Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14016 del 10/06/2010

Cassazione civile sez. II, 10/06/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 10/06/2010), n.14016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.G., quale figlio e legittimo erede di M.B.,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Alessandro Graziani, presso lo

studio del quale in Roma, via Premuda n. 6, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

G.B., rappresentata e difesa dagli Avvocati Carla

Secchieri e Beatrice De Siervo, per procura in calce al

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della

seconda in Roma, via Panama n. 56;

– controricorrente –

e

D.A. e S.D.E., in proprio e quali unici

soci della cessata DUSSICH ENERGY s.n.c., rappresentati e difesi

dagli Avvocati Giorgio Angi e Massimo Pagliari per procura speciale a

margine del controricorso, elettivamente domiciliati presso lo studio

del secondo in Roma, via Giovanni da Palestrina n. 19;

– controricorrenti –

nonchè nei confronti di:

M.C.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 450/06,

depositata in data 13 marzo 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 febbraio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il ricorrente, l’Avvocato Alessandro Graziani, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentiti, per i resistenti, gli avvocati Beatrice De Siervo e Massimo

Pagliari, che hanno concluso per il rigetto del ricorso;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Leccisi Giampaolo, il quale nulla ha osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con sentenza depositata il 13 marzo 2006, la Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da M.B. avverso la sentenza del Tribunale di Padova – che aveva accolto la domanda, proposta da G.B. nei confronti del M. e della DUSSICH ENERGY SAVING s.n.c. di Dussich Antonio & C, di risarcimento dei danni conseguenti, rispettivamente, alla cattiva esecuzione dell’impianto idraulico e alla difettosa manutenzione dell’impianto addolcitore dell’acqua, condannando il M. al pagamento della somma di L. 120.000.000 – condannava il M. al pagamento della minor somma di Euro 25.822,84 con interessi legali dalla domanda al saldo;

che per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M. G., nella qualità di erede legittimo di M.B., sulla base di quattro motivi;

che, con il primo motivo, il ricorrente lamenta “omessa e insufficiente motivazione in ordine all’accertamento e alla valutazione delle prove relative alle intervenute decadenza e prescrizione, ex art. 360 c.p.c., n. 5”; con il secondo motivo, il ricorrente deduce “omessa e/o insufficiente e/o illogica motivazione circa la responsabilità del M. ex art. 360 c.p.c., n. 5;

omessa considerazione di una prova vertente su un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5”; con il terzo motivo, il ricorrente denuncia “insufficiente motivazione in ordine all’accertamento e alla valutazione delle prove in relazione alla determinazione del “quantum” ex art. 360 c.p.c., n. 5″; con il quarto motivo, il ricorrente deduce “motivazione omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria in relazione alla condanna alle spese di giudizio e di ctu ex art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c.”;

che hanno resistito, con controricorso, G.B., da un lato, e D.A. e S.D.E., quali unici soci della cessata Dussich Energy Saving s.n.c., dall’altro, la prima eccependo la inammissibilità del ricorso, i secondi dichiarando di aderire al primo motivo di ricorso e concludendo per l’infondatezza del secondo e del quarto motivo;

che, avviatosi il procedimento di cui all’art. 375 cod. proc. civ., la Corte di cassazione, con ordinanza n. 17079 del 2008, ha disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti di M.C. nonchè degli eventuali eredi di M.B.;

che, adempiuto l’incombente, il consigliere delegato ha depositato in data 24 novembre 2009, la relazione di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Considerato che, nella citata relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ., il consigliere delegato ha rilevato quanto segue:

“… Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in quanto i primi tre motivi sono inammissibili e il quarto motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.

Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 c.p.c., n. 5), dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora – come nella specie – il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: tali prescrizioni sono state nella specie del tutto disattese, non potendo al riguardo ritenersi sufficienti le indicazioni contenute in sede di esposizione del motivo.

Nella specie, la sentenza impugnata è stata depositata il 13 marzo 2006 e i primi tre motivi di ricorso, che denunciano vizi di motivazione, non rispondono al requisito imposto dall’art. 366-bis c.p.c., comma 2, non risultando la chiara indicazione del fatto controverso.

Per quel che riguarda il quarto motivo, deve rilevarsi che la denuncia del vizio di violazione di legge non risulta accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto, necessario anche nel caso in cui venga dedotta la violazione del principio del chiesto e pronunciato Cass., n. 4329 del 2009: “il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., anche quando l’inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea sussunzione o ricostruzione di un fatto processuale implicanti la violazione di tale regola, essendo necessario prospettare, pure in tale ipotesi, le corrette premesse giuridiche in punto di qualificazione del fatto”. La relativa censura è pertanto inammissibile. Per quanto attiene alla regolamentazione delle spese del giudizio, in relazione alla quale il ricorrente ha dedotto un vizio di motivazione, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha rideterminato le spese del giudizio di primo grado ed ha fatto applicazione del principio della soccombenza valutata con riferimento all’esito della lite, in una situazione in cui l’appellante principale non aveva limitato le proprie censure alla mera rimozione dell’errore in cui era incorso il Tribunale nel liquidare il danno, ma aveva sollecitato la totale riforma della sentenza di primo grado e il rigetto di tutte le domande proposte nei suoi confronti.

In conclusione, il ricorso può essere rigettato”;

che il Collegio condivide questa proposta di decisione, alla quale non sono state rivolte critiche tali da indurre a una diversa conclusione, dovendosi escludere che la mera richiesta di accoglimento del ricorso formulata dal difensore del ricorrente in sede di discussione all’udienza camerale, possa costituire una specifica critica alla proposta di decisione;

che tuttavia, ad integrazione delle considerazioni svolte nella richiamata relazione, deve evidenziarsi come la mancata indicazione del fatto controverso e la mancanza di un momento di sintesi, analogo alla formulazione del quesito di diritto, elementi imposti dall’art. 366-bis c.p.c., comma 2, costituiscono lo specchio di un ulteriore ragione di inammissibilità dei motivi di ricorso, giacchè essi tendono a sollecitare una valutazione del merito della controversia diversa da quella espressa dalla Corte d’appello, senza tuttavia evidenziare vizi specifici della motivazione;

che, invero, nel giudizio di legittimità non è consentito procedere al riesame delle risultanze istruttorie, essendo solo proponibile un controllo sulla logicità e la congruenza della motivazione;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorario, oltre spese generali e accessori di legge, in favore di G.B. e nella stessa misura in favore dei controricorrenti D.A. e D.E.S..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorario, oltre spese generali e accessori di legge, in favore di G.B. e nella stessa misura in favore dei controricorrenti D.A. e S.D. E..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2010

 

 

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