Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13985 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 13985 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BISOGNI GIACINTO

Ud. 14/11/12
Motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

ARPA s.a.s., in persona del socio accomandatario
Luciano Franceschetti, domiciliata in Roma, presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata
e difesa nel presente giudizio, per procura speciale a
margine del ricorso, dall’avv.to Bernardino Pasanisi
(il quale indica per le comunicazioni relative al
processo seguenti recapiti: p.e.c.:
pasanisi.bernardino@oravta.legalmail.it ,

fax:

099.9871441),;

– ricorrente –

82q0
2012

contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro

1

Data pubblicazione: 04/06/2013

tempore;
– intimato avverso il decreto della Corte d’appello di Potenza
emesso in data 25 gennaio 2011 e depositato il 2 marzo
2011, R.G. n. 220/10;

Generale Dott. Immacolata Zeno che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
rilevato che la Corte, riunita in camera di consiglio
ha deliberato di adottare la motivazione semplificata
della decisione;

Rilevato che:
1. Con ricorso del 7 maggio 2010 la ARPA s.a.s. ha
chiesto alla Corte di appello di Potenza la
condanna del Ministero della Giustizia al
risarcimento del danno ex legge n.89/2001 subito
per la durata eccessiva e non ragionevole del
giudizio civile di opposizione a decreto
ingiuntivo svoltosi, davanti al Tribunale di
Taranto sezione distaccata di Martina Franca, dal
27 maggio 2002, data di notifica del decreto
ingiuntivo,

emesso su richiesta dell’avv.

Màrseglia nei confronti della ARPA s.a.s., al 20
gennaio 2010, data del deposito della sentenza
che ha definito il giudizio.
2. La Corte di appello di Potenza ha respinto il

2

sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

ricorso ritenendo che la persona giuridica non
abbia legittimazione ad agire in ordine ai danni
non patrimoniali richiesti nel presente giudizio.
3. Ricorre per cassazione la ARPA s.a.s. affidandosi
ad un unico motivo di impugnazione con il quale
deduce la violazione e/o falsa applicazione

C.E.D.U. Secondo la ricorrente è erronea la tesi
affermata dalla Corte di appello circa il difetto
di legittimazione attiva della persona giuridica
a chiedere il risarcimento del danno non
patrimoniale provocato

dalla

durata

non

ragionevole del processo di cui è stata parte.
4. Non svolge difese il Ministero della Giustizia.
Ritenuto che
1. Il ricorso è fondato. La giurisprudenza di questa
Corte ritiene, che, in tema di equa riparazione
per irragionevole durata del processo ai sensi
dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89,
anche per le persone giuridiche il danno non
patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo
correlato a turbamenti di carattere psicologico,
– tenuto conto dell’orientamento in proposito
maturato nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo – conseguenza normale, ancorché non
automatica e necessaria, della violazione del
diritto alla ragionevole durata del processo, di
cui all’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle

3

dell’art. 2 della legge n. 89/2001 e 6 § l della

libertà fondamentali, a causa del disagi e del
turbamenti di carattere

psicologico che la

lesione di tale diritto solitamente provoca alle
persone preposte

alla

gestione dell’ente o

ai

suoi membri, e ciò non diversamente da guanto
avviene per il danno morale da lunghezza

persone fisiche (cfr.,

dagli individui

fra le altre,

Cass. Civ.

sezione I, n. 25730 del 1 dicembre 2011).
2. Il ricorso va pertanto accolto e la causa decisa
nel merito, stante la non necessità di ulteriori
accertamenti istruttori, applicando il parametro
di tre anni quanto alla durata del giudizio di
primo grado e quello di 750 euro di indennità
annua per i primi tre anni di durata eccessiva e
di 1.000 euro per gli anni successivi. Ne deriva,
nella specie, un indennizzo di euro 3.900 e al
pagamento di tale somma, in favore della
ricorrente, va condannato il Ministero della
Giustizia con interessi dalla domanda al saldo.
3.

Le spese del giudizio di merito e di cassazione
vanno poste a carico del Ministero soccombente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto

impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero
della Giustizia al pagamento, in favore della
ricorrente e a titolo di equa riparazione ex legge n.
89/2001, della somma di euro 3.900 con interessi dalla
domanda al saldo. Condanna il Ministero al pagamento

4

eccessiva del processo subito

delle spese del giudizio di merito liquidate in
complessivi 950 euro, di cui 100 per spese, 450 per
diritti e 400 per onorari, e del giudizio di cassazione
liquidate in euro 550, oltre oneri e accessori di legge
e oltre 200 euro per esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del

14 novembre 2012.

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