Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13993 del 10/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2010, (ud. 06/05/2010, dep. 10/06/2010), n.13993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26106-2006 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENATO

FUCINI 233, presso lo studio degli avvocati CUTULI GUIDO e FELE

ARCANGELO che lo rappresentano e difendono, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

SISTEMI SOSPENSIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE N.

21/23, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine dei controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4878/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/10/2005 R.G.N. 5855/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

S.P. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 21 ottobre 2005, che ha respinto il suo appello nei confronti della decisione di primo grado, che aveva, a sua volta, respinto la sua impugnativa contro il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimatogli dalla Sistemi Sospensioni spa.

Il ricorso è articolato in due motivi. La intimata si difende con controricorso.

Con il ricorso di primo grado il S. aveva impugnato il licenziamento per una pluralità di motivi. Con l’appello aveva ristretto la contestazione ad un tema specifico: “il comporto era stato superato perchè le assenze per malattia avevano avuto causa in fattori di nocività insiti nelle modalità di espletamento delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro e, in quanto tali, non erano computabili ai fini del superamento del periodo di comporto” (ricorso per cassazione, pag. 2).

La Corte non ha accolto l’appello perchè “mancando la prova di qualsiasi responsabilità della società appellata in relazione alle assenze del lavoratore per broncopneumopatia cronica ostruttiva deve ritenersi – concordemente con il giudice di primo grado – che tali assenze erano computabili ai fini del comporto e, pertanto, che il licenziamento era giustificato” (sentenza, pag. 7-8).

Con il primo motivo di ricorso si denunzia un vizio di motivazione:

“omessa e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Il ricorrente deduce: – di aver spiegato di essere affetto da broncopatia cronica sin dal (OMISSIS); – che tale situazione era nota all’azienda dal (OMISSIS) allorquando il Dipartimento di medicina del lavoro dell’Università di (OMISSIS) aveva accertato tale malattia ritenendolo idoneo alle mansioni allora svolte; – di essere stato spostato alle mansioni di collaudo visivo di componenti di auto appena saldati nel reparto standard nel (OMISSIS); di collaudo visivo di componenti di auto appena saldati nel reparto standard nel (OMISSIS);

– che tali saldature, effettuate da robot, emanavano esalazioni nocive; – che nel periodo (OMISSIS) non era stato sottoposto alle visite mediche periodiche, nè il reparto era stato sottoposto al monitoraggio ambientale.

Rispetto a tale dato sarebbero contraddittorie le considerazioni della sentenza sull’onere della prova del danno e del rapporto di causalità a carico del lavoratore e sulla necessaria consapevolezza del datore di lavoro circa l’inidoneità delle mansioni.

Così come sarebbe contraddittoria la motivazione in merito alla nocività dell’ambiente di lavoro, perchè il ctu ha precisato che la situazione dei luoghi che egli aveva visionato non corrispondeva a quella dell’epoca in cui vi aveva lavorato il ricorrente e perchè la Corte non aveva considerato le deposizioni di sei testimoni sul punto, che rendevano palese la riconducibilità della malattia alla presenza di esalazioni nocive.

Il secondo motivo è così rubricato “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2087 c.c. e al D.Lgs. n. 626 del 1994”.

Premesso che la violazione degli obblighi di sicurezza discende sia da norme specifiche che dalla mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità del lavoratore ai sensi dell’art. 2087 c.c., il ricorrente sostiene che il giudice di appello non solo avrebbe omesso di valutare le risultanze istruttorie, ma gli avrebbe anche imputato la mancata deduzione della violazione delle misure di sicurezza, in contrasto con quanto previsto dalla normativa richiamata e dalla giurisprudenza.

Entrambi i motivi sono infondati.

Quanto il vizio di motivazione, esso deve concernere un punto controverso e decisivo per il giudizio e può sostanziarsi o nella omissione o nella insufficienza o nella contraddittorietà della motivazione sul punto.

