Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14000 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 06/06/2017, (ud. 27/10/2016, dep.06/06/2017),  n. 14000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11893-2012 proposto da:

M.B. (OMISSIS), B.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARLO ALBERTO RACCHIA 2, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO NACCARI, rappresentati e difesi dagli

avvocati FERDINANDO DE LEONARDIS, CARLO MAZZU’;

– ricorrenti –

contro

LERI S.r.l. piva (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore

,elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso

lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANGELO MAIOLINO;

B.F. (OMISSIS), CE.LA. (OMISSIS), CE.LI.

(OMISSIS), CE.LU. (OMISSIS), C.L. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 18, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA DE MARCHI, rappresentati e difesi dall’avvocato

TEOBALDO TASSOTTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 19/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato SABINA CICCOTTI, con delega dell’Avvocato CARLO

MAZZU’ difensore del ricorrente, che si è riportata alle difese in

atti;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GALLENCA, con delega dell’Avvocato TEOBALDO

TASSOTTI difensore dei controricorrenti Sig.ri C., che si riporta

alle difese in atti;

udito l’Avvocato ANGELO MAIOLINO, difensore della Soc. Leri, che ha

chiesto l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 1998 Ce.Le. ha agito contro gli odierni ricorrenti M. e B. perchè fossero condannati al rilascio del mappale 1030 fg 11 CT Marostica nonchè di porzioni del mappale n. 1026/7/8/9, n. 1214, 1211 arretrando sui propri confini.

I convenuti hanno resistito e in via riconvenzionale hanno chiesto che fosse dichiarato l’acquisto per usucapione degli immobili indicati in verde nella planimetria da essi prodotta.

Il tribunale di Bassano del Grappa con sentenza 906/03 ha rigettato ogni domanda attorea e accolto la domanda riconvenzionale.

La Corte di appello di Venezia il 5 gennaio 2012 ha accolto l’appello degli eredi C. e la separata impugnazione della società LeRi srl, successore particolare dell’attore per acquisto con rogito F. n. 128601 del 30 luglio 2003.

Ha pertanto respinto la domanda di usucapione quanto ai beni di parte attrice e di parte LeRi e ha accolto le domande degli eredi C..

Per la cassazione di questa sentenza i coniugi M. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 9 maggio 2012.

I C. e la srl LeRi hanno resistito con separati controricorsi.

Sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) I primi tre motivi di ricorso sono volti a sostenere che la Corte di appello avrebbe violato il giudicato che si sarebbe formato in ordine alla qualificazione della domanda iniziale come azione di rivendicazione, qualificazione asseritamente risultante dalla sentenza del tribunale e che è stata corretta d’ufficio dalla Corte di appello (pag. 3 sentenza impugnata).

In particolare con il primo motivo si sostiene che il giudice di appello non aveva il potere di riqualificare la domanda in assenza di apposito motivo e che così facendo la Corte avrebbe introdotto “un argomento estraneo all’appello”.

Con il secondo motivo parte ricorrente insiste sulla mancanza di specificità dell’appello su questo profilo, ditalchè sarebbe passata in giudicato la pronuncia “sulla natura dell’azione e della domanda proposta e anche sull’oggetto del contendere”.

Con il terzo motivo, sulla base delle conclusioni rassegnate dagli attori e del testo della sentenza di primo grado, si sostiene che bene aveva fatto il tribunale a qualificare la domanda come petitoria e che la diversa qualificazione avrebbe causato un “errore procedurale nella individuazione ed acquisizione della prova, nonchè nella svalutazione della prova acquisita in primo grado”.

2.1) Le censure, pur abilmente congegnate, sono prive di fondamento.

Va premesso che dai principi giurisprudenziali noti (cfr Cass. n. 5899 del 2001; Cass.4703/1997) si desume che è correttamente qualificata “actio finium regundorum”, e non rivendica, l’azione proposta dal proprietario che, pur in presenza di un confine apparente, ne deduca l’incertezza per intervenuta usurpazione di una porzione del proprio terreno da parte del vicino, e chieda conseguentemente un accertamento giudiziale della superficie dei fondi confinanti senza porre in discussione i titoli di proprietà, dovendosi ritenere del tutto irrilevante che l’accertamento della proprietà di una delle parti sulla porzione di fondo controversa comporti anche un effetto recuperatorio della proprietà stessa quale conseguenza dell’esperimento della detta azione, la cui finalità è soltanto quella di eliminare l’incertezza e le contestazioni relativa alla linea divisoria, prescindendo da ogni controversia sul diritto di proprietà.

La Corte di appello si è ispirata correttamente a questo principio di diritto e ne aveva il potere, giacchè nell’atto di appello, pur mancando un’esplicita critica alla qualificazione come “azione di rivendica” della propria pretesa, era implicita la insistenza nell’azione di regolamento di confini come proposta inizialmente.

