Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14002 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 19/01/2017, dep.06/06/2017),  n. 14002

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24993-2015 proposto da:

P.M. C.F.(OMISSIS), C.C. C.F.(OMISSIS),

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA D.CHELINI 5, presso lo studio

dell’avvocato FABIO VERONI, rappresentate e difese dall’avvocato

FABIO BARANELLO;

– ricorrenti –

contro

APICE SRL P.I.(OMISSIS) IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BORGHESANO LUCCHESE 29, presso lo studio

dell’avvocato ANNA CLAUDIA PETRUCCIANI, rappresentate e difese

dall’avvocato MARIO PETRUCCIANI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 15381/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 04/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/01/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

sentito il P.M. IN PERSONA DEL SOST. PROC. GEN. DOTT. PEPE ALESSANDRO

che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con relazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 2 e artt. 380-bis e 375 c.p.c. (nei testi previgenti al D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, in L. n. 197 del 2016) il consigliere designato ha osservato quanto segue:

“1. – Con sentenza n. 15381/14 questa Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Ciocco Carmela e da P.M. contro la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 164/08 nei confronti della Apice s.r.l. e dell’Immobiliare Mima, di T.P. e C. s.a.s. A base della decisione, la circostanza che (i) il ricorso era stato proposto nei confronti della sola Apice s.r.l., ancorchè la sentenza impugnata ne avesse dichiarato la carenza di legittimazione alla causa e al processo, non avendo detta società dimostrato in quel giudizio la propria qualità di successore della società originariamente convenuta, la Immobiliare Mima, di T.P. e C. s.a.s.; e che (ii) non solo tale statuizione non era stata impugnata, con conseguente formazione del giudicato interno sulla carenza di legittimazione passiva, ma altresì il ricorso per cassazione si era basato proprio sul fatto che la Corte territoriale avesse errato nel decidere la causa sulla base di documenti prodotti dalla Apice s.r.l., che non aveva veste per partecipare al giudizio.

1.1. – Contro tale sentenza C.C. e P.M. propongono ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1 e art. 395 c.p.c., n. 4. Sostiene parte ricorrente che la Apice s.r.l. non è altro che la società risultante dalla trasformazione e contestuale ridenominazione dell’Immobiliare Mima, di T.P. e C. s.a.s., rimasta infatti contumace in appello. La coincidenza delle due società e l’esclusione d’un fenomeno successorio dell’una all’altra, prosegue parte ricorrente, è dimostrato dall’identità del numero di partita IVA, della sede e del legale rappresentante. Ciò premesso, il ricorso per cassazione era stato notificato sia all’Apice s.r.l., presso il difensore nominato in primo grado, sia “alla originaria convenuta-appellata” società Immobiliare Mima, di T.P. e C. s.a.s. con la seguente formula: “alla società Apice s.r.l., già Immobiliare Mima, di T. P. e C. s.a.s.”. Pertanto, la statuizione d’inammissibilità del ricorso sarebbe fondata su un’erronea percezione degli atti di causa e della notifica del ricorso stesso, “avendo la Corte ritenuto che la notifica non fosse stata effettuata nei confronti della Immobiliare Mima s.a.s. (con la nuova denominazione Apice s.r.l.) presso la sua sede sociale” (v. pag. 12 del ricorso per revocazione).

1.2. – La Apice s.r.l. resiste con controricorso.

2. – Il ricorso è inammissibile per l’inesistenza dell’errore revocatorio prospettato.

In primo luogo è vano che la parte ricorrente, necessitata dall’onere di confutazione dialettica, sostenga che il ricorso per cassazione sarebbe stato notificato non solo alla Apice s.r.l. ma anche “alla originaria convenuta-appellata Società “Immobiliare Mima, di T. P. e C. s.a.s.”, che ha partecipato al giudizio di primo grado ed è stata dichiarata contumace nel giudizio di secondo grado” (v. pag. 11 del ricorso per revocazione). Dopo aver premesso, ripetuto e basato l’istanza di revocazione proprio e solo sull’assoluta identità delle due società in questione, la s.a.s. essendosi trasformata nella s.r.l. (“trattasi, in definitiva, dello stesso medesimo soggetto giuridico”: così a pag. 6 del ricorso per revocazione), è insanabilmente contraddittorio dedurre poi che tale ricorso sia stato notificato anche a detta parte originaria, e che, di riflesso, la sentenza n. 15381/14 nel sostenere il contrario sarebbe incorsa in un errore di fatto processuale avente rilevanza revocatoria.

Non senza rimarcare che, al contrario di quanto parte ricorrente tenta di accreditare (v. pag. 12 del ricorso per revocazione), la sentenza n. 15381/14 di questa Corte non ha discusso di notifiche ma ha rilevato che l’impugnazione era stata rivolta unicamente contro la Apice s.r.l..