Il problema oggetto della decisione è di stabilire se le assenze dovute alla broncopatia cronica, risalente al (OMISSIS), siano state in realtà causate dal comportamento aziendale.

Il comportamento incriminato è quello posto in essere dall’azienda spostando, nel (OMISSIS), il lavoratore nel reparto standard al controllo visivo delle saldature operate dai robot e tenendovelo sino al (OMISSIS).

Il punto controverso e decisivo è costituito pertanto dallo stabilire se tali mansioni abbiano influito eziologicamente sulla malattia.

La Corte ha ritenuto di no; valutando che il controllo era meramente visivo, non prevedeva alcun intervento sul pezzo e sulla sua movimentazione e che le saldature avvenivano in cabine protette e dotate di aspiratori; che il S. effettuava il controllo senza venire a contatto con i pezzi saldati; che nell’ambiente non vi era dispersione di polveri; che l’ambiente era provvisto di adeguati aspiratori, soggetti a manutenzione mensile. Ha rilevato che il ctu, sulla base delle schede di rilevazione e valutazione del rischio ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994 relative al periodo in questione ((OMISSIS)), ha accertato che la postazione lavorativa su cui operava il ricorrente non comportava un rischio di intossicazione per inalazioni di fumi provenienti dalle operazioni di saldature e che dai controlli effettuati nel (OMISSIS) da due diverse società (Fisia e Fenice) addette al controllo dell’ambiente di lavoro non erano emersi rischi oggettivi sulle postazioni di lavoro.

La Corte ha infine rilevato che, in occasione delle visite mediche di controllo, il ricorrente risultò sempre idoneo e che il consulente d’ufficio, a conclusione della sua relazione, ha escluso qualsiasi rapporto tra le mansioni e la malattia respiratoria. Le censure mosse alla motivazione non sono fondate.

Non è vero che la Corte non abbia considerato le testimonianze dei testi indicati nel ricorso. Le ha considerate e valutate e ne da atto in sentenza. Peraltro, il ricorso riporta solo brevi stralci delle dichiarazioni testimoniali, estratti dal contesto; non è possibile pertanto valutarle adeguatamente e comunque tale valutazione attiene al merito della decisione e non può essere riformulata in sede di legittimità.

Quanto alla parte della censura concernente il fatto che la situazione dei luoghi visionata dal ctu non corrispondeva più a quella dell’epoca in cui vi aveva lavorato il ricorrente, deve rilevarsi che tale precisazione, opportunamente fatta in premessa dal ctu, testimonia la correttezza e la serietà del suo operato, ma non ha certo reso impossibile l’espletamento dell’incarico, nè inficia la validità degli accertamenti e delle conclusioni.

Parimenti infondato è il secondo motivo, perchè la Corte ha adeguatamente verificato che non solo non sono stati violati obblighi specifici di legge, ma anche il più generale obbligo previsto dall’art. 2087 c.c.. Il punto cruciale della decisione rimane quello di stabilire se, in presenza di un lavoratore affetto da broncopatia dal (OMISSIS), l’impresa, consapevole di tale patologia, abbia contribuito ad aggravarla quando, nel (OMISSIS) ha spostato il lavoratore alle mansioni di controllo delle saldature effettuate dai robots. E’ un problema di valutazione del quadro probatorio e del giudizio medico legale espresso dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta. La Corte ha valutato tali risultanze formulando il suo giudizio di merito e ne ha dato atto con motivazione adeguata e priva di contraddizioni. Non essendo stato rilevato alcun nesso tra tali mansioni e la broncopatia, la Corte ha ritenuto, con valutazione consequenziale, che le assenze per questa malattia non potessero escluse dal computo dei giorni di assenza ai fini del periodo di comporto.

Il ricorso pertanto deve essere respinto. Le spese devono essere regolate a norma dell’art. 91 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 25,67 Euro, nonchè 2.000,00 Euro per onorari di avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2010

 

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