Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13986 del 04/06/2013
Civile Sent. Sez. 6 Num. 13986 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BISOGNI GIACINTO
Ud. 14/11/12
Motivazione
semplificata
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Riviera degli Haethei s.r.1., elettivamente domiciliata
in Roma, via Oderisi da Gubbio 214, presso Remo Colaci,
rappresentata e difesa nel presente giudizio, per
mandato a margine del ricorso, dall’avv.to Cosimo
Luperto (il quale dichiara di voler ricevere le
comunicazioni al seguente numero di fax 0836.423104
nonché all’indirizzo di posta elettronica certificata:
luperto.cosimo@ordavvle.legalmail.it );
– ricorrente –
8R2)
contro
2012
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
1
Data pubblicazione: 04/06/2013
Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici
in Roma via dei Portoghesi 12;
– controricorrente avverso il decreto della Corte d’appello di Potenza
emesso in data 10 marzo 2011 e depositato il
19
marzo
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Immacolata Zeno che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
rilevato che la Corte, riunita in camera di consiglio,
ha deliberato di adottare la motivazione semplificata
della decisione;
Rilevato che:
1. Con ricorso del 14 dicembre 2010 la s.r.l.
Riviera degli Haethei ha chiesto alla Corte di
appello di Potenza la condanna del Ministero
della Giustizia al risarcimento del danno ex
legge n.89/2001 subìto per la durata eccessiva e
non ragionevole del giudizio del lavoro iniziato
con ricorso al Pretore del lavoro di Otranto del
15 gennaio 1998 e definito dopo cinque gradi di
giudizio dalla Corte di Cassazione con sentenza
del 10 settembre 2010.
2. La Corte di appello di Potenza ha respinto il
ricorso ritenendo che la persona giuridica non
abbia legittimazione ad agire in ordine ai danni
2
2011, R.G. n. 64/11;
non patrimoniali richiesti nel presente giudizio.
3. Ricorre per cassazione la s.r.l. Riviera degli
Haethei s.a.s. affidandosi a tre motivi di
impugnazione con i quali deduce: a) la violazione
e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per non
ricorrente lamenta che la Corte di appello
potentina, nel rigettare la domanda, abbia
rilevato, senza che il Ministero avesse eccepito
alcunché sul punto, la mancanza dei seguenti
presupposti, ritenuti decisivi ai fini della
prova del danno non patrimoniale a carico della
società: indicazione dei preposti e soci della
società, con i relativi periodi di incarico
ricoperti, e l’indicazione dei momenti, riunioni
o altre circostanze in cui si era affrontato il
tema del giudizio pendente ed erano state
espresse preoccupazioni relative alla durata
dello stesso; b) violazione dell’art. 2 della
legge n. 89/2001, dell’art. 6 § 1 e dell’art. 13
della C.E.D.U. nonché degli artt. 1223, 1226,
1227 e 2056 c.c., contraddittoria motivazione in
relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Secondo
la ricorrente è erronea, alla luce della
giurisprudenza C.E.D.U. e di legittimità che pure
risulta largamente confermata, la tesi affermata
dalla Corte di appello circa il difetto di
legittimazione attiva della persona giuridica a
3
corrispondenza fra chiesto e pronunciato. La
chiedere il risarcimento del danno non
patrimoniale provocato dalla durata non
ragionevole del processo di cui è stata parte; c)
violazione e falsa applicazione dell’art. 111
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Secondo la ricorrente è erroneo quanto affermato
prova della riferibilità del danno alla società
in ragione delle sue vicende modificative sia
perché risulta provata la continuità della carica
amministrativa nel corso del giudizio presupposto
sia perché il disposto dell’art. 111 c.p.c.
prevede comunque la successione nel diritto
controverso con riferimento al giudizio in corso.
4. Si difende con controricorso il Ministero della
Giustizia.
Ritenuto che
I. Il ricorso è fondato. La giurisprudenza di questa
Corte ritiene, che, in tema di
per irragionevole
dell’art. 2
della
equa riparazione
durata del processo
al
sensi
legge 24 marzo 2001, n. 89,
anche per le persone giuridiche il danno non
patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo
correlato a turbamenti di carattere psicologico,
è – tenuto conto dell’orientamento in proposito
maturato nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo – conseguenza normale, ancorché non
automatica e necessaria,
della
violazione del
diritto alla ragionevole durata del processo, di
4
dalla Corte di appello della mancanza di una
cui all’art. 6 della Convenzione europea per
salvaguardia
del diritti
la
dell’uomo e delle
libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei
turbamenti
di carattere
psicologico che la
lesione di tale diritto solitamente provoca alle
suoi
membri, e
alla
gestione dell’ente o
ai
ciò non diversamente da quanto
avviene per il danno morale
de
lunghezza
eccessiva del processo subito dagli individui
persone fisiche (cfr., fra /e altre,
Cass. Civ.
sezione I, n. 25730 del 1 dicembre 2011).
Ciò
rende superflua la valutazione circa la concreta
e puntuale sofferenza di amministratori e
preposti nel corso del giudizio presupposto
perché tali soggetti non potevano che essere
interessati, in quanto organi rappresentativi ed
esecutivi della società, alla sollecita
trattazione del giudizio di cui la s.r.l. Riviera
degli Haethei era parte sicché, pur dovendo
escludersi la configurabilità di un danno in re
ipsa –
ossia di un danno automaticamente e
necessariamente insito nell’accertamento della
violazione -, una volta accertata e determinata
l’entità della violazione relativa alla durata
ragionevole del processo, il giudice deve
ritenere tale danno esistente, sempre che non
risulti la sussistenza, nel caso concreto, di
circostanze particolari che facciano
positivamente escludere che tale danno sia stato
5
persone preposte
subito dalla società ricorrente.
5. Il ricorso va pertanto accolto e la causa decisa
nel merito, stante la non necessità di ulteriori
accertamenti istruttori, applicando il parametro
di otto anni di durata ragionevole per cinque
gradi di giudizio e quello di 750 euro di
eccessiva e di 1.000 euro per gli anni
successivi.
Ne deriva, nella specie,
un
indennizzo di euro 4.000 e al pagamento di tale
somma, in favore di ciascun ricorrente, va
condannato il Ministero della Giustizia con
interessi dalla domanda al saldo.
6.
Le spese del giudizio di merito e di cassazione
vanno poste a carico del Ministero soccombente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto
impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero
della Giustizia al pagamento, in favore della società
ricorrente e a titolo di equa riparazione ex legge n.
89/2001, della somma di euro 4.000 con interessi dalla
domanda al saldo. Condanna il Ministero al pagamento
delle spese del giudizio di merito liquidate in
complessivi 950 euro, di cui 100 per spese, 450 per
diritti e 400 per onorari, e del giudizio di cassazione
liquidate in euro 550, oltre oneri e accessori di legge
e oltre 200 euro per esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
14 novembre 2012.
indennità annua per i primi tre anni di durata