Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14021 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.06/06/2017),  n. 14021

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12227/2014 R.G. proposto da:

Ing Lease (Italia) s.p.a. (C.F.: (OMISSIS) – P.IVA (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), in persona dell’amministratore delegato dott.

R.M., elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Pacuvio

n. 34, presso lo studio dell’Avv. Guido Romanelli (C.F.: (OMISSIS)),

che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Mauro Felisari

(C.F.: (OMISSIS)) di Milano, come da procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del

curatore, dott.ssa B.M., rappresentato ed assistito

dall’Avv. Fabio Collitorti del Foro di Milano (C.F.: (OMISSIS)) e

dall’Avv. Massimo Pagliari (C.F.: (OMISSIS)), presso lo studio del

quale ultimo è elettivamente domiciliato, in Roma alla Via P.G. da

Palestrina n.19, giusti decreto di nomina 19-21.05.2014 del giudice

delegato e procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano depositata in

data 24/02/2014 e notificata il 13/03/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 aprile

2017 dal Consigliere Andrea Penta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., premesso che: la ING Lease Italia s.p.a., proprietaria dell’immobile in (OMISSIS) con accesso da (OMISSIS), lo aveva concesso in locazione finanziaria alla Genedil s.r.l.; a fine 2004 tal P.L. aveva rivolto alla Genedil una proposta irrevocabile di locazione, nella quale si dava atto che l’immobile era in stato di carente conservazione e necessitava di varie opere di manutenzione e ristrutturazione; il 3 agosto 2005 la (OMISSIS) s.r.l. in bonis aveva comunicato di aver preso in consegna il cantiere relativo alle opere di manutenzione e ristrutturazione di cui alla d.i.a. depositata presso il Comune di Milano ed il 31 marzo 2006 il P. aveva restituito l’immobile alla Genedil, dopo il completamento dei lavori, rinunciando in favore di questa società al controvalore delle opere eseguite; i lavori erano stati curati dalla ditta artigiana di tal M.A., che, non essendo stato pagato, aveva presentato uno dei ricorsi per effetto dei quali era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS), in data 22 maggio 2006; il valore delle opere realizzate nell’immobile su incarico della fallita era stato stimato dal perito incaricato dalla curatela fallimentare, in contraddittorio con il creditore M. e con il legale rappresentante della Genedil;

su queste premesse, il Fallimento della (OMISSIS) promuoveva contro la proprietaria ING un’azione fondata sull’art. 936 c.c., chiedendo la condanna della stessa al pagamento della somma di Euro 243.323,22.

La ING, contestando i presupposti della domanda attorea, chiamava in causa la Genedil, per essere da questa manlevata in relazione al pagamento di qualsiasi somma per la quale sarebbe stata eventualmente condannata in favore del fallimento.

Il Tribunale, con sentenza n. 1044/2011, condannava la ING a corrispondere all’attore la somma di Euro 243.323,22 e la Genedil a rimborsare la ING di quanto avrebbe pagato.

In particolare, riteneva il tribunale che: alla fallita (OMISSIS) potesse attribuirsi la qualità di terzo, ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 936 c.c., potendo la stessa riconoscersi anche al diverso soggetto (in questo caso la (OMISSIS)) cui il “terzo” esecutore materiale delle opere ( M.) abbia trasferito le stesse in virtù di un rapporto a titolo oneroso (l’appalto), perchè anche in questo caso una delle parti si trova a beneficiare dell’arricchimento e l’altra a subire il depauperamento in ragione dei quali la ratio dell’art. 936 c.c. tende a ristabilire il relativo equilibrio; inoltre, applicando i principi in tema di appalto, per i quali il committente diviene proprietario dell’opera una volta che questa sia stata completata ed accettata, doveva ritenersi che quanto realizzato dall’appaltatore M. fosse diventato di proprietà della committente (OMISSIS); non avendo la proprietaria ING esercitato lo ius tollendi nel termine semestrale decorrente dalla comunicazione del curatore del 29 gennaio 2007, si doveva concludere che la proprietaria avesse preferito ritenere i manufatti incorporati nel suo immobile, con il conseguente obbligo di indennizzare il Fallimento (OMISSIS) con un importo pari alla minor somma tra l’incremento di valore arrecato al fondo e la sommatoria del valore dei materiali e del prezzo della manodopera; era fondata la domanda di manleva della ING verso Genedil, avendo quest’ultima, con una comunicazione, affermato che le opere sarebbero state da essa iniziate e portate avanti “in piena autonomia e responsabilità” e che sarebbe stata la sola responsabile “per ogni e qualsiasi vicenda a qualsiasi titolo connessa”.

