Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1402 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 22/01/2021), n.1402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLASUTTO Daniela – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11065-2017 proposto da:

V.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINIA 213, presso lo studio dell’avvocato SIMONE TRIVELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO CAVICCHIOLI;

– ricorrente principale –

C.A., V.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PRISCIANO, 28, presso lo studio dell’avvocato GUIDO CIPRIANI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARCO GRAZIOLA;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 550/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 25/10/2016 r.g.n. 1076/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.A. e V.D. convenivano in giudizio V.C.G. e V.M. e, premesso di avere partecipato all’impresa familiare nella titolarità dapprima di V.C.G., coniuge della C. e padre di D., e quindi di V.M., rispettivamente figlio e fratello dei ricorrenti, chiedevano la condanna in solido dei convenuti agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonchè agli incrementi dell’azienda anche in relazione all’avviamento; in particolare chiedevano di computare gli utili sulla base del valore degli immobili edificati su terreni intestati a V.C.;

2. il giudice di primo grado, assolto V.M. dalle domande proposte nei suoi confronti, condannava V.C.G. a corrispondere ad C.A. l’importo di Euro 103.085,00 e a V.D. l’importo di Euro 24.008,05, oltre accessori;

3. la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in Euro 164.936,00 e in Euro 60.425,00, oltre accessori, rispettivamente in favore di C.A. e di V.D., la somma ad essi dovuta per la partecipazione alla impresa familiare di V.C.G.; ha condannato C.A. e V.D. a rimborsare a V.M. le spese dei due gradi di giudizio, come in dispositivo quantificate; ha condannato V.C.G. a rimborsare a C.A. e V.D. due terzi delle spese del giudizio, come in dispositivo determinate, compensato il residuo terzo;

3.1. il giudice di appello, per quel che ancora rileva, confermata la ricostruzione del primo giudice secondo la quale il reale titolare dell’impresa, pur dopo la formale cessazione il 31.12.2000 dell’impresa agricola V.C. e l’assunzione della titolarità da parte del figlio D., era sempre stato V.C.G. e che sussistevano i presupposti per la configurazione di un’impresa familiare tra i coniugi ed i loro figli, M. e D., che non era revocabile in dubbio la produzione di utili da parte dell’impresa familiare e che tali utili fossero stati reinvestiti nell’impresa medesima come attestato dall’acquisizione di vari immobili e macchinari di consistente valore, ha ritenuto in via presuntiva che le somme incassate nell’esercizio dell’impresa fossero state utilizzate da V.C.G. per finalità strettamente personali, estranee sia alle esigenze familiari sia agli investimenti nella impresa familiare medesima; nella concreta determinazione del quantum la Corte di merito ha ritenuto corretta la detrazione dall’incremento di valore degli immobili dell’incremento di valore del terreno, pacificamente di proprietà di V.C.G., nonchè di quanto percepito dagli originari ricorrenti sulla base dell’accodo del 3.6.2008 negoziato in sede di scioglimento della impresa familiare; ha ridotto la percentuale di abbattimento sul dovuto quale calcolato dal ctu in favore della C. in considerazione del fatto che fino all’anno 1986 la stessa aveva prestato attività lavorativa presso terzi e ritenuta ingiustificata la compensazione delle spese di lite nei confronti di V.M., originario convenuto, in quanto assolto in giudizio di ogni pretesa formulata nei suoi confronti;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso V.C.G. sulla base di un unico articolato motivo; gli intimati C.A. e V.D. hanno resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo articolato in più profili;

5. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c.;

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso principale V.C.G., deducendo violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., censura la sentenza impugnata per errata interpretazione e applicazione della regola in tema di distribuzione dell’onere probatorio fra le parti. Premesso che C.A. e V.D. con la originaria domanda avevano in particolare allegato che gli utili dell’impresa familiare erano stati investiti per realizzare, negli anni 2002/2003, una serie di fabbricati su terreni di esclusiva proprietà del titolare, fabbricati di valore pari a circa Euro 631.000,00 e che tali valori commerciali andavano pertanto considerati quali utili non distribuiti, premesso, inoltre, che esso ricorrente, pur non gravato del relativo onere probatorio, aveva allegato che i fabbricati erano stati realizzati con danaro personale non riconducibile all’azienda agricola, osservato che l’onere della prova relativo agli utili prodotti ricade sul partecipante che agisce per il conseguimento della propria quota, si duole che il giudice di appello, pur in assenza di prova offerta da controparte, avesse fondato l’accertamento in ordine al fatto che i fabbricati fossero stati realizzati attraverso gli utili prodotti dall’impresa familiare sulla mera circostanza del lavoro prestato anno per anno dai componenti della famiglia nell’azienda agricola, circostanza questa che assume inidonea a sorreggere l’inferenza logica tratta dal giudice di appello secondo un giudizio di verosimiglianza;

2. con l’unico motivo di ricorso incidentale C.A. e V.D. deducono omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio nonchè violazione e falsa applicazione di norma di diritto. Censurano la sentenza impugnata per avere confermato la decisione di primo grado in relazione all’operazione di detrazione dal dovuto a titolo di utili con quanto da essi percepito sulla base della scrittura privata del 3.6.2008;

3. il motivo di ricorso principale è infondato;

