Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13981 del 06/06/2017

Cassazione civile, sez. un., 06/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.06/06/2017),  n. 13981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1019-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE

15, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA MINIERI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8148/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’08/01/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

udito l’Avvocato Antonella Minieri.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. Con sentenza n. 7068/2010 il Tribunale di Roma, dichiarata la propria giurisdizione, in parziale accoglimento del ricorso proposto da M.R. – già dipendente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato che aveva partecipato al concorso interno per titoli riservato al personale dell’allora Dipartimento delle Dogane e delle Imposte Indirette indetto dal Ministero delle Finanze con D.M. 3 febbraio 1992 per la copertura di numerosi posti di funzionario tributario (ottava qualifica funzionale), risultando nella graduatoria finale tra gli idonei non vincitori – ha: a) accertato il diritto del ricorrente al riconoscimento della decorrenza economica dell’inquadramento nella 8 qualifica funzionale fin dal 2 settembre 1996; b) condannato detta Amministrazione a pagargli, a titolo di risarcimento del danno, le differenze retributive maturate fino alla data del pensionamento ovvero fino a quella del riconoscimento della qualifica, oltre agli interessi legali; c) respinto la pretesa risarcitoria relativa al danno da perdita di chance, perchè indimostrata.

2. Con sentenza depositata in data 8 gennaio 2015 la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, precisando, per quel che qui interessa, che:

a) va ribadita la spettanza della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, in base alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione secondo cui nei rapporti di lavoro contrattualizzati alle dipendenze della P.A., ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, nel caso in cui la lesione del diritto azionato sia stata prodotta da un provvedimento o da un atto negoziale del datore di lavoro, occorre far riferimento alla data di questi ultimi, sicchè nella specie si deve avere riguardo alla determinazione n. 5128 del 2004 con la quale erroneamente e illegittimamente la decorrenza economica dell’inquadramento nella superiore qualifica è stata fissata al 6 febbraio 2004, a differenza di quella giuridica riconosciuta dal 2 settembre 1996. Solo con tale provvedimento, infatti la pretesa dedotta in giudizio è divenuta concretamente azionabile;

b) in applicazione della suindicata giurisprudenza di legittimità va pure disattesa la riproposta eccezione di prescrizione perchè tenuto conto della data del provvedimento amministrativo (6 febbraio 2004) a decorrere dalla quale il diritto del ricorrente poteva essere rivendicato, la prescrizione è stata tempestivamente interrotta nel momento in cui l’Amministrazione ha ricevuto la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione alla D.P.L. del 29 novembre 2005 e poi, ulteriormente, la notifica del ricorso introduttivo di lite (15 luglio 2008);

c) per quanto attiene al merito della vicenda – che è oggetto di contestazione, non essendosi l’Amministrazione limitata ad impugnare le sfavorevoli decisioni soltanto per i profili della giurisdizione e della prescrizione (diversamente da quanto accaduto nelle controversie di cui a Cass. SU 23 febbraio 2012 n. 2705 e Cass. SU 14 gennaio 2014, n. 580) – va data continuità, anche in considerazione alle argomentazioni difensive dell’Agenzia, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui l’esclusione della retroattività del trattamento economico vale soltanto in caso di costituzione del rapporto di lavoro pubblico illegittimamente negata, mentre l’annullamento dell’atto amministrativo che fa cessare illegittimamente un rapporto di impiego o ne ritarda la progressione determina come conseguenza la reviviscenza del rapporto nella sua pienezza, quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, con tutte le conseguenze di anzianità, di carriera e di retribuzione (vedi, per tutte: Consiglio di Stato, Sezione 6, sentenza 27 settembre 2002, n. 4955). Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di merito.

3. Il ricorso dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, M.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi delle censure.

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, e art. 69, nonchè della L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 3, applicabile ratione temporis, contestandosi che la Corte d’appello abbia affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario senza attribuire rilievo, come fatto asseritamente causativo del danno, al solo atto istantaneo della graduatoria – formata nel 1996 – poi giudicata illegittima e che non abbia, quindi, ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, seguendo l’orientamento espresso da Cass. SU 7 luglio 2014, n. 15428.

Del resto, la domanda riguardava l’illegittimo esercizio del potere pubblico nell’espletamento d’una procedura concorsuale, mentre la Corte territoriale ha fatto riferimento all’asserito carattere permanente dell’illecito contrattuale ascritto all’Amministrazione.

In sintesi, secondo l’Agenzia ricorrente gli atti dai quali il dipendente ha fatto derivare le proprie pretese si collocavano interamente in un arco temporale precedente la data del 30 giugno 1998, il che giustificava la giurisdizione del giudice amministrativo a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, atteso che la domanda relativa alla decorrenza economica dal 2 settembre 1996 dell’inquadramento nell’ottava qualifica funzionale era basata sull’esito favorevole di una procedura concorsuale indetta il 3 febbraio 1992. Nel ricorso si aggiunge che la domanda risarcitoria era fondata sull’asserita illegittimità degli atti di ammissione al concorso di candidati non in possesso dei requisiti previsti per parteciparvi (cinque anni di servizio effettivo nella qualifica) e della loro inclusione nella graduatoria approvata con decreto 24 giugno 1996, in posizione anteposta a quella dell’attuale controricorrente, che perciò non aveva potuto acquisire la qualifica superiore.

