Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14012 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 06/04/2017, dep.06/06/2017),  n. 14012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9736-2013 proposto da:

G.S. (OMISSIS), G.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE TUPINI 133, presso lo studio

dell’avvocato AGOSTINO DE ZORDO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO NARDI;

– ricorrenti –

contro

D.B.P.R., D.B.P.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 778/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con atto di citazione notificato il 16.7.2003 i Sig.ri Silvano e G.M. convennero innanzi al Tribunale di Pistoia i Sig.ri d.B.P.R. e C. esponendo che in data 26.5.1987 i Sig.ri d.B.P.R. e C. avevano venduto alla Acquario Srl, di cui il Sig. G.S. era il legale rappresentante, il complesso immobiliare “Villa Imbarcati”.

Successivamente la Acquario Srl era stata liquidata ed il bene assegnato, pro indiviso, ai due soci G.M. e S..

La parte venditrice, nel contratto di compravendita aveva dichiarato di aver provveduto a presentare le richiesta di sanatoria al Comune di Pistoia in data 2.10.1986 (previo versamento il 30.9.1986 della relativa somma a titolo di oblazione) e si era altresì obbligata a fare quanto altro richiesto al fine di ottenere il rilascio di concessione in sanatoria.

In realtà, il procuratore della parte veditrice si era limitato a depositare il modello 46/85B ed una relazione con foto, omettendo di provvedere al deposito dell’ulteriore documentazione richiesta dal Comune necessaria al fine del rilascio della concessione in sanatoria, costringendo così i sig.ri G. a rivolgersi ad un proprio tecnico, il geometra B.A., per completare la pratica.

Tanto premesso, e rilevato di aver invano chiesto il rimborso del compenso corrisposto al proprio tecnico di fiducia, pari a lire 25.000.000 di lire oltre ad iva e cpa, chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, determinato appunto nella somma da essi pagata per completare la pratica, pari a 13.169,00 Euro oltre ad iva ed interessi.

Il Tribunale di Pistoia, con la sentenza n. 1733 del 9/06/2005, rigettò la domanda, in quanto, da un lato, gli attori non avevano provato il pagamento del compenso al geometra cui si erano rivolti, dall’altro, le prestazioni richieste dal Comune di Pistoia, considerato il considerevole lasso di tempo trascorso dall’atto di vendita, non avrebbe potuto che essere fornita dagli stessi attori.

La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 778 depositata il 5 giugno 2012, dichiarò inammissibile l’appello ex artt. 100 e 342 c.p.c., in quanto non risultavano censurate tutte le rationes decidendi poste dal primo giudice a fondamento della pronuncia, oltre che infondato.

La Corte d’Appello, in particolare, rilevava, aderendo alla valutazione del primo giudice, che l’obbligazione di cooperazione genericamente assunta dai venditori non poteva estendersi ad adempimenti amministrativi che per loro stessa natura si presentavano assai semplici da assolvere per gli appellanti, a fronte della difficoltà in capo ai venditori, considerato il lungo tempo trascorso dal rogito ed il fatto che i venditori medesimi risiedevano all’estero.

I Sig.ri G.M. e S. propongono ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione di detta sentenza.

I convenuti non hanno svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. Considerato in diritto

Con il primo motivo di ricorso si denunzia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla ritenuta inammissibilità dell’appello da parte della Corte territoriale. Il ricorrente deduce che il principale motivo di gravame della sentenza di primo grado era consistito nella censura alla errata statuizione del giudice di prime cure, secondo cui non era stato provato l’an ed il quantum del danno subito. La censura suddetta era stata peraltro circostanziata e ben precisata, facendola discendere dall’omesso esame di una fattura con attestazione di avvenuto pagamento, onde non poteva ravvisarsi la genericità dell’impugnazione ritenuta dalla Corte d’Appello di Firenze.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3) e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5), deducendo l’errata interpretazione del contratto di compravendita e delle obbligazioni ivi assunte fatte proprie dalla Corte territoriale, stante la chiara ed inequivocabile formulazione dell’atto da cui si desumeva che i venditori avevano violato lo specifico dovere di ultimare la procedura di sanatoria.

I motivi, che, in virtù dell’ intima connessione, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili, per carenza di decisività, in quanto non viene attinta la essenziale ratio decidendi della pronuncia impugnata.

La Corte territoriale ha infatti affermato la genericità dell’atto di appello e la conseguente inammissibilità dell’impugnazione ex art. 342 c.p.c., in quanto non veniva specificamente censurata l’autonoma ratio decidendi della sentenza di primo grado, costituita dalla statuizione secondo cui l’obbligazione cooperativa assunta dai venditori non comprendeva quegli adempimenti amministrativi, quali quelli dedotti dagli odierni ricorrenti, che per la loro concreta natura si presentavano assai semplici per gli attuali proprietari e che a distanza di oltre vent’anni non potevano che essere posti a carico ai medesimi.

La statuizione di genericità dell’appello in ordine a tale ulteriore ratio decidendi e la conseguente inammissibilità del gravame, non risulta specificamente censurata con nessuno dei due motivi di ricorso.

Ed invero, da un lato gli odierni ricorrenti danno atto di aver essenzialmente impugnato la sentenza di primo grado per l’omesso esame della quietanza comprovante il compenso corrisposto al geometra incaricato, dall’altro contestano, nel merito, l’interpretazione del contratto di vendita accolta dal primo giudice e fatta propria dalla Corte d’Appello, ma non censurano specificamente la valutazione di genericità dell’atto di impugnazione e la conseguente violazione dell’art. 342 c.p.c., che costituisce, evidentemente, questione distinta e logicamente prioritaria rispetto alla questione di merito relativa all’interpretazione delle pattuizioni negoziali.

A parte ogni rilievo sul fatto che nè l’intero contratto, nè quanto meno, le principali clausole dello stesso, in relazione al necessario requisito di autosufficienza del ricorso, risultano essere stata trascritte.

Poichè gli intimati non hanno svolto nel presente giudizio attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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