Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13994 del 10/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 10/06/2010), n.13994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19599-2006 proposto da:

B.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3901/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/07/2005 R.G.N. 8780/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda, proposta da B.B. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra la lavoratrice e la società convenuta in primo grado;

2. per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso illustrato da memoria; Poste Italiane s.p.a. ha resistito con controricorso;

3. la ricorrente è stata assunta con vari contratti a termine, dei quali, fra quelli che rilevano nel presente giudizio, il primo, protrattosi dal 7 febbraio 1998 al 30 aprile 1998, è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane; detto contratto è stato prorogato fino al 30 maggio 1998; il secondo contratto, protrattosi dal 22 giugno 1998 al 30 settembre 1998, è stato stipulato, sempre sulla base del citato art. 8, in relazione alla necessità di espletamento del l servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre; il terzo contratto, protrattosi dal 2 novembre 1998 al 30 gennaio 1999, è stato stipulato in base alla stessa causale del primo; quest’ultimo contratto era stato prorogato al 30 aprile 1999;

4. la Corte territoriale ha ritenuto la legittimità del primo e del terzo contratto in quanto stipulati in coerenza con l’accordo integrativo del 25 settembre 1997 prima citato del quale riconosceva, in particolare, la coerenza con la L. n. 56 del 1987, art. 23;

riteneva altresì irrilevante la mancata specificazione del nesso di causalità fra la singola assunzione e le esigenze citate nella norma collettiva; riteneva infine, con riferimento al terzo contratto, stipulato dopo il 30 aprile 1998, che la circostanza concernente la data della stipula non fosse rilevante, atteso che gli accordi cd.

attuativi conclusi dopo il citato accordo del 25 settembre 1997 non avevano contenuto autorizzatorio ma valenza meramente ricognitiva, per cui la data del 30 aprile 1998, ivi prevista, non poteva considerarsi come limite temporale al potere di stipulare contratti a termine, atteso che tale limite, in relazione al contenuto dell’accordo del 25 settembre 1997, era legato esclusivamente al permanere delle condizioni di fatto ivi previste; sotto altro profilo riteneva legittime le proroghe dei suddetti contratti in quanto conformi al dettato della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2; con riferimento, infine, al secondo contratto, riteneva in particolare che la fattispecie prevista dalla norma collettiva sopra ricordata non implicasse l’obbligo di specificare il collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali;

5. la suddetta impostazione è stata contestata da parte ricorrente la quale ha denunciato, in relazione ai singoli contratti ed alle proroghe degli stessi, violazione di legge, violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ. e vizio di motivazione;

6. la censura relativa al primo contratto (7 febbraio 1998 – 30 aprile 1998) è infondata; essa si basa, infatti, sull’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali;

tale assunto contrasta con il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (cfr., in particolare, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011;

Cass. 7 marzo 2005 n. 4862), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, secondo cui l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra singoli contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato; ed infatti, come ripetutamele affermato da questa Corte Suprema e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588, il legislatore ha conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, svincolata dai limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1;

la decisione della Corte di merito, con riferimento al contratto de quo, è conforme al suddetto principio di diritto e deve essere pertanto confermata;

7. lo stesso dicasi con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata concernente la legittimità della proroga al 30 maggio 1998 del contratto stesso;