Di qui la conferma che nel caso di specie era configurabile non già un illecito permanente, bensì un illecito istantaneo ad effetti permanenti, essendo stato il danno causato dall’approvazione della graduatoria, avvenuta nel 1996.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e, quindi, inesistente in violazione dell’art. 132 c.p.c..

Si sostiene che la motivazione della sentenza per il merito delle censure sarebbe mancante perchè si risolverebbe in un mero e generico richiamo di decisioni del Consiglio di Stato e della giurisprudenza di merito, disorganico e privo di riferimenti alla fattispecie sub judice, quindi da censurare secondo quanto affermato da Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053.

1.3. Con il terzo motivo – in via subordinata rispetto al secondo motivo – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ.; violazione del principio di corrispettività della retribuzione desumibile dall’art. 2013 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se il ritardo dell’Amministrazione potesse realmente considerarsi colpevole, visto il succedersi nel tempo di plurime contrastanti sentenze del giudice amministrativo divenute definitive, mentre nella sentenza impugnata è stata affermata la colpa “in re ipsa” dell’Amministrazione a causa della dichiarazione di illegittimità dell’attività provvedimentale.

Si aggiunge che il conseguimento della superiore qualifica in oggetto si atteggia come nuova assunzione conseguentemente la decorrenza del relativo trattamento economico presuppone l’esercizio delle relative mansioni.

1.4. Con il quarto motivo – in via ulteriormente subordinata – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’asseritamente mancata valutazione dell’incolpevole incertezza in cui si è trovata l’Amministrazione dato il complesso svilupparsi della vicenda in sede di giustizia amministrativa.

La Corte romana, infatti, non avrebbe considerato che:

a) con atto del 24 giugno 1996, all’esito della procedura concorsuale in oggetto – nell’ambito della quale il M., seppur idoneo, non era risultato vincitore – venne approvata la relativa graduatoria;

b) il TAR Lazio, con sentenza n. 185 del 1995, in accoglimento del ricorso di una ventina di concorrenti appartenenti alla 7 qualifica funzionale ma non in possesso alla data del 31 dicembre 1990 del richiesto requisito dei cinque anni di effettivo servizio nella suddetta qualifica, annullò il bando del concorso ove si richiedeva tale requisito per poter partecipare al concorso stesso;

c) l’Amministrazione dopo aver proposto appello assunse la decisione di eseguire subito la suddetta sentenza, modificando l’originaria graduatoria;

d) nel frattempo diversi gruppi di controinteressati impugnarono la graduatoria a causa della suddetta disposta integrazione;

e) con sentenze del TAR Lazio n. 3672, 3673 e 3679 del 2000 venne ordinato alla Amministrazione di riformulare la graduatoria escludendo coloro che erano stati inclusi in base sentenza del TAR Lazio n. 185 del 1995;

f) il Commissario ad acta successivamente nominato provvide quindi, con determinazione del 21 maggio 2003, alla riformulazione della graduatoria, ma il TAR del Lazio ordinò al Commissario ad acta di provvedere a redigere una nuova graduatoria, che tenesse conto dell’avvenuto annullamento dei provvedimenti di ammissione alla procedura concorsuale dei candidati non in possesso dei prescritti requisiti;

g) in tale nuova graduatoria, approvata con determinazione in data 6 febbraio 2004, erano stati depennati i vincitori privi del requisito sopra indicato ed erano stati invece inseriti, al loro posto, gli idonei, con attribuzione dell’8 qualifica con decorrenza ai fini giuridici dal 24 giugno 1996 e ai fini economici ex nunc (6 febbraio 2004).

Di qui l’assoluta incertezza in cui si è trovata l’Amministrazione e, quindi, la mancanza di colpa della azione della P.A., essendo configurabile una condotta determinata da un errore scusabile, mentre la Corte territoriale ha ritenuto sussistere una sorta di responsabilità oggettiva.

2 – Esame delle censure.

3. Il primo motivo del ricorso non è da accogliere, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (vedi sentenze 23 febbraio 2012, n. 2705; 14 gennaio 2014, n. 579 e n. 580; 20 dicembre 2016, n. 26276 sullo stesso bando di concorso oggetto dell’impugnazione in esame), che nel decidere su fattispecie identiche alla presente (domande proposte da altri dipendenti dell’Agenzia delle Dogane, aventi la medesima causa petendi) ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario in applicazione del consolidato principio secondo cui, qualora la lesione d’un diritto sia stata prodotta da un atto (avente natura negoziale o di provvedimento amministrativo), la giurisdizione va individuata con riferimento alla data dell’atto medesimo (vedi, fra le tante: Cass. SU