3.1. la sentenza impugnata ha motivato l’accertamento relativo all’impiego degli utili prodotti dall’impresa familiare per la realizzazione dei fabbricati di proprietà esclusiva di V.C. con la presunzione tratta da una serie di circostanze quali l’essere i quattro componenti della famiglia stati per anni impegnati nell’azienda agricola, l’acquisto nel corso del periodo, come attestato dal consulente tecnico d’ufficio sulla base di dati documentali non contestabili, di vari immobili e macchinari di consistente valore destinati alla vita familiare ed allo sviluppo dell’impresa; ha quindi ritenuto non fondata la deduzione degli originari convenuti in ordine al fatto che gli investimenti mobiliari e immobiliari fossero frutto di risorse personali di V.C.G. posto che dalla documentazione in atti risultava che questi era titolare dal 1980 di rendita INAIL, pari nell’anno 2009 a Euro 2.614,93 annue e, con decorrenza dal gennaio 1996, di pensione di anzianità di importo mensile, riferito all’anno 2009, di Euro 950,00 mentre non vi era prova di risorse di diversa provenienza; questi trattamenti, entrambi di non rilevante entità, erano da ritenersi utilizzati per finalità strettamente personali, estranee sia alle esigenze familiari, sia agli investimenti nell’impresa familiare;

3.2. l’assunto del ricorrente principale in ordine all’onere della prova relativo agli utili prodotti gravante sul partecipante che agisce per il conseguimento della propria quota, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale sia per le comunioni tacite familiari, già contemplate dall’art. 2140 c.c., sia per l’impresa familiare disciplinata dall’art. 230 bis c.c. (introdotto dalla L. n. 151 del 1975, il cui art. 205 ha abrogato il citato art. 2140) non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l’acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio ed in costanza di comunione provenga dagli utili tratti dall’attività economica comune, attesa la compatibilità del fondo comune costituito da detti utili con un patrimonio personale dei partecipanti, con la conseguenza che, in applicazione dei principi generali sull’onere probatorio, colui che afferma che detto acquisto è stato effettuato con denaro comune è tenuto a fornire la prova del proprio assunto (Cass. n. 32698/2018, n. 7007/2015, n. 25158/2010, n. 9119/1999);

3.3. l’accertamento alla base della sentenza impugnata non si pone in contrasto con il principio sopra richiamato in quanto la presunzione che gli immobili fabbricati sui terreni di proprietà di V.C.G. fossero stati realizzati con utili prodotti dall’impresa familiare non è affidata solo alla mera circostanza del lavoro prestato nell’impresa, per lungo tempo, dai familiari ma tiene conto di una serie di altri elementi fattuali quali le acquisizioni del consulente tecnico d’ufficio circa i rilevanti acquisti di immobili e macchinari di consistente valore destinati alla vita familiare ed allo sviluppo dell’impresa e l’assenza in capo a V.C.G. di risorse economiche tali da consentirgli di fare fronte esclusivamente con i propri redditi alla realizzazione, sui propri terreni, di immobili di ingente valore;

3.4. le circostanze di fatto dalle quali ha preso le mosse il ragionamento presuntivo del giudice di appello, non sono validamente contrastati dall’odierno ricorrente le cui deduzioni si risolvono nella richiesta di un nuovo apprezzamento di merito delle emergenze in atti (v., in particolare, ricorso, pagg. 35 e sgg.) e quindi nella sollecitazione di un sindacato non consentito al giudice di legittimità;

parimenti, alla luce del complesso delle circostanze di fatto alla base dell’accertamento presuntivo non è dato rinvenire alcuna implausibilità logica nella inferenza dalle stesse tratta dal giudice di merito nel risalire al fatto ignoto relativo alla produzione di utili;

4. il motivo di ricorso incidentale è anch’esso da respingere.

4.1. la deduzione di vizio di motivazione, laddove denunzia insufficienza e contraddittorietà di motivazione, non è articolata in conformità dell’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, il quale ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass. Sez. Un. 8053/2014), non denunciata nella fattispecie; tanto assorbe l’ulteriore profilo di inammissibilità scaturente dalla violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per non essere le circostanze fattuali a sostegno della dedotta illogicità e contraddittorietà di motivazione, evocate nel rispetto degli oneri di trascrizione prescritti dalla disposizione richiamata; inammissibili, per la medesima ragione, sono le censure fondate sulla consulenza tecnica di ufficio e sul contenuto della scrittura privata del giugno 2008, delle quali è mancata la trascrizione nelle parti di pertinenza, dovendo comunque osservarsi quanto alla scrittura privata che la stessa è stata espressamente presa in considerazione del giudice d’appello;

4.2. le ulteriori deduzioni della ricorrente in tema di contributo della C. alla impresa familiare sono inammissibili in quanto intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento delle emergenze probatorie vale a dire un sindacato non consentito al giudice di legittimità, secondo quanto già rappresentato al paragrafo 4.1.;

4.3. infine la deduzione di violazione di norme di diritto è affetta da assoluta genericità non essendo articolata in conformità delle indicazioni di questa Corte secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 17570/2020, n. 287/2016, n. 635/2015, n. 25419/2014, n. 3010/2012);

5. al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la compensazione delle spese di lite;

6. sussistono i presupposti processuali per l’applicabilità, nei confronti della parte ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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