L’impugnazione coinvolgeva infatti l’intero impianto della sentenza di primo grado; essa involgeva in primo luogo il rigetto della domanda riconvenzionale.

In secondo luogo, esplicitamente, la richiesta di accoglimento della propria domanda, la quale era volta, come si legge nelle conclusioni riportate nella sentenza di primo grado, “a far stabilire con sentenza i giusti confini” tra le due proprietà, all’arretramento dei convenuti “sui propri confini”, a disporre che il confine venisse “tracciato disponendovi termini fissi”, conclusioni sintetizzate ma riproposte inequivocabilmente anche in sede di appello.

2.2) Va aggiunto che la chiara formulazione iniziale della domanda, senza alcun riferimento ai titoli di acquisto, e la sua riproposizione in appello valevano a confutare, ove vi fosse stato condizionamento a sè pregiudizievole, e favorevole a controparte, una diversa qualificazione della domanda.

Una più specifica censura non era peraltro necessaria, giacchè la qualificazione data dal tribunale alla pretesa attorea era stata alquanto discutibilmente fatta dipendere principalmente dall’aver i convenuti opposto l’usucapione, ma dopo aver dato atto che “era indiscusso il diritto di ciascun proprietario sul rispettivo fondo”, che è uno dei presupposti che differenziano regolamento di confini e azione di revindica.

Vi era nella sentenza del tribunale il riferimento anche alla richiesta di rilascio, ma poichè l’effetto recuperatorio del regolamento di confini non muta la natura petitoria dell’azione (da ultimo Cass. 56903/14), parte appellante non aveva altro da fare che insistere nella richiesta di rigetto dell’usucapione e nelle proprie domande chiaramente volte al regolamento di confini per sconfessare implicitamente, ma inequivocabilmente, le imprecise enunciazioni del giudice di primo grado.

2.3) Inoltre va osservato che la diversa qualificazione non ha influito sugli oneri probatori, giacchè a fronte di azione di rivendicazione, ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un’eccezione riconvenzionale, invocando un possesso “ad usucapionem” iniziato successivamente al perfezionarsi dell’acquisto ad opera dell’attore in rivendica (o del suo dante causa), l’onere probatorio gravante su quest’ultimo si attenua. Si riduce alla prova del suo titolo d’acquisto, nonchè della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il “thema disputandum” all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto del bene medesimo da parte dell’attore. (di recente Cass. n. 8215 del 22/04/2016).

Ora, poichè parte C. era proprietaria per acquisto dal 1970 e i convenuti hanno dedotto l’impossessamento da partire dal 1971 (sentenza impugnata pag. 1) non sarebbe comunque ravvisabile alcun pregiudizio per parte ricorrente. Infatti va osservato che l’esame della sussistenza dell’usucapione e dei suoi immutati presupposti è stato al centro dello scrutinio del giudice di appello e che dal rigetto della domanda di usucapione è scaturita la conferma dei confini accertati.

3) Le considerazioni svolte da ultimo valgono a smentire la premessa del quarto motivo, che deduce che per effetto della riqualificazione della domanda tutta la decisione sarebbe stata pervasa da un pregiudizio sfavorevole.

La censura, che ha di mira sostanzialmente una critica alla valutazione della prova, si sviluppa nell’arduo tentativo di dimostrare che per la mutata qualificazione tra azione di regolamento di confini e azione di rivendica, sarebbe stata sfavorevolmente apprezzata la testimonianza di alcuni testi indotti da parte M.B..

Come è facile comprendere, invano si cerca in tal modo di eludere l’accurata e non scalfibile tessitura della sentenza di appello, che la Corte di Cassazione non può sottoporre a rivisitazione se non quando sia presente un evidente vizio logico o un difetto di motivazione, che non sono in alcun modo ravvisabili nelle critiche svolte.

5) Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione e violazione dell’art. 112 cpc, assumendo che la sentenza di condanna al rilascio avrebbe investito anche particelle non oggetto di domanda.

La censura è inammissibile giacchè non è specifica, in quanto non indica alle pagine 27 e 28 quali siano tali particelle. In ogni caso va osservato che la consulenza tecnica fu disposta proprio per chiarire l’oggetto del contendere e il chiarimento ha portato ad identificare meglio (non ex novo) ciò che era conteso sin dall’inizio e che era stato in modo controverso identificato dalla cartina colorata in verde di parte oggi ricorrente.

Eventuali errori materiali o ambiguità identificative dei luoghi possono trovare sfogo in appropriata sede.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo in pari misura, in relazione al valore della controversia, in favore sia degli eredi C. che della società Leri.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in favore di ciascun gruppo di controricorrenti in Euro 3.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ sezione civile, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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