Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13982 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 07/07/2020), n.13982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16184-2018 proposto da:

F.M., in proprio e quale legale rappresentante della

Cantieri di Roma Sas di M.F., elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA M. PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato VALTER

CALVIERI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.T.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO MACIUCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5203/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott.

GABRIELLA MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Roma rigettava l’appello avverso la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda di B.T.J. e condannato la società Cantieri di Roma s.a.s. di M.F. al pagamento di Euro 45.823,73, oltre accessori ed interessi, a titolo di differenze di retribuzione, previo accertamento dello svolgimento della prestazione lavorativa a tempo pieno piuttosto che a tempo parziale e del diritto del lavoratore ad un inquadramento professionale superiore;

ha proposto ricorso per cassazione, F.M., in proprio e quale legale rappresentante della società Cantieri di Roma s.a.s di M.F., articolato in due motivi;

ha resistito, con controricorso, B.T.J.;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – è dedotta l’erroneità della pronuncia “nel ritenere escussi testimoni quando (invece) nessun testimone è stato escusso” con violazione delle norme in materia di formazione della prova (art. 115 c.p.c.);

il motivo, come sviluppato, si arresta ad un rilievo di inammissibilità, per difetto di specificità;

nella sentenza impugnata si dà atto dello svolgimento dell’istruttoria dibattimentale (sesto rigo della parte “svolgimento del processo” e di quella “motivi della decisione”);

a fronte di tale esplicita affermazione, parte ricorrente omette di trascrivere gli atti di causa – e quindi di produrli o indicarne esattamente l’allocazione nel fascicolo d’ufficio – necessari ad incrinare l’argomentazione contenuta nella pronuncia;

tali omissioni si pongono in contrasto con le regole di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (v. Cass., sez. un., n. 8877 del 2012; ex plurimis, Cass. n. 13713 del 2015) ed impediscono alla Corte ogni valutazione in merito alla fondatezza delle censure;

con secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta l’errata valutazione delle circostanze con cui -diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito – si contestavano i fatti dedotti dal ricorrente, in punto di mansioni svolte ed orari di lavoro osservati;

anche l’esame del secondo motivo si ferma ad una considerazione di inammissibilità;

a fondamento del decisum, la Corte di appello ha osservato come il lavoratore avesse assolto pienamente all’onere probatorio che su di lui incombeva, in relazione a tutti i profili controversi in causa e concernenti, in particolare, le mansioni espletate e l’orario di lavoro osservato; a tal fine, ha richiamato l’esito della prova testimoniale; la Corte territoriale ha, quindi, aggiunto (così testualmente in sentenza: ” del resto”), come la parte appellante (id est: la parte datoriale) non fosse riuscita a dimostrare il proprio assunto difensivo, anche a seguito di “una mancata specifica contestazione ex art. 416 c.p.c., dei fatti posti dall’attore a base della domanda”;

le censure, che riguardano tale ultima argomentazione, investono, all’evidenza, un passaggio motivazionale della sentenza reso ad abundantiam rispetto alla ratio decidendi costituita dall’accertamento, in base alle prove acquisite, dello svolgimento, da parte del lavoratore, di mansioni superiori e di un orario a tempo pieno;

le considerazioni ulteriori, in quanto eccedenti rispetto alla necessità logico-giuridica della decisione, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità, per difetto di interesse (Cass. n. 8755 del 2018; Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 13068 del 2007);

in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore della parte controricorrente, come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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