Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14016 del 08/07/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 22/06/2016, dep. 08/07/2016), n.14016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26186/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIEPOLO

GIOVANNI BATTISTA 21, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PICCAROZZI, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 28/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PICCAROZZI che ha chiesto

il rigetto e in subordine rinvio alle SS.UU. o alle Commissioni

Tributarie competenti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 36/25/11 del 22 febbraio 2011 con la quale la commissione tributaria regionale di Venezia – Mestre ha respinto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso proposto da V.A., dirigente Enel fino al 1997, avverso il silenzio-rifiuto maturatosi sulla istanza di rimborso Irpef 2000 da questi presentata. Rimborso richiesto a seguito di maggiore trattenuta fiscale (applicazione di aliquota di imposizione del TFR) che il contribuente assume essere stata indebitamente operata dal sostituto d’imposta Enel sul capitale erogatogli a titolo di prestazione previdenziale complementare, secondo quanto stabilito dallo statuto dell’ente di gestione Fondenel.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto corretto il criterio di tassazione stabilito dal primo giudice, in base al quale sul capitale corrisposto al contribuente iscritto alla previdenza integrativa aziendale (PIA) in epoca antecedente al D.Lgs. n. 124 del 1993, deve applicarsi la disciplina più favorevole di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 e art. 42, comma 4 T.U.I.R. (prelievo fiscale del 12,50%); aliquota, quest’ultima, da calcolarsi “sulla differenza tra l’importo della metà del capitale iniziale e la metà dei premi riscossi ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, poichè il capitale è stato corrisposto dopo 10 anni dalla conclusione del contratto”. Ciò sul presupposto della natura, se non assicurativa, di contratto di capitalizzazione e previdenziale del fondo integrativo in oggetto; e, inoltre, della inaccettabilità, in diritto, di un criterio articolato secondo cui “la somma percepita andrebbe sottoposta a due distinti regimi di imposta: il rendimento (differenza tra capitale di tutti i contributi) tassato al 12,50% ed il monte contributivo, tassato ex art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, comma 2, in guisa di TFR”.

Resiste con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c., il contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il resistente oppone eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto sottoscritto dall’avvocato dello Stato Francesco Meloncelli, ma notificato a mezzo posta dal procuratore dello Stato Emma Damiani che ne ha sottoscritto la relata di notifica; ciò integrerebbe violazione della L. n. 69 del 2009, art. 55, nonchè L. n. 53 del 1994, artt. 1 e 3, poichè l’avvocato che sottoscrive il ricorso dovrebbe necessariamente provvedere anche alla redazione e sottoscrizione della relata di notifica. Nel procedimento avanti alla corte di cassazione, il procuratore dello Stato non è legittimato a proporre ricorso e, dunque, dovrebbe ritenersi radicalmente inesistente la notificazione da lui eseguita a mezzo posta.

L’eccezione è infondata.

Si osserva che, nel caso di specie, il ricorso per cassazione non è stato proposto dal procuratore dello Stato, ma dall’avvocato dello Stato Francesco Meloncelli, che ne aveva potestà; questi lo ha sottoscritto anche nell’ istanza di notificazione. La circostanza che la relata di notifica a mezzo del servizio postale ex L. n. 53 del 1994 ed L. n. 69 del 2009, art. 55, sia stata sottoscritta da un procuratore dello Stato integra – stante la certa riferibilità dell’atto all’ufficio dell’avvocatura dello Stato unitariamente considerato, ed il mancato esercizio, nell’attività in questione, di vero e proprio jus postulandi – una mera irregolarità non invalidante nè il ricorso per cassazione nè la sua notificazione;

vieppiù a fronte della regolare costituzione in giudizio della parte intimata.

Rileva quanto già affermato, in fattispecie diversa (trasmissione a distanza di atti contenziosi con mezzi di telecomunicazione) ma sulla base di un principio generale applicabile anche nella presente vicenda, da Cass. 779/97 e 7344/03; in ordine al fatto che lo svolgimento di attività di comunicazione e trasmissione da parte del procuratore dello Stato, in ambito contenzioso riservato all’avvocato dello Stato, non integra di per sè nullità (men che meno inesistenza giuridica) dell’atto, ma una mera irregolarità amministrativa: “nell’ipotesi in cui l’Avvocatura dello Stato si avvalga dei mezzi di telecomunicazione per la trasmissione a distanza degli atti relativi ad affari contenziosi, la sottoscrizione della copia fotoriprodotta da parte di un procuratore dello Stato, anzichè di un avvocato (come prescritto della L. n. 664 del 1986, art. 7), costituisce una mera irregolarità amministrativa (non una nullità), che non rende inammissibile il ricorso per cassazione.

