Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1400 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 22/01/2021), n.1400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLASUTTO Daniela – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 397-2015 proposto da:

C.S.C. GESTIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA A R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

RUFINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO CATALANO e LORELLA

FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono;

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 373/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/09/2014 R.G.N. 14/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 373/2014 la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado che, pronunziando sulla domanda con la quale CSC Gestione Società Sportiva Dilettantistica a r.l, (da ora CSC), già B. Società Sportiva Dilettantistica a r.l., esercente attività di gestione di impianti sportivi, aveva chiesto l’accertamento negativo dei crediti previdenziali (cd. contribuzione minore INPS e premi INAIL) di cui ai verbali di accertamento congiunto INPS/INAIL n. 25/2008 e n. 19546/2010 e pronunziando sull’opposizione della società all’avviso di addebito dell’INPS per i crediti di cui al secondo verbale, aveva accertato la parziale fondatezza della pretesa creditoria dei due enti;

2. per quel che ancora rileva, il giudice di appello, premesso che la pretesa degli enti si riferiva ai compensi erogati da CSC a sette “lavoratori”, compensi che erano stati dichiarati come “reddito diverso” ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. m) TUIR e pertanto soggetti al regime tributario agevolato di cui all’art. 69, comma 2 TUIR e della L. n. 133 del 1999, art. 25, comma 1, con esenzione dalla contribuzione previdenziale, ha condiviso la valutazione del giudice di prime cure circa la inapplicabilità di tale qualificazione ai compensi erogati alle lavoratrici Z.L., D.S., M.V. e L.A.; la natura subordinata di tali rapporti, al di là della loro formale configurazione come autonomi, impediva di ricondurre gli emolumenti in questione all’ambito della ipotesi delineata dal secondo periodo dell’art. 67, comma 1, lett. m) TUIR vale a dire ai “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”. I compiti in concreto svolti, di carattere amministrativo per la Z. e di addette, di fatto, ai servizi di pulizia della piscina, per le altre, escludevano, inoltre, il ricorrere della ipotesi di agevolazione prevista dalla prima parte della norma richiamata, la quale faceva riferimento a compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, situazione non riscontrabile con riferimento all’attività svolta dalle richiamate lavoratrici;

2.1. quanto agli altri tre “lavoratori”, vale a dire agli istruttori di nuoto, il giudice di appello ha rilevato il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione, della statuizione che negava la natura subordinata di tali rapporti e in conseguenza la pretesa contributiva vantata dall’INPS; tanto premesso, in relazione all’attività prestata dagli istruttori di nuoto, ha confermato la inapplicabilità dell’art. 67, comma 1, lett. m) TUIR per difetto di collegamento funzionale con l’esercizio di attività sportiva dilettantistica o con le attività propedeutiche della stessa gestite dalla società; ha confermato, inoltre, la sussistenza del credito vantato dall’INAIL in ragione del carattere continuativo delle prestazioni e della coordinazione delle stesse con la struttura ed i mezzi propri della società; ha osservato che la domanda di applicazione della riduzione delle sanzioni L. n. 338 del 2000, ex art. 116, comma 15, lett. a) era stata tardivamente formulata solo nelle note difensive ed era comunque infondata nel merito non essendo la omissione contributiva contestata alla società riconducibile a oggettive incertezze connesse a contrastanti o sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.S.C. sulla base di cinque motivi; gli enti intimati hanno resistito ciascuno con controricorso;

4. l’INAIL ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 2, violazione della L. n. 2248 del 1965, artt. 4 e 5, all.to E, travisamento e violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 20; premesso che il procedimento ispettivo iniziato nel novembre – dicembre 2008, per il principio di tutela dell’affidamento del contribuente, doveva ritenersi concluso senza addebiti decorsi 90 giorni dal suo inizio, assume che tanto comportava che il successivo provvedimento adottato dagli enti fosse viziato da violazione di legge ed eccesso di potere per cui andava disapplicato; la relativa adozione risultava inefficace e preclusa ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 20;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 67, comma 1, lett. m) TUIR e del D.L. n. 208 del 2008, art. 35, comma 5, violazione dell’art. 2094 c.c., violazione dell’art. 2247 c.c.; censura l’accertamento relativo alla natura subordinata dell’attività prestata dalle tre addette ai servizi di piscina, contestando la idoneità a tal fine del ricorso ai cd. elementi sussidiari della subordinazione quali l’osservanza di un orario di lavoro e la cadenza di retribuzione fissa mensile; in merito all’attività prestata dagli istruttori di nuoto contesta che i corsi dagli stessi tenuti avessero natura commerciale e quindi lucrativa, non riconducibile all’esercizio di una società sportiva dilettantistica la quale per legge, statuto e definizione non può avere utili e, quindi finalità di lucro; in questa prospettiva sostiene che l’insegnamento del nuoto costituiva disciplina necessariamente propedeutica all’attività sportiva, come chiarito dal D.L. n. 208 del 2008, art. 35, comma 5 conv. in L. n. 13 del 2009, che ricomprendeva nell’attività dilettantistica la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica; denunzia, quindi, omesso esame di 36 documenti allegati al fascicolo di primo grado i quali dimostravano che a fine anno venivano comunque tenute gare tra i partecipanti ai corsi;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 416 e 418 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; premesso di avere dedotto con il ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24 che i rapporti oggetto di pretesa non erano qualificabili come di natura subordinata e che l’INAIL, nel costituirsi, aveva sostenuto la fondatezza della propria pretesa anche nell’ipotesi alternativa che tali rapporti fossero configurabili come di natura libero professionale, premesso, inoltre, di avere con il ricorso in appello lamentato che il giudice di prime cure aveva deciso su una domanda riconvenzionale non tempestivamente e ritualmente proposta, censura la sentenza impugnata per avere respinto il gravame sul punto ritenendo che la posizione dell’INAIL si configurasse quale mera difesa volta ad ottenere il rigetto dell’azione di accertamento della società; sostiene che, al contrario, poichè i verbali di accertamento impugnati da CSC si fondavano sulla asserita natura subordinata dei rapporti in oggetto, l’assunto della natura libero professionale degli stessi configurava un ampliamento dell’originario thema decidendum che avrebbe dovuto essere introdotto con domanda riconvenzionale; rappresenta, inoltre, la indeterminatezza della domanda dell’INAIL e osserva che la possibilità di formulare tale richiesta risultava preclusa ai sensi dell’art. 1286 c.c., comma 2;

