Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13985 del 24/06/2011

Cassazione civile sez. II, 24/06/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 24/06/2011), n.13985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Fabio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28467-2005 proposto da:

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA SS. PIETRO E PAOLO 50, presso lo studio dell’avvocato MAURO

VINCENZO, rappresentata e difesa dall’avvocato SERVINO ANTONIO;

– ricorrente –

contro

M.A. (OMISSIS), S.N.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

MARICONDA STEFANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2034/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 6/4/2000 S.N. e M.A. convenivano in giudizio R.A. por sentirla condannare ad adeguare ai dettami dell’art. 901 c.c., nn. 1 e 2 la luce che si apriva nella parete di confine e sulla proprietà di essi attori Esponevano che la luce era posta ad una altezza di circa mt. 4,25 dal pavimento del loro appartamento, che l’apertura era stata in precedenza occultata da una controsoffittatura e che era irregolare in quanto non rispettava i limiti imposti dal citato art. 901 c.c. La R., costituendosi, eccepiva che il proprio appartamento sin dall’origine aveva un vano con finestra che prendeva luce dall’esterno attraverso una volta che collegava la finestra con la facciata esterna; la volta era, secondo la convenuta, un accessorio del proprio appartamento e dunque di sua proprietà e non aveva, mai avuto alcun collegamento con il sottostante appartamento degli attori, essendone sempre stata separata da un solaio in legno costituente il confine tra i due appartamenti in via riconvenzionale chiedeva la declaratoria della proprietà di quello spazio (delimitato dalla volta e dal solaio sottostante) per destinazione del padre ai famiglia o per usucapione.

Con sentenza del 21/10/2003, dopo l’espletamento di C.T.U., il Tribunale di Napoli accertava che lo spazio semicircolare compreso tra la finestra della R., il finestrone opposto sulla facciata esterna del fabbricato e il solaio di legno che era stato rimosso dagli attori faceva parte integrante della proprietà dei medesimi e ordinava alla convenuta di rendere conforme alle prescrizioni dell’art. 901 c.c. l’apertura in contestazione.

La R. proponeva appello insistendo nelle eccezioni e nelle domande dirette ad accertare il suo diritto di proprietà sullo spazio che era stato invece ritenuto di proprietà degli attori.

Gli appellati resistevano al gravame.

La Corte di Appello di Napoli con sentenza del 29/6/2005 rigettava l’appello rilevando:

– che lo spazio in contestazione (definito cavedio) era rii proprietà degli attori in quanto dagli atti di provenienza relativi agli immobili delle parti non era fatto alcun riferimento all’esistenza del cavedio inteso come entità autonoma) che invece era parte integrante di una stanza del loro appartamento, come confermato da una planimetria catastale del 1939 che non evidenziava alcun cavedio, ma solo l’apertura sulla proprietà dei predetti attori indicando l’altezza media dell’appartamento in metri cinque;

che non era provato il diritto di proprietà della R. sui suddetto spazio, non essendo a tal fine sufficiente l’esistenza della controsoffittatura in legno, nè risultava provato il possesso ventennale e utile ai fini dell’usucapione, nè era normativamente previsto differentemente da quanto previsto per la servitù, l’acquisto della proprietà per destinazione del padre di famiglia;

– che la domanda di accertamento della servitù di aria era inammissibile in quanto proposta solo in comparsa conclusionale.

La R. propone ricorso per Cassazione fondato su un unico motivo di insufficiente e contraddittoria motivazione e travisamento dei fatti, articolato su quattro punti.