Avverso la predetta sentenza proponevano distinti appelli la ING e la Genedil, poi riuniti.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24.2.2014, ha rigettato i gravami sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) difettava un rapporto giuridico tra la ING, proprietaria dell’immobile, ed il Fallimento (OMISSIS), che, servendosi dell’artigiano M., cui erano stati appaltati vari lavori di manutenzione e ristrutturazione, aveva eseguito opere nei locali della ING, con la conseguenza che l’attrice ben poteva essere qualificata terzo (rispetto al proprietario dell’immobile) ai fini dell’azione di cui all’art. 936 c.c.;

2) quest’ultima sarebbe, invece, stata preclusa all’appaltatore M., avendo egli a disposizione l’azione basata sul contratto d’appalto nei confronti della (OMISSIS);

3) quanto alla misura dell’indennità, la stima del perito fallimentare era stata effettuata in contraddittorio con l’amministratore unico della Genedil.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Ing Lease (Italia) s.p.a., sulla base di due motivi. Il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso. La Genedil Edilizia Generale s.r.l. non ha svolto difese. In prossimità dell’udienza camerale il Procuratore Generale ed il ricorrente hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte territoriale correttamente, a suo dire, individuato il terzo titolare del diritto al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera oppure dell’aumento di valore recato al fondo, tenuto conto che la (OMISSIS) non aveva patito alcun danno e depauperamento del proprio patrimonio, che le opere erano state eseguite dal M. e che non vi era prova che quest’ultimo avesse ricevuto a questo titolo pagamenti dal fallimento.

1.1. Il motivo è infondato.

Rappresenta principio consolidato quello per cui l’art. 936 c.c. presuppone che l’autore delle opere non sia legato, nè al proprietario nè ad altri cui sia stato concesso il godimento del fondo, da un rapporto negoziale che gli abbia attribuito il diritto di costruire.

Orbene, non può essere considerato terzo, avente diritto all’indennità di cui all’art. 936 c.c. (o art. 937 c.c.), colui che abbia eseguito l’opera sul suolo altrui in adempimento di un contratto con persona diversa dal proprietario, atteso che egli entra in contatto con la cosa in via esclusivamente secondaria, a seguito o in ragione di un incarico conferitogli – non rileva a quale titolo – da diverso soggetto (nel caso di specie, la (OMISSIS) s.r.l.) e si limita ad eseguire la sua volontà (in una fattispecie analoga Sez. 2, Sentenza n. 18669 del 16/09/2004 ha confermato la pronuncia di appello, che aveva escluso la qualità di terzo in capo all’appaltatore dell’opera, a lui commissionata dal conduttore del suolo; cfr. altresì Sez. 2, Sentenza n. 970 del 05/02/1983). Alla stregua delle considerazioni che precedono, giammai si sarebbe potuto riconoscere la qualifica di terzo, ai fini dell’art. 936 c.c., in capo al M. (recte, in capo alla ditta individuale – La Termo Edile” di cui egli era titolare), il quale era, quindi, legittimato ad agire, per ottenere il pagamento del corrispettivo dovutogli, solo nei confronti del diretto contraente (nel caso di specie, la committente (OMISSIS)). Quest’ultima circostanza è comprovata dalla dichiarazione resa dal M. nel corso del giudizio di primo grado, a tenore della quale egli, per i lavori de quibus, si era insinuato al passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. (cfr. pagg. 13-14 del controricorso).