4. con il quarto motivo deduce violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 15, lett. a), censurando la sentenza impugnata per avere negato la natura complessa della lite come pure la incertezza in materia, al contrario riscontrabili dalle numerose pronunzie in favore del contribuente, secondo quanto riconosciuto dal Ministero del lavoro nella circolare n. 4036/2014;

5. con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 censurando la mancata compensazione delle spese di lite. Assume che la peculiarità e complessità delle questioni trattate avrebbero imposto la compensazione delle spese di lite. Rileva, inoltre, che la Corte di merito aveva dovuto correggere la sentenza impugnata quanto alla applicazione da parte del primo giudice della L. n. 335 del 2995, art. 3, comma 10, anzichè dell’art. 3, comma 20 L. cit. e che nel motivare sul punto aveva elaborato argomentazioni diverse da quelle avanzate dall’INPS;

6. il primo motivo di ricorso è infondato.

6.1. La sentenza impugnata ha dichiarato di respingere le preliminari eccezioni di asserita invalidità del verbale di accertamento “ad esempio per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 1” in quanto irrilevanti ai fini della decisione il cui oggetto non è rappresentato dalla validità o invalidità di un atto amministrativo ma dalla sussistenza o insussistenza dei crediti vantati da INPS e INAIL;

6.2. la decisione è conforme alla condivisibile giurisprudenza di legittimità la quale ha chiarito che in tema di procedimento amministrativo, eventuali irregolarità e più in generale la violazione delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla L. n. 241 del 1990, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiegano incidenza sul correlato rapporto obbligatorio perchè oggetto di accertamento è la sussistenza o insussistenza dei crediti vantati e non la regolarità del procedimento amministrativo (Cass. n. 20604/2014, n. 2804/2003); tanto assorbe il rilievo della natura meramente ordinatoria e non perentoria del termine di cui alla L. n. 141 del 1990, art. 2 la cui inosservanza non esaurisce il potere di provvedere nè determina di per sè l’illegittimità dell’atto adottato fuori termine (Cons. di Stato n. 2964/2014 e 8371/2014);

7. il secondo motivo di ricorso è infondato;

7.1. la sentenza impugnata è pervenuta all’accertamento della natura subordinata del rapporto delle tre lavoratrici addette alla pulizia della piscina, valorizzando l’inserimento delle stesse nella struttura organizzativa e funzionale della società, l’utilizzazione di strumenti di lavoro da questa forniti, la soggezione alle direttive del B. e della L. rispettivamente responsabile e coordinatrice della società. I criteri ai quali è stato ancorato l’accertamento della natura subordinata dei rapporti in oggetto, sulla base, peraltro, di elementi fattuali ulteriori rispetto a quelli evidenziati in ricorso, sono conformi ai parametri normativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidata nell’affermare che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva (v. tra le altre, Cass. n. 4171/2006, n, 15275/2004, n. 5960/1999); la esclusione del rilievo assorbente del nomen iuris conferito dalle parti è parimenti coerente con condivisibili pronunzie di questa Corte le quali hanno chiarito che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, essendo l’iniziale contratto causa di un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esso esprime ed il nomen iuris che utilizza non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro (Cass. n. 4884/2018; n. 1717/2009, 15327/2006);

7.2. le ulteriori deduzioni della parte ricorrente, intese a contrastare la valenza probatoria degli elementi utilizzati dal giudice di merito sulla base di un diverso apprezzamento degli stessi, sono inammissibili in quanto la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che siano idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se, come nel caso di specie, immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (Cass. n. 14160/2014, n. 16681/2007, n. 4171/2006, n. 15275/2004, n. 8006/2004);

7.3. in relazione alla posizione degli istruttori di nuoto, per i quali con accertamento divenuto definitivo è stata esclusa la natura subordinata del rapporto con la società, l’affermazione della Corte in merito alla circostanza che l’attività espletata non fosse in alcun modo funzionalmente collegata all’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica bensì mirata a fornire di prestazioni di natura ordinariamente commerciale non è validamente incrinata dalle censure articolate; con tali censure parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di legge, tende in concreto a sollecitare una diversa ricostruzione fattuale – nel senso di ritenere le prestazioni rese dagli istruttori comunque funzionalizzate all’attività dilettantistica -, attraverso un rinnovato apprezzamento delle emergenze probatorie (peraltro neppure evocate nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – v. in tema di produzione documentale), apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679/2013, n. 2197/2011,n. 20455/2006, n. 2357/2004);

7.4. in merito all’ulteriore profilo sviluppato dal motivo in esame (v. pag. 15 ricorso), che sembra prospettare la inconfigurabilità in radice di corsi “commerciali” di insegnamento natatorio, nell’ambito dell’attività svolta da una società sportiva dilettantistica la quale “per legge, statuto e definizione non può avere finalità di lucro”, si osserva che la decisione, laddove mostra di differenziare nell’ambito dell’attività della società quella propriamente commerciale e quella dilettantistica escludendo, per le attività riconducibili alla prima, l’agevolazione contributiva, è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’esenzione contributiva prevista in favore delle associazioni sportive dilettantistiche dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sull’interessato (Cass. n. 17790/2020, n. 11492/2019, n. 16449/2016, n. 5904/2016);

8. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

8.1. la denunzia di error in procedendo, fondata sull’assunto della errata qualificazione delle difese articolate in prime cure dall’INAIL, non è formulata nel rispetto del canone di specificità essendo stata omessa, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la trascrizione o esposizione negli esatti termini, degli atti e documenti rilevanti (verbali ispettivi, memoria di costituzione INAIL di primo grado), come indispensabile onde consentire al giudice di legittimità, attraverso l’esame diretto degli atti, la verifica di fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione (Cass. n. 13657/2010, n. 653/2007, n. 13046/2006, n. 4840/2006, n. 16360/2004, Cass. Sez. Un. 2602/2003, Cass. n. 4743/2001);

8.2. la inammissibilità della denunzia di violazione e falsa applicazione dell’art. 1286 c.c., pure formulata con il motivo in esame, scaturisce dalla considerazione che poichè tale questione, implicante accertamento di fatto relativo alla scelta operata dall’ente previdenziale in presenza di obbligazione asseritamente configurabile come alternativa ai sensi degli artt. 1285 c.c., non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito, costituiva onere del ricorrente, onere in concreto non assolto, allegarne e dimostrarne (con riferimento agli atti del giudizio) la avvenuta rituale tempestiva deduzione in prime cure e reiterazione nel grado in appello (Cass. n. 20694/2018, n. 1435/2013, n. 20518/2008, n. 22540/2006);

9. il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

9.1. si premette che la Corte di merito ha giustificato il rigetto del motivo di gravame con il quale la società aveva lamentato la omessa pronunzia da parte del giudice di prime cure sulla domanda di riduzione delle sanzioni ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 15, lett. a) sul rilievo della tardività della relativa richiesta, formulata solo in sede di note difensive e, comunque, dell’assenza dei presupposti di legge giustificativi della riduzione posto che la omissione contributiva in controversia non era riconducibile a oggettive incertezze connesse a contrastanti o sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali;

9.2. la autonoma ratio che sorregge la statuizione di rigetto della domanda di riduzione contributiva, fondata sulla insussistenza nel merito dei prescritti presupposti di legge per farsi luogo alla riduzione delle sanzioni, non è validamente censurata dalla società ricorrente la quale argomenta in termini meramente assertivi circa il ricorrere dei requisiti negati dalla Corte di secondo grado; la valutazione del giudice di secondo grado non risulta incrinata dal richiamo alla circolare del Ministero del lavoro indicata in ricorso, per la genericità del contenuto della parte trascritta in ricorso, fermo restando che stante la natura di atto meramente amministrativo della circolare, sottratto all’applicabilità del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c. (v. tra le altre Cass. n. 25995/2019, n. 15065/2014), costituiva onere dell’interessato allegarne la avvenuta produzione nelle fasi di merito e procedere alla relativa compiuta trascrizione in conformità della previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

10. il quinto motivo è inammissibile alla luce del consolidato orientamento del giudice di legittimità alla stregua del quale il regolamento delle spese di lite è suscettibile di sindacato da parte della S.C. solo nell’ipotesi di violazione del principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa mentre rientra nel sindacato del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. n. 24502/2017, n. 17457/2006);

11. le spese sono regolate secondo soccombenza;

12. sussistono i presupposti processuali per l’applicabilità, nei confronti della parte ricorrente, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore di ciascuna parte controricorrente in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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