Resistono con controricorso N.S. e M.A..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso per vizio di motivazione la ricorrente assume che:

a) parte attrice non ha dato prova di essere proprietaria del cavedio mancando l’atto scritto ed essendo insufficienti i certificati catastali; l’onere della prova era a suo carico in quanto l’azione proposta presupponeva la proprietà del cavedio mentre essa ricorrente poteva limitarsi ad eccepire di avere il possesso del cavedio;

b) la Corte di Appello ha valutato le indicazioni catastali in modo parziale, non considerando che la finestra che dal cavedio si affaccia all’esterno della facciata era stata collocata proprio per assicurare aria e luce all’appartamento di essa ricorrente in collegamento con la sua finestra e che il solaio in legno doveva servire proprio come divisione delle due proprietà; le opere furono realizzate dal precedente proprietario proprio per suddividere i due immobili;

c) alla fattispecie non avrebbe dovuto essere applicato l’art. 901 c.c. ma l’art. 1062 c.c. in quanto le opero erano state destinate dal precedente unico proprietario di entrambi i beni al servizio di uno di essi;

d) La Corte di appello ha erroneamente valutato i fatti: essendo risultato dalla CTU che la finestra sulla proprietà S. esisteva da almeno 60 anni doveva ritenersi che almeno da 30 vi fosse il solaio in legno in quanto per 30 anni vi era stato un inquilino e la controsoffittatura era presente quando l’inquilino aveva rilasciato l’immobile e, comunque, la struttura divisoria in legno aveva l’esclusiva funzione di assicurare il ricambio di luce ed aria all’appartamento di essa ricorrente e pertanto doveva essere stata realizzata dal precedente unico proprietario per dare maggior valore al predetto appartamento.

2. La censura di cui alla precedente lett. c) è inammissibile perchè non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale si dà espressamente atto che non può essere esaminata la questione relativa agli effetti della destinazione del padre di famiglia con riferimento alla costituzione della servitù (e, quindi, implicitamente con riferimento all’invocato art. 1062 c.c.) perchè la comanda di riconoscimento della servitù era stata proposta tardivamente solo con la comparsa conclusionale; quanto all’acquisto della proprietà del cavedio per destinazione del padre di famiglia, la Corte di Appello con motivazione congrua e incensurabile ha rilevato che la proprietà di un bene non può essere acquistata per destinazione del padre di famiglia.

3. Le ulteriori censure possono essere esaminate congiuntamente perchè si risolvono in una generica e comunque infondata critica delle decisioni dei giudici del merito che hanno affermato che lo spazio compreso tra la controsoffittatura demolita, la finestra che si. affaccia sulla facciata esterna dell’edificio e la finestra dell’appartamento della R. era ricompreso nella proprietà degli attori e non era stato acquisito, nemmeno per usucapione, alla proprietà della convenuta. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la proprietà degli attori non è stata provata semplicemente con i certificati catastali, ma, secondo quanto risulta dalla sentenza di appello, dai titoli di provenienza che documentano la proprietà dell’appartamento, comprensiva di una stanza della quale è parte integrante lo spazio in discussione (al riguardo i giudici di appello hanno fatto riferimento a documentazione fotografica); l’estensione in altezza della stanza trova conferma, secondo i giudici di appello nella planimetria catastale che non evidenzia alcun cavedio, che indica l’altezza media in 5 metri e nell’inesistenza di qualsiasi cenno, negli atti di provenienza ad. un cavedio che, invece, era stato realizzato di fatto in epoca imprecisata con la costruzione di una controsoffittattura in legno.

In conclusione, la Corte di Appello non ha attribuito, in assenza di prova, la proprietà del cavedio agli attori, ma ha semplicemente individuato, con motivazione sufficiente, non illogica e non contraddittoria, l’estensione in altezza della proprietà acquistata dagli attori che comprendeva anche quello spazio che era stato abusivamente delimitato con una struttura in legno.

Altrettanto esauriente e convincente è la motivazione della Corte di Appello che ha ritenuto non sufficiente per affermare il diritto di proprietà dell’odierna ricorrente sul predetto spazio, la mera circostanza che su quello spazio si aprisse una sua finestra che prendeva aria e luce dalla finestra sulla facciata esterna dell’edificio e che tale stato dei luoghi potesse integrare un possesso utile all’usucapione, anche considerando che la realizzazione del cavedio e avvenuta in epoca in epoca imprecisata.

“rattasi, invero, di circostanze del tutto insignificanti sia per la prova della proprietà sia perla prova del possesso utile all’usucapione.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come m dispositivo.

P.Q.M.

I,a Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare ai controricorrenti N.S. e M.A. le spese di questo giudizio di Cassazione che si liquidano in Euro 2.200.00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2011

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