Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14003 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 24/01/2017, dep.06/06/2017),  n. 14003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26301-2012 proposto da:

Pr.Ro.Sa. (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNALISA ROTOLO;

– ricorrente –

contro

PR.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 295/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 14/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato RAFFAELLA SCUTIERI, con delega dell’Avvocato

ANNALISA ROTOLO difensore della ricorrente, che ha depositato la

nota spese per l’ammissione al gratuito patrocinio dello Stato ed ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La signora Pr.Ro.Sa. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Reggio Calabria, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda contro di lei proposta dal nipote P.R. (figlio di suo fratello Gi.), avente ad oggetto il rilascio di un fabbricato ad uso magazzino, in comune di (OMISSIS), che esso P.R. aveva acquistato per effetto di un decreto di trasferimento emesso il 5/8/96 nell’ambito di una procedura esecutiva a carico dei precedenti proprietari del medesimo fabbricato, signori S..

La corte d’appello ha rigettato la domanda riconvenzionale della signora P. avente ad oggetto la declaratoria dell’ acquisto per usucapione dell’immobile de quo, da parte di costei, ed ha altresì condannato la stessa a risarcire al nipote il danno da occupazione senza titolo dell’immobile, liquidandolo in Euro 6.154,01 per il periodo dal 19/7/97 (data della diffida stragiudiziale di rilascio) alla data della pronuncia.

Il ricorso si articola su tre motivi.

P.R. non ha spiegato attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 24.1.17, per la quale non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe. All’esito dell’udienza la causa è stata discussa in camera di consiglio e, successivamente, è stata decisa dal Collegio riconvocatosi in camera di consiglio il 5 aprile 2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente è opportuno sottolineare che la notifica del ricorso per cassazione, ancorchè effettuata a P.R. nel domicilio da costui eletto presso l’avvocato Scrivo, invece che presso il suo difensore avv. Gullo, deve giudicarsi valida, in base al principio, enunciato da questa Corte nella sentenza n. 9863/00, che il procuratore costituito è, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., il destinatario di tutte le comunicazioni e notificazioni dirette alla parte rappresentata, cosicchè le stesse devono eseguirsi al domicilio eletto anche quando la relativa elezione sia formalmente fatta dal titolare del diritto in contestazione perchè quella si riflette necessariamente sul procuratore abilitato dalla procura ad litem e che ne abbia autenticato la sottoscrizione e redatto l’atto di citazione o la comparsa di risposta, così facendo propria quella elezione.

Con il primo motivo si denuncia il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del capo di sentenza relativo al rigetto della riconvenzionale di usucapione proposta dall’odierna ricorrente in sede di merito.

Il motivo non può trovare accoglimento per una duplice ragione.

In primo luogo, perchè esso si risolve in una contestazione di merito sull’interpretazione della portata delle risultanze testimoniali operata dalla corte d’appello. La doglianza risulta dunque inammissibile, perchè, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata,contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

In secondo luogo, il motivo in esame non attinge efficacemente l’argomento della corte d’appello secondo cui – avendo la stessa sig.ra P. affermato di essere succeduta a sua madre, ai sensi dell’art. 1146 c.c., nel possesso dell’immobile in questione – doveva ritenersi che analoga successione nel possesso materno coinvolgesse anche i suoi fratelli (tra cui Pr.Gi., padre di R.); con la conseguente insorgenza di una situazione di compossesso tra coeredi in relazione alla quale – si argomenta nella sentenza gravata – Pr.Ro. non aveva offerto alcuna prova di atti di mutamento del proprio compossesso in un possesso esclusivo. La ricorrente non censura specificamente l’inquadramento della vicenda operato dalla corte territoriale in termini di successione dell’erede ( Pr.Ro.Sa.) nel possesso del de cuius ( C.G.) ex art. 1146 c.c., nè deduce alcun argomento dal quale desumere che gli altri figli di C.G., fratelli della stessa ricorrente, siano rimasti estranei a tale vicenda di successione nel possesso; cosicchè le argomentazioni svolte nel mezzo di gravame risultano sterili, in quanto la conseguenza che la sentenza gravata trae dal ritenuto compossesso tra coeredi – ossia che Pr.Ro.Sa. avrebbe dovuto dimostrare, ai fini della pretesa usucapione, non solo di aver goduto in via esclusiva dell’immobile de quo, ma anche di aver compiuto atti specificamente idonei ad impedire il concorrente godimento dei fratelli (pur essi compossessori, ancorchè solo animo), è allineato al fermo insegnamento di questa Corte che, in tema di comunione, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva; si vedano, al riguardo, le sentenze nn. 2944/90, 9903/06, 12775/08 (a contrariis), 17322/10, 23539/11, 11903/15.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda subordinata – spiegata in primo grado e riproposta in appello – di accertamento del diritto dell’odierna ricorrente a “le indennità dovute al possessore di buona fede per miglioramenti ed accessioni” (così lo stralcio della comparsa di costituzione e risposta in appello trascritto a pag. 10 del ricorso per cassazione; cfr. anche le conclusioni dell’appellata riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata).

