Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13990 del 06/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/06/2017, (ud. 16/02/2017, dep.06/06/2017),  n. 13990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11892-2011 proposto da:

Q.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6971/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/10/2010 R.G.N. 2655/2007.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 6971/2010, depositata il 30 ottobre 2010, la Corte di appello di Roma ha rigettato il gravame di Q.P. nei confronti della sentenza del Tribunale di Roma che ne aveva respinto la domanda diretta all’accertamento della illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato con la S.p.A. Poste Italiane ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa addetto al servizio di recapito, presso la Filiale di (OMISSIS), assente nel periodo dal 18 febbraio 2004 al 31 maggio 2004;

– che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Q., con tre motivi, assistiti da memoria;

– che la società ha resistito con controricorso;

rilevato che con il primo motivo, denunciando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente si duole che la Corte territoriale. disattendendo la relativa ragione di appello, abbia pronunciato soltanto sulla questione concernente il “difetto della formale indicazione della causale” e non anche sulla questione del rilevato difetto di prova della sussistenza delle ragioni, indicate nella clausola stessa di apposizione del termine, quale “causa” concreta di esso;

– che con il secondo motivo, denunciando motivazione contraddittoria su di un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), la ricorrente censura la sentenza per avere la Corte, da un lato, identificato la causale selezionata nel contratto fra le parti come di tipo “sostitutivo” e, dall’altro, disatteso le ragioni di gravame proposte dall’appellante (relative, la prima, al difetto di specificità della clausola contestata; la seconda, al mancato raggiungimento della prova) ritenendo “provata l’esigenza organizzativa”;

– che con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3), la ricorrente censura la sentenza per avere escluso la genericità della causale, nonostante il difetto in essa di concreti e specifici elementi che consentissero di individuare una ragione obiettiva di assunzione a termine;

osservato che i motivi così proposti risultano infondati;

– che, in particolare, è infondato il nrimo motivo, posto che il giudice di appello, diversamente da quanto dedotto. ha pronunciato anche sulla questione relativa al difetto di prova della sussistenza delle ragioni giustificatrici del termine: come emerge, con chiarezza, dal terzultimo capoverso del corpo motivazionale (p. 9), là dove la Corte ha espressamente rilevato come “nella specie” fosse “provata l’esigenza organizzativa, con riferimento alle specifiche mansioni di assunzione, all’interno di un circoscritto ufficio postale, nel periodo di tempo considerato”;

– che è infondato altresì il secondo motivo, avendo il giudice di appello avuto ben presente che la fattispecie portata alla sua cognizione era (solo) quella di tipo “sostitutivo”, secondo ciò che risulta dall’insieme della motivazione e, in particolare, dalla parte di essa in cui la Corte territoriale ha riportato la causale di apposizione del termine e osservato, inoltre, come il giudice di primo grado avesse accertato l’effettivo ricorrere, al momento dell’assunzione e nell’unità di destinazione, di “esigenze sostitutive” (p. 3);

– che, infine, è infondato anche il terzo motivo, avendo il giudice di appello fatto corretta applicazione del principio, secondo il quale “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass. n. 1577/2010);

ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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