D’altra parte, la conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito non è inficiata dalla mancanza di prova in ordine all’avvenuta corresponsione, da parte del fallimento, del compenso dovuto all’appaltatore, atteso che l’indennizzo di cui all’art. 936 c.c. va riconosciuto al terzo a prescindere dal fatto che il corrispettivo dovuto all’impresa che ha eseguito i lavori sia stato materialmente erogato (Sez. 3, Sentenza n. 2273 del 04/02/2005). Non è revocabile in dubbio e, comunque, contestato che la La Termo Edile di M.A. abbia ricevuto l’incarico di eseguire le opere per cui è causa dalla (i.e., per iniziativa della) (OMISSIS) s.r.l. in bonis.

Infine, la deduzione contenuta nella memoria del 16.3.2018, a tenore della quale il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. non avrebbe dimostrato di essere proprietaria dei materiali utilizzati per eseguire le opere, rappresenta una questione nuova e, come tale, inammissibile e, in ogni caso, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione con quale atto ed in quale fase processuale l’avesse sollevata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte territoriale ritenuto congrua la stima delle opere effettuata dal perito fallimentare, la quale, oltre a non essere attendibile, non poteva aver preso in considerazione il valore dei materiali ed il prezzo della mano d’opera, laddove aveva tenuto conto dell’utile dell’appaltatore.

2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

E’ inammissibile, in quanto, in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi salienti, la perizia espletata nell’ambito della procedura concorsuale, in tal guisa precludendo qualsivoglia valutazione in ordine alla correttezza dei parametri utilizzati dal perito ai fini della quantificazione dell’indennizzo.

In ogni caso, in tema di accessione, come è noto, spetta al proprietario del suolo, che eserciti il diritto di ritenzione riconosciutogli dall’art. 936 c.c., nel caso di opere fatte da un terzo con materiali propri, di scegliere, ai fini della liquidazione dell’indennizzo, il criterio del valore di materiali e mano d’opera, oppure quello dell’aumento del valore del fondo. Tuttavia, in difetto, come nel caso di specie, di tale scelta, il giudice deve liquidare d’ufficio l’indennizzo sulla base degli elementi a disposizione (Sez. 2, Sentenza n. 21612 del 12/10/2009), rappresentati, nel caso di specie, in principal modo dalla perizia espletata in sede fallimentare.

Del resto, pur non essendo state formulate censure sul piano motivazionale, la corte d’appello ha evidenziato che la stima era stata effettuata in contraddittorio con l’amministratore unico della Genedil, che il perito aveva fatto ricorso a listini predisposti dalla Camera di Commercio nell’anno 2003 (e, quindi, a quotazioni del tutto prudenziali, tenuto conto che i lavori erano stati realizzati nel 2005-2006) e che il margine di profitto tenuto conto dal tecnico era stato ampiamente compensato dalla rivalutazione monetaria e dagli interessi legali non considerati (cfr. pag. 12 della sentenza).

Senza tralasciare che l’espressione “il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera” contenuta nell’art. 936 c.c., comma 2 va interpretata come riferentesi a tutte le voci di spesa oggettivamente necessarie per l’esecuzione dell’opera (nel tempo e nel luogo in cui i lavori vennero eseguiti), a prescindere dai prezzi effettivamente pagati; e, quindi, come riferentesi all’oggettivo valore di mercato, al tempo dell’esecuzione, non solo delle due voci espressamente previste (materiali e mano d’opera), ma anche delle spese di progettazione tecnica necessaria per la costruzione delle opere trattenute, nonchè al corrispettivo dovuto all’impresa che ha eseguito i lavori (cfr. Cass. n. 2273/2005, cit.).

3. In definitiva, il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori come per legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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