Il motivo è fondato. Al riguardo va preliminarmente rilevato che nessuna statuizione implicita di rigetto della domanda di Pr.Ro.Sa. avente ad oggetto l’indennità per i miglioramenti e le accessioni apportati all’immobile de quo potrebbe essere desunta dall’argomentazione della corte distrettuale secondo cui costei non possedeva detto immobile in via esclusiva, ma ne aveva il compossesso insieme con gli altri coeredi di C.G.. Questa argomentazione, infatti, non è astrattamente incompatibile con l’accoglimento della suddetta domanda, giacchè il presente giudizio non ha ad oggetto lo scioglimento di una comunione ereditaria tra Pr.Ro.Sa. e P.R., ma una domanda di rilascio avanzata dal secondo nei confronti della prima, cosicchè non può, nella specie, richiamarsi utilmente la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il credito del coerede per i miglioramenti e le addizioni eseguite sui beni che ricadono nel compendio ereditario – sia che gli stessi si trovino nel suo possesso esclusivo, sia che essi formino oggetto di compossesso – non soggiace alla disciplina dell’art 1150 c.c. sugli effetti del possesso dei terzi, ma a quella che regola i rapporti tra i partecipanti alla comunione (sentt. nn. 2974/81, 12345/91, 6982/09, 16206/13).

Tanto premesso, il Collegio rileva che effettivamente la corte distrettuale, pur avendo trascritto nell’epigrafe della sentenza gravata la domanda di Pr.Ro.Sa. di indennità per i miglioramenti e le accessioni apportati all’immobile, non si è in alcun modo pronunciata sulla stessa. D’onde l’accoglimento del motivo di ricorso.

Col terzo mezzo la ricorrente denuncia il vizio di omessa e insufficiente motivazione della statuizione con cui essa è stata condannata al risarcimento del danno da occupazione senza titolo. La ricorrente assume, sotto un primo aspetto, che la corte d’appello, avendola riconosciuta titolare di un compossesso, avrebbe errato nel qualificare come abusiva l’occupazione dell’immobile de quo da parte sua; sotto un secondo aspetto, che nessun danno sarebbe stato risarcibile per il periodo successivo alla costituzione della sig.ra P. nel giudizio di primo grado, risultando tale periodo coperto dall’efficacia della sentenza del tribunale Palmi che aveva dichiarato l’acquisto per usucapione del suddetto immobile da parte della stessa sig.ra P..

Entrambi gli argomenti sono infondati. Il primo, perchè il fatto che la ricorrente esercitasse un compossesso sull’immobile de quo non è incompatibile con la qualificazione di tale situazione possessoria come lesiva dei diritti dominicali di P.D. e, quindi, generatrice di responsabilità risarcitoria per il periodo in cui si è protratto il rifiuto di Pr.Ro.Sa. di ottemperare alla richiesta di rilascio rivoltale dal proprietario dell’immobile. Il secondo, perchè la sentenza di primo grado è stata riformata, cosicchè nessuno effetto giuridico può collegarsi all’accertamento ivi contenuto del diritto dominicale dell’odierna ricorrente.

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione al primo e al terzo motivo e va accolto in relazione al secondo. Con conseguente cassazione della sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvio alla corte d’appello di Reggio Calabria, in altra composizione, perchè si pronunci sulla domanda di Pr.Ro.Sa. avente ad oggetto l’indennità per miglioramenti ed accessioni.

PQM

 

La Corte, all’esito della riconvocazione del 5 aprile 2017, rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso e accoglie il secondo; cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto; rinvia alla corte di appello di Reggio Calabria, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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