Dunque, il problema è altro, perchè – si vorrà convenire – le ridette società sono o non sono il medesimo centro di imputazione patrimoniale soltanto per ragioni di carattere sostantivo, non certo per il numero di notifiche eseguite nè tanto meno per gli espedienti verbali adoperati nell’intestarne le relate.

Ed allora, poichè la stessa parte ricorrente afferma reiteratamente la continuità patrimoniale tra la Apice s.r.l. e l’Immobiliare Mima s.a.s., è incontrovertibile che sin dalla data dell’atto di trasformazione (7.6.2004: v. pag. 4 del ricorso per revocazione) l’unica sua controparte fosse la prima delle due, la seconda non esistendo più nella forma e nella ragione sociale originarie. Di conseguenza, l’aver effettuato una seconda notificazione alla Apice s.r.l. presso la sua sede e con la dicitura “già Immobiliare Mima di T. P. e C. s.a.s.” non possiede la virtù di rendere duplice ciò che è unitario.

Pertanto, il denunciato errore revocatorio non sussiste.

2.1. – Nè la parte ricorrente può trarre argomenti dalla situazione paradossale in cui ha finito per arenarsi. Infatti:

a) dal controricorso si ricava che nel giudizio d’appello essa aveva espressamente eccepito la carenza di legitimatio ad causam della Apice s.r.l.; eppure, avendo avuto inizio il giudizio d’appello in epoca successiva all’8.10.2004 (data di deliberazione della sentenza di primo grado), sin da tale momento la parte ricorrente poteva essere a perfetta conoscenza di quale fosse la sua giusta controparte (come detto l’atto di trasformazione è del 7.6.2004, per cui, dati i termini entro cui effettuare la prescritta pubblicità, sin dal mese di luglio del 2004 sarebbe stato possibile sapere della trasformazione mediante una visura camerale); per aver scelto, invece, di eccepire tout court la carenza di legittimazione della Apice s.r.l., detta parte può imputare solo se stessa;

b) ad ogni modo, anche dopo la sentenza d’appello per evitare l’inconveniente detta parte avrebbe potuto e dovuto censurare il capo concernente l’affermata carenza di legittimazione della Apice s.r.l., chiarendo nè più e nè meno quanto solo con il ricorso per revocazione ha ritenuto di esplicitare. Se ciò sarebbe valso a compensare la perdita della censura che invece è stata formulata nel ricorso per cassazione – che proprio sulla ritenuta carenza di legittimazione della Apice s.r.l. basava i primi due motivi – è poi questione che riguarda la parte, non il giudice.

3. – In conclusione, si propone la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per revocazione”.

La Corte condivide la relazione; nè la memoria di parte ricorrente apporta elementi idonei a indurre un giudizio di segno diverso.

Ed infatti, la revocazione ex art. 391-bis c.p.c. è prevista per la sola ipotesi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la quale, a sua volta, è ammissibile solo quando si denunci che la sentenza è frutto di un errore fatto, da intendere come affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, dagli atti o dai documenti di causa (v. fra le tantissime, Cass. nn. 17593/05 e 26074/05). Pertanto, la revocazione di una sentenza della Corte di cassazione è inammissibile allorchè per dimostrare detto errore sia necessario produrre documenti nuovi – come nella specie è avvenuto (v. docc. 1, 2 e 3, aventi ad oggetto l’atto di trasformazione societaria e le visure camerali storiche, prodotti per la priva volta con il ricorso per revocazione: v. pagg. 44 e 45 di detto ricorso) – non prodotti nelle precedenti fasi di giudizio nè tanto meno richiamati ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 con l’originario ricorso per cassazione.

Inoltre, la tesi di parte ricorrente non può pretendersi esente dal rispetto del principio di non contraddizione. Come già chiaramente affermato nella relazione, non è possibile continuare a sostenere, ad un tempo e secondo le convenienze del caso, sia che la Apice s.r.l. e l’Immobiliare Mima s.a.s. sono la stessa società ed esprimono una perfetta continuità patrimoniale, sia che quest’ultima sarebbe stata “ritualmente dichiarata contumace nel giudizio di 2^ grado” (v. pag. 6 della memoria). L’una affermazione elide l’altra, non essendo seriamente sostenibile che uno stesso soggetto di diritto possa considerarsi, nel medesimo processo e nel medesimo momento processuale, ora costituito ora contumace a seconda della denominazione che si adoperi.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico delle ricorrenti in solido tra loro.

Ricorrono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 le condizioni per il raddoppio, a carico delle stesse ricorrenti e sempre in solido tra loro, del contributo unificato dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti in solido tra loro alle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti in solido tra loro dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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