Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13995 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.06/06/2017),  n. 13995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14990-2011 proposto da:

C.V., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI NAPOLI, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI PROPAGANDA N. 16, presso lo studio dell’avvocato GENNARO

FAMIGLIETTI, rappresentata e difesa dagli avvocati ALDO DI FALCO,

PAOLA COSMAI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7395/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/12/2010 r.g.n. 37/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 9 novembre 2010, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da C.A. avente ad oggetto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una serie di patologie che il ricorrente assumeva essere state contratte in occasione dello svolgimento dell’attività di guardiacaccia alle dipendenze dell’Amministrazione provinciale di Napoli.

2. La Corte di appello ha ritenuto inammissibile la denuncia di omessa considerazione dell’epatopatia cronica, della HCV positiva e del diabete mellito, patologie che non formarono oggetto della domanda amministrativa proposta il 13 settembre 2002, ed ha ritenuto infondata la domanda in relazione agli “esiti di ictus cerebrale con emiplegia sinistra”, osservando che:

– grava sul lavoratore che deduce la dipendenza da causa di servizio di una malattia professionale non tabellata l’onere di fornire la prova delle caratteristiche della prestazione lavorativa svolta e del nesso causale tra questa e la patologia denunciata;

– nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva assegnato al C.t.u. il compito di valutare il rapporto causale supponendo accertato il fatto principale costituito dalla prova delle modalità delle mansioni concretamente svolte, mentre il ricorrente non aveva assolto tale onere di allegazione e di prova nel ricorso di primo grado, limitandosi a prospettare che il servizio reso, durante l’intero arco del servizio, lo sveva esposto a condizioni climatiche avverse anche di notte e su zone montagnose;

– tali generici assunti erano inidonei ad integrare i fatti costitutivi del diritto, nè era stata articolata una prova vertente sulle concrete modalità dell’attività lavorativa;

– inoltre, non era stato validamente censurato il giudizio emesso dal C.t.u., il quale aveva escluso che (‘ictus cerebrale ischemico potesse ritenersi correlato causalmente all’attività lavorativa svolta dal ricorrente, trattandosi di un danno cerebrale improvviso su base vascolare.

3. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso agli eredi di C.A. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Napoli.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nella fattispecie, il danno era già stato accertato dal verbale della Commissione medica ospedaliera n. (OMISSIS), che aveva diagnosticato il “deficit neuromotorio emisoma sinistro”. Quanto alle concrete modalità di svolgimento delle mansioni di guardiacaccia in relazione a tutto l’arco temporale di servizio prestato dipendenze della Provincia di Napoli (dal 1 dicembre 1972 al 1 aprile 2004), l’Amministrazione resistente aveva svolto una contestazione generica. In ogni caso, il giudice avrebbe dovuto ritenere accertate le modalità del servizio come descritte nel ricorso introduttivo, con particolare riferimento all’esposizione a condizioni climatiche avverse e alla gravosità della prestazione sotto il profilo fisico con indubbio riflesso sulla malattia aterosclerotica, causa principale dell’ictus cerebrale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte di appello aveva pronunciato ultra petita, in quanto l’accertamento demandato al C.t.u. medico-legale verteva sul nesso di causalità e ciò presupponeva che il Giudice di primo grado avesse ritenuto completamente assolto l’onere di allegazione delle concrete modalità di svolgimento delle mansioni e che occorresse indagare solo sulla relazione causale tra malattia e attività lavorativa svolta. Nè parte convenuta aveva mosso rilievi o contestazioni al riguardo. Ne conseguiva che il Giudice di appello doveva ritenersi vincolato a tale ricostruzione fattuale, per intervenuto il giudicato interno sul punto.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la sentenza omesso di esaminare la questione oggetto del terzo motivo di appello, vertente sulla valutazione del “deficit neuromotorio emisoma sinistro”. Il CTU nominato in primo grado aveva escluso il nesso causale tra condotta ed evento, affermando che il danno cerebrale era dovuto ad embolia o a predisposizione costituzionale del soggetto e non poteva essere ascritto, secondo la migliore scienza ed esperienza, in via causale o concausale, al lavoro di guardiacaccia. Tale giudizio non poteva essere condiviso, costituendo giurisprudenza consolidata quella che considera l’ictus ricollegabile allo stress e ai disagi dei servizi prestati; infatti, è stata concordemente affermata nella giurisprudenza della Corte dei Conti la dipendenza da causa di servizio dell’ictus cerebrale sotto profilo della causa o concausa preponderante laddove la patologia, seppure in rapporto al processo di deterioramento delle arterie, viene influenzata nel suo insorgere e nella sua evoluzione da numerosi fattori di rischio, quali la gravosità della prestazione sotto profilo fisico, ovvero l’esposizione ad elementi naturali avversi. E’ notorio che le mansioni di guardiacaccia si svolgono all’aria aperta, in zone in prevalenza montuose, con continua esposizione ad elementi naturali, nonchè a fattori climatici avversi, vieppiù aggravati nel periodo invernale durante l’espletamento di turni di notte. Appaiono irragionevoli le affermazioni che, in relazione ictus cerebrale ischemico, ne ancorano, in ultima analisi, la genesi a fattori di carattere costituzionale, in virtù del ruolo assorbente genericamente attribuito a tali fattori, senza alcun riferimento all’influenza dei fatti di servizio denuncianti dal ricorrente sulla patologia.

4. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.

5. Innanzitutto, giova ricordare che le S.U. di questa Corte, con sentenza n. 11353 del 2004 (intervenuta a dirimere un contrasto di giurisprudenza), hanno chiarito, con riguardo alla domanda di equo indennizzo, che grava sul lavoratore l’onere di provare, con precisione, i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’infermità alle modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita, variabili in relazione al luogo di lavoro, ai turni di sevizio, all’ambiente lavorativo, non configurando, le mansioni inerenti alle qualifiche, un fatto notorio che non necessita di prova, atteso che esse sono variabili in dipendenza del concreto posto di lavoro, della sua localizzazione geografica, dei turni di servizio, dell’ambiente in generale, essendo assolutamente irrilevante che la controparte non abbia contestato, con la comparsa di costituzione in primo grado, le modalità della prestazione lavorativa allorquando dette modalità non siano state precisate. Inoltre, nelle patologie aventi carattere comune ad eziologia c.d. multifattoriale, il nesso di causalità fra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio.

6. Stante il rigetto della domanda in primo grado, l’accertamento delle modalità di svolgimento la prestazione lavorativa non costituisce un punto della decisione suscettibile di passare in giudicato in via autonoma. L’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico.

6.1. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purchè tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (Cass. n. 2973 del 2006).

6.2. Dunque, ben poteva il giudice di appello riesaminare ciascuno degli elementi costitutivi del diritto azionato, e non limitarsi al solo rilievo dell’assenza ddl nesso causale, escluso dalla c.t.u. medico-legale espletata in primo grado ed oggetto specifico dell’appello. Anche le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa rientravano nell’ambito dell’accertamento complessivamente devoluto alla cognizione del giudice di appello, in quanto punto non autonomo, ossia non suscettibile di passare in giudicato in sè. In tale contesto ben poteva la Corte di merito rilevare il difetto della necessaria specificità delle allegazioni occorrenti ai fini dell’accoglimento della domanda.

7. Nel ritenere la genericità delle allegazioni del ricorso introduttivo, la sentenza è in linea con l’indicazione interpretativa fornita dalle Sezioni Unite, che, nel risolvere un contrasto interpretativo prima insorto nella sezione lavoro, ha prescelto la soluzione più rigorosa sopra indicata. Come già detto, è stato chiarito che non costituiscono fatto notorio le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in quanto desumibili dalla qualifica rivestita, poichè tali modalità dipendono dalle circostanze specifiche del caso, con riguardo alle concrete circostanze di tempo e di luogo in cui si svolgono le mansioni. Di conseguenza anche il nesso causale esige una dimostrazione, in termini di probabilità, di derivazione della malattia dalle modalità lavorative specificamente descritte. In difetto di tali puntuali allegazioni, non rileva la mancata contestazione o la generica contestazione di parte convenuta. La soluzione adottata alla Corte territoriale è dunque conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte.

8. Tale rilievo ha carattere assorbente di ogni altra questione controversa, atteso che il difetto di allegazione e di prova di uno degli elementi costitutivi del diritto azionato, comporta il rigetto della domanda, rendendo ultroneo ogni altra verifica.

9. In ogni caso, va osservato che per il resto il ricorso, nell’avanzare critiche alla valutazione medico-legale, non trascrive neppure nelle parti salienti la relazione tecnica d’ufficio (neanche riprodotta), in violazione degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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