2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta –

ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9; D.L. n. 669 del 1996, art. 1, comma 5, conv. L. n. 30 del 1997; D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 12, comma 1; art. 42, comma 4, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 T.U.I.R.; L. n. 482 del 1985, art. 6, in relazione all’art. 2697 c.c.. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che il regime di tassazione di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 e art. 42, comma 4 T.U.I.R. (12,50%) doveva ritenersi applicabile non all’intero importo della prestazione erogata, ma soltanto alla quota di quest’ultima costituente rendimento netto da investimento per effetto della gestione sul mercato del capitale accantonato da parte del fondo; ciò in quanto, per configurare un reddito di capitale, è necessario che lo stesso sia frutto di un investimento sul mercato del capitale stesso, così come statuito da Cass. SSUU 13642/11. Nel caso di specie, risultava omesso il dovuto accertamento fattuale in ordine alla fonte ed alla quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, avendo la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto di applicare l’aliquota del 12,50% puramente e semplicemente alla differenza tra premi versati e capitale ricevuto.

Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 56; per avere la commissione di secondo grado riconosciuto al contribuente gli interessi e la rivalutazione, nonostante che questi ultimi non fossero stati riconosciuti dalla commissione tributaria provinciale con statuizione che non era stata fatta oggetto di appello incidentale, così da essere passata in giudicato.

2.2 Il primo motivo di ricorso va accolto nei termini che seguono.

Le SSUU di questa corte – con sentenza n. 13642 del 22 giugno 2011 –

hanno posto fine al pregresso contrasto interpretativo e, in esito alla compiuta ricostruzione normativa della fattispecie, hanno stabilito, in un caso del tutto sovrapponibile al presente, il seguente principio di diritto: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui del cit. D.P.R. n. 917, artt. 16, comma 1, lett. a) e art. 17″.

Tale principio ha trovato plurime conferme successive (tra le altre:

Cass. 287/12; 14498/12; 23520/12; 3130/14; 17365/14, ord.; 5614/15), e deve essere qui ribadito, non essendo emersi elementi tali da giustificare un diverso orientamento.

In particolare, Cass. 17365/14 ord., cit., ha ripreso i vari profili nei quali si è articolato il ragionamento delle SSUU, osservando che:

– “in tale occasione si è precisata la distinzione tra coloro che siano iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 (come nel caso di specie) e coloro che risultino iscritti a forme analoghe in epoca successiva all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo; solo ai secondi risultando applicabile il trattamento tributario stabilito dal predetto D.Lgs. n. 124, art. 13, comma 9, il quale assoggetta le prestazioni in forma di capitale a tassazione separata ai sensi del T.U.I.R. – approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e successive modificazioni ed integrazioni-, e ciò all’esito della norma interpretativa di cui al D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni con L. 28 febbraio 1997, n. 30 (…)”;

– va ribadita, “proprio in tema di trattamenti liquidati a dirigenti ENEL già iscritti alla forma di previdenza integrativa aziendale –

PIA – prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9 e maturati entro il 31 dicembre 2000 – e dunque per vicende identiche alla presente -, l’applicazione della ritenuta del 12,50% sulle sole somme relative alla liquidazione del rendimento, sussistendo il diritto del contribuente al rimborso, per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, della differenza tra quanto versato all’Erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6 alle sole somme liquidate per il rendimento”;

– ciò nella ravvisata differenziazione di natura giuridica ed economica tra le varie componenti del fondo, costituite “da una sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore) e da un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Sicchè possono essere tassate in modo analogo al TFR esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A., cui segui il trasferimento della posizione individuale nel Fondo Enel), si applica la tassazione nella Misura del 12,50% ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, commi 1 e 2, del richiamato art. 6”;

– sulla nozione di rendimento (tassabile al 12.50% fino al 31 dicembre 2000), viene richiamato innanzitutto quanto stabilito dalle SSUU, nel senso che: “…per rendimento del capitale deve intendersi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito, come questa corte ha avuto modo di ulteriormente specificare nella successiva sentenza 29583/11 – sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”;

risultando pertanto necessario, da parte del giudice del merito, svolgere un esame degli investimenti effettuati dal Fondo sul mercato finanziario (alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili) e delle plusvalenze con essi realizzati, così da accertare “…se in concreto sussistesse un rendimento imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato (ossia, in termini più espliciti, se la differenza tra le somme erogate al beneficiario e l’ammontare dei contributi versati da lui e dal datore di lavoro derivasse in tutto o in parte dalla gestione di tali contributi sul mercato finanziario)”.

Sempre sul problema della natura ed individuazione della quota di rendimento tassabile, per i vecchi iscritti, al 12,50% (sulla differenza tra ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), Cass. n. 130/14 ha esplicitato – nello stesso senso – la necessità dell’ accertamento di merito sulla sussistenza ed entità del rendimento (effettivo investimento sul mercato del capitale degli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore; risultati dell’investimento; modalità dell’assegnazione delle eventuali plusvalenze così ottenute alle singole posizioni individuali). Posto che è sulla scorta di tale indagine che il giudice di merito “quantificherà la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo effettivo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, (come sopra decrementata) secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17”.

Tali principi sono stati più recentemente recepiti anche da Cass. 5614/15, la quale ha innanzitutto richiamato Cass. 23520/12, in ordine al principio per cui “le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di conversione del trattamento pensionistico integrativo aziendale (PIA), per la parte costituita dalla remunerazione del capitale investito, sono soggette all’aliquota fissa del 12,5%, (…) e non alla tassazione separata del trattamento di fine rapporto (…), non solo quando il suddetto trattamento pensionistico integrativo sia dovuto per effetto della stipula di un’assicurazione sulla vita o di un piano di capitalizzazione, ma anche quando sia dovuto per effetto della stipula di un contratto con soggetti diversi da una società di assicurazione, giacchè quel che rileva ai fini suddetti è che sia stato applicato dal soggetto tenuto al pagamento un modello gestionale di tipo assicurativo”;

osservando come il carattere non retributivo dell’importo in oggetto scaturisca dalla natura autonoma ed aggiuntiva dei contributi datoriali e del lavoratore rispetto agli accantonamenti per tfr e, inoltre, dal mancato necessario collegamento dell’erogazione alla cessazione del rapporto lavorativo.

Per poi nuovamente ribadire come non possa dirsi pienamente rispettato il principio di diritto espresso dalle SSUU, ove non sia stato compiuto – dal giudice di merito – un “accertamento approfondito ed analitico sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”.

Va detto che la stessa amministrazione finanziaria si è adeguata a tale orientamento di legittimità con la risoluzione agenzia entrate n. 102/E del 26 novembre 2012 (su interpello successivo alla sentenza SSUU cit.), secondo cui “può essere riconosciuta l’applicazione della ritenuta nella misura del 12,5% limitatamente alla quota che, sulla base di specifica certificazione rilasciata dal fondo, risulti essere costituita dal “rendimento netto”; correttamente precisandosi che quest’ultimo deve essere inteso non come quota meramente residuale o differenziale rispetto a quella costituita dai contributi, ma come somma effettivamente “imputabile alla gestione del capitale accantonato sui mercati finanziari da parte del Fondo”.

In maniera tale che la ritenuta nella misura del 12,50 per cento trovi applicazione sugli importi corrisposti dal Fondo che “concretamente derivino dall’investimento sul mercato finanziario, da parte dello stesso Fondo, del capitale accantonato e ne costituiscono il rendimento; in quanto solo tali somme sono assimilabili, anche sotto il profilo fiscale, ai redditi di capitale”.

Va peraltro qui precisato, quanto al richiamo alla specifica certificazione rilasciata dal fondo, che la valutazione probatoria di tale documentazione (ove prodotta in giudizio) non può che spettare al giudice di merito; anche sul punto qualificante della sua idoneità a dimostrare e quantificare il rendimento el fondo non in termini puramente differenziali rispetto agli importi versati, ma secondo la nozione individuata dalla giurisprudenza di legittimità testè richiamata.

Nel caso di specie, è mancata, da parte della commissione tributaria regionale, qualsiasi attività di diversificazione delle quote di erogazione, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza testè richiamata, in vista della sottoposizione ad aliquota del 12,50% del solo rendimento finanziario.

Anche il contribuente, preso atto del principio di diritto espresso dalle SSUU, conviene sulla necessità di accertare in concreto la quota di rendimento; ma assume che quest’ultima sia già a conoscenza dell’amministrazione finanziaria, in quanto comunicatale dall’Enel.

In ogni caso, dichiara di avere anch’egli ricevuto da quest’ultima la comunicazione sulla quota di rendimento maturata sulle somme erogate, in forza di un certificato che “provvederà a depositare in sede di giudizio di rinvio”, qualora questa corte ritenga di cassare la sentenza impugnata.

La lacuna nella quale è incorsa la commissione di merito, correttamente censurata, comporta la cassazione con rinvio della sentenza gravata.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso esplica effetto assorbente della seconda doglianza, posto che il giudice di rinvio dovrà disporre altresì sugli interessi e la rivalutazione – nei limiti della domanda di parte – solo all’esito della verifica dell’eventuale sussistenza e quantificazione del credito di rimborso; secondo i su riportati criteri.

In coerente applicazione con i principi enunciati, in definitiva, la commissione tributaria regionale, in diversa sezione, dovrà accertare – previa valutazione delle risultanze agli atti di causa e previa eventuale CTU – i concreti meccanismi di funzionamento del fondo P.I.A./FONDENEL nel corso degli anni; se vi sia stato impiego sul mercato finanziario del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore; quale sia stato il rendimento, ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali. Sulla scorta di tale indagine, il giudice del rinvio quantificherà la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l’imposta dovuta dal contribuente e, conseguentemente, l’ammontare del suo effettivo credito restitutorio derivante dall’applicazione solo a tale parte dell’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

PQM

LA CORTE – accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Venezia Mestre.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA