Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14016 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.06/06/2017),  n. 14016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7463-2013 proposto da:

COMUNE LIGNANO SABBIADORO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 13, presso lo studio dell’avvocato MARIO

ETTORE VERINO, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO BULFONE;

– ricorrente –

contro

T.P.A., G.N., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato LORETTA

BURELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMILIANO SINACORI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 536/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 09/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con citazione 24.4.2001 T.P.A. e G.N., premesso che con atto 11.3.1991 avevano acquistato da tale Lino Gobbo un’unità immobiliare facente parte del Condominio (OMISSIS), esponeva che sin dal 1978 la società costruttrice (SIE) aveva provveduto a delimitare con una siepe il terreno circostante, successivamente utilizzato in via esclusiva dai proprietari delle singole unità in condominio succedutisi nel tempo.

Assumendo il possesso ultraventennale della suddetta porzione di terreno, intestata al Comune di Lignano Sabbiadoro, lo conveniva davanti al Tribunale di Udine per la declaratoria di acquisto per usucapione.

Il Comune eccepiva che il terreno non poteva essere usucapito siccome demaniale, o comunque appartenente al patrimoni indisponibile. Contestò inoltre la sussistenza dei requisiti per l’acquisto a titolo di usucapione.

Il Tribunale accoglieva la domanda e tale decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Trieste che, con sentenza 9.8.2012, ha respinto l’appello del Comune ritenendo corretta l’esclusione dell’area dal demanio e dal patrimoni indisponibile del Comune.

Ricorre il Comune di Lignano con due motivi, resiste il T. con controricorso.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 822 c.c. e L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 22, ribadendo la tesi dell’appartenenza dell’area al demanio comunale sulla scorta dell’atto 12.12.1978 e della Delib. di cc 13 febbraio 1978, n. 15 con cui si era deciso di acquisire le aree destinate a percorsi pedonali e verde pubblico. Rimprovera alla Corte d’Appello di non avere svolto nessuna considerazione sulla natura giuridica dell’area in contestazione e ripropone la tesi sostenuta davanti ai giudici di merito.

1.2 Col secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 826 c.c. riproponendosi la tesi, subordinata, dell’appartenenza al patrimonio indisponibile dell’ente ed insistendosi sulla destinazione dell’area a verde pubblico e a percorso pedonale.

2 Le censure – che ben si prestano ad esame unitario – sono entrambe infondate.

Come già rilevato da questa Corte, i percorsi pedonali appartenenti ai Comuni rientrano nel demanio dell’Ente ma la loro demanialità va riconosciuta non in forza della presunzione di cui alla L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 22, comma 3 ma del comma 2 del citato art. e va esclusa, vertendosi in materia di demanio accidentale, nel caso in cui la strada, anche progettata, non sia stata realizzata. Questione diversa è quella dell’operatività della presunzione di demanialità di cui alla L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 22, comma 3 che tuttavia non si riferisce ad ogni area contigua e/o comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che per l’immediata accessibilità appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, così da costituire una pertinenza della strada stessa (Sez. 2, Sentenza n. 22074 del 2014 non massimata, in una analoga vicenda riguardante il Comune di Lignano Sabbiadoro; v. altresì Cass. 18.4.2011 n. 8876). Mancando l’effettività della destinazione – circostanza acclarata dalla Corte d’Appello – è da escludere conseguentemente, una presunzione di demanialità.

In ordine al secondo motivo, relativo alla classificazione dell’area come appartenente al patrimonio indisponibile, è sufficiente rilevare ancora una volta che il vincolo a verde pubblico imposto su un’area non vale ad attribuire all’area il carattere di bene indisponibile in assenza del doppio requisito della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e perciò di un atto amministrativo da cui risulta la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (v. Sez. 2, Sentenza n. 22074 del 2014 cit.; più di recente, v. cfr. Sez. U, Ordinanza n. 6019 del 25/03/2016 Rv. 638987). Ancora, è stato affermato che la presunzione di demanialità stabilita dalla L. n. 2248 del 1865, art. 22, all. F, non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle che, per l’immediata accessibilità, integrano la funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada; nelle altre ipotesi, invece, affinchè un’area privata venga a far parte del demanio, è necessario che essa sia destinata all’uso pubblico e che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla Pubblica Amministrazione (v. Sez. 2 -, Sentenza n. 2795 del 02/02/2017 Rv. 642811; v. altresì Sez. 2, Sentenza n. 8876 del 18/04/2011 Rv. 617475).

Nel caso di specie i giudici di merito hanno escluso l’appartenenza dell’area al demanio comunale di cui all’art. 824 c.c. (non rientrando nella previsione dell’art. 822 c.c.) e poi quanto alla dedotta applicabilità della L. n. 2248 del 1865, art. 22, all. F, con apprezzamento in fatto immune da vizi logici, hanno escluso che si tratti di spazi appartenenti all’ente territoriale, rilevando che nel caso di specie non risulta fornita la prova dell’effettiva utilizzazione da parte della comunità dei cittadini, utilizzazione addirittura da escludere in presenza di una recinzione realizzata nel novembre del 1978 dalla società costruttrice e non bastando la sola determinazione amministrativa.

Per le stesse ragioni (mancanza di una effettiva utilizzazione da parte dei cittadini) la Corte ha escluso anche la inclusione dell’area nel patrimonio indisponibile dell’ente territoriale.

Anche tale apprezzamento in fatto si sottrae al sindacato di legittimità perchè coerente con il citato principio di diritto affermato anche dalle sezioni unite,.

Solo per completezza è il caso di rilevare che le conseguenze – ritenute paradossali dal ricorrente – sul diverso regime delle zone “occupate” e di quelle “risparmiate dal desiderio di accaparramento dei privati” (v. pagg. 14 e 15 del ricorso) non colgono un punto centrale, cioè, la ultraventennale inerzia del titolare del diritto di proprietà, nonostante l’esistenza dei mezzi predisposti dall’ordinamento per rientrare nel legittimo possesso dei beni in presenza di atti di occupazione.

In conclusione, il ricorso va respinto con addebito di spese a carico della parte soccombente. Considerato inoltre che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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