato come “di drenaggio ascesso
perianale”, implicava all’occorrenza anche la rimozione di una
fistola come causa e complicanza dell’ascesso; ed opinando
ancora, sotto altro profilo, che la diagnosi precisa fosse
stata eseguita necessitatis causa

solo in sede di intervento

chirurgico (consistito nella asportazione mediante bisturi
elettrico del tessuto fistoloso sino ad arrivare ai fasci
dello sfintere esterno), onde, a fronte di tale complicanza, i
medici non avrebbero potuto interrompere l’intervento per
munirsi di un più esplicito e dettagliato consenso.
Osserverà ancora la corte territoriale che, ove il paziente che aveva sottoscritto il consenso all’intervento suddetto non fosse stato messo al corrente dei relativi rischi e delle
possibili complicanze, avrebbe dovuto egli stesso fornirne la
relativa prova.
Di qui, la non condivisione, da parte della corte partenopea,
delle diverse conclusioni rassegnate dal CTU, ed il
conseguente rigetto dell’impugnazione.

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rettale e della necessità di eseguire un intervento che,

La sentenza è stata impugnata da Ciro Amoddio con ricorso per
cassazione sorretto da tre motivi di doglianza e illustrato da
memoria.
Resiste la regione Campania con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo,

si denuncia

violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. in relazione all’art.
360 I comma n. 3 e 4 c.p.c., nonché art. 360 n. 5 c.p.c. per
omessa o insufficiente su fatti decisivi del giudizio.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
Si chiede alla Suprema Corte se la sentenza n. 4361 della
corte di appello di Napoli ha realizzato una violazione
dell’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. nella parte in cui si
discosta dalle conclusioni e dalle motivazioni del CTU in
assenza di contestazioni delle altre parti, omettendo di
motivare adeguatamente tale dissenso, astenendosi dall’addurre
elementi di contenuto scientifico altrettanto validi rispetto
a quelli addotti dal CTU ed astenendosi, nel motivare il
proprio contrario avviso, dall’evidenziare eventuali vizi
logici insiti nel ragionamento del CTU.
Con il secondo motivo,

si denuncia

violazione e/o mancata

applicazione degli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e
dell’art. 3 della Carta di Nizza (Carta del diritti
fondamentali dell’Unione europea approvata dal Consiglio
europeo il 7.12.2000), dell’art. 1218, 1176, 2230 e 2236 c.c.,

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Il ricorso è fondato.

nonché dell’art. 33 della legge 833/78 in relazione all’art.
360 I comma n. 3 c.p.c..
Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di
diritto che segue:
Si chiede alla suprema corte se la corte di appello di Napoli,

mancata applicazione (delle norme indicate) nella parte in cui
ritiene lecito e legittimo che il sig. Amoddio Ciro sia stato
sottoposto ad un intervento chirurgico di “fistulectomia
perianale” che ha comportato una incompetenza fecale cronica,
in presenza di un consenso informato prestato per “drenaggio
ascesso perianale” che non prevede particolari rischi e
complicanze e in ogni caso non contempla la possibilità che si
verifichi una incontinenza fecale come è accaduto nel caso de
quo.
Con il

terzo motivo,

si

denuncia

insufficiente e

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Il motivo si conclude con la seguente sintesi espositiva
(correttamente formulata ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.):
Si chiede alla corte suprema se la sentenza n. 4361 della
corte di appello di Napoli è contraddittoria nella parte in
cui sostiene che è legittimo il comportamento dei sanitari
dell’ospedale Cardarelli di Napoli che, dopo aver individuato
con una fístolografia la presenza di una fistola perianale,
hanno fatto sottoscrivere ad Amoddio un consenso informato per

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con la sentenza n. 4361/08, ha realizzato una violazione e/o

drenaggio ascesso perianale operandolo di fistolectomia
perianale, aggiungendo la sentenza che tale drenaggio
“implicava all’occorrenza la rimozione della fistola come
causa e complicanza
semantica)

(ulteriore contraddizione logico-

dell’ascesso: d’altra parte la diagnosi precisa fu

I motivi

(che possono essere esaminati congiuntamente,

attesane la intrinseca connessione logico-giuridica) sono, nel
loro complesso, fondati.
Gravemente carente appare, difatti, la motivazione della
sentenza impugnata nella parte in cui, pur discostandosi dalle
conclusioni raggiunte dal CTU, ritiene, invero
apoditticamente, “estendersi” ad un intervento diverso (e
dalle diverse, possibili conseguenze) la manifestazione di
consenso prestata dal paziente a quello invece previsto,
opinando, del tutto immotivatamente (ed immotivatamente
sostituendo il proprio convincimento alle considerazioni
espresse su base scientifiche dal perito d’ufficio), che la
diversa operazione – ed i ben diversi rischi ad essa sottesi potessero ritenersi “ricompresi” nell’iniziale informazione (e
ciò è a dirsi a prescindere dal criterio di riparto dell’onere
probatorio così come predicato al folio 7, righi III/VI della
sentenza oggi impugnata, anch’esso oggetto di

error iuris da

parte del giudice territoriale vertendosi in tema di
responsabilità da contatto sociale – ma non esplicitamente
censurato in questa sede).

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eseguita in sede di intervento chirurgico”.

Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, con conseguente
rinvio del procedimento alla corte di appello di Napoli, che
provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di
cassazione.
P.Q.M.

rinvia il procedimento, anche per la liquidazione delle spese
del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Napoli in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, li 22.1.201,b

La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e

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