questa Corte Suprema (cfr., ad esempio, Cass. 24 settembre 2007 n. 19696) decidendo su una fattispecie sostanzialmente identica, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato legittima la proroga al 30 maggio 1998 di un contratto a termine analogo a quello in esame con scadenza 30 aprile 1998; con la citata decisione la S.C. ha osservato in particolare che con l’accordo del 27 aprile 1998 le parti, dopo aver concordato (al comma 1) un certo assetto relativo allo smaltimento delle ferie (che non interessa in questa sede) hanno stabilito quanto segue: Le parti prendono atto, inoltre, che l’azienda dopo l’avvenuta trasformazione in s.p.a. si trova a dover fronteggiare esigenze imprevedibili e contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione (comma secondo); pertanto, le stesse parti convengono che, per fronteggiare le esigenze di cui al comma 2 del presente accordo l’azienda disporrà la proroga di 30 gg. dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30.4.98 così come previsto dalla normativa vigente in materia (comma terzo); ha affermato quindi che l’accordo sopra citato, lungi dal prevedere una nuova e diversa disciplina della proroga, contiene una mera presa d’atto delle parti sociali relativamente all’esistenza delle condizioni (esigenze contingenti ed imprevedibili) previste dalla legge (della L. n. 230 del 1962, art. 2) per legittimare la proroga; una presa d’atto che rileva unicamente sotto il profilo probatorio esentando il datore di lavoro dall’onere di provare ulteriormente la sussistenza delle suddette circostanze;

ciò trova conferma nelle espressioni contenute nel citato accordo con le quali le parti contrattuali si sono date atto dell’esistenza di esigenze imprevedibili e contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione sopravvenute dopo l’avvenuta trasformazione in s.p.a. ed hanno concordato, per far fronte alle stesse, la proroga di trenta giorni per i contratti in scadenza al 30 aprile 1998;

la sentenza impugnata ha deciso in conformità col suddetto orientamento e deve essere pertanto confermata in parte qua;

8. anche la censura relativa alla statuizione concernente la legittimità del secondo contratto a termine (22 giugno 1998 – 30 settembre 1998) è priva di fondamento;

con riferimento ad una fattispecie simile a quella in esame questa Corte Suprema (cfr., fra le ultime, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali e che aveva ritenuto, in particolare, la sussistenza di un obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito; siffatta sentenza, ad avviso della S.C., era infatti viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva;

la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito aveva negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; è stato rilevato in proposito che siffatta pronuncia del giudice del merito si poneva in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza già in precedenza citata (cfr. par. 6); in base al suddetto principio, infatti, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge;

per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell’escludere che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo possa contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti; ed infatti il quadro legislativo di riferimento impone l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa (pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi), onde verificare se la necessità di espletamento del servizio faccia riferimento a circostanze oggettive, o esprima solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza;

inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie;

la sentenza impugnata, che non è incorsa nei suddetti vizi avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati deve essere pertanto, confermata con riferimento alla statuizione concernente il contratto de quo;

9. deve essere invece accolta la censura concernente la statuizione relativa alla legittimità del terzo contratto (2 novembre 1998 – 30 gennaio 1999);

la tesi della Corte territoriale secondo cui i cd. accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine, con la conseguenza che anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva considerarsi del tutto legittimo, deve ritenersi erronea;

questa Corte Suprema (cfr., ad esempio, Cass. n. 18272 del 2006), decidendo su fattispecie sostanzialmente simili a quella in esame (contratto a termine stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 dopo la data del 30 aprile 1998) ha cassato le sentenze di merito che avevano affermato la legittimità del termine apposto a tale contratto;

secondo la S.C., infatti, l’affermazione della natura meramente ricognitiva dei cd. accordi attuativi e del carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine è basata su una interpretazione dei suddetti accordi che si discosta dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998);

ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

la stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);

la giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito che hanno deciso in senso opposto a quello della sentenza oggetto del presente giudizio, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato;

la censura relativa alla legittimità del termine apposto al contratto de quo deve essere pertanto considerata fondata per le ragioni sin qui esposte, dovendosi considerare assorbiti gli ulteriori argomenti sviluppati nei motivi di ricorso (anche con riferimento alla proroga del terzo contratto);

10. in definitiva il ricorso deve essere accolto limitatamente alla censura concernente il terzo contratto a termine e per l’effetto la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa ad altro giudice, designato in dispositivo, il quale provvederà tenendo conto dei principi sopra affermati; il giudice del rinvio provvederà altresì, ex art. 385 cod. proc. civ., sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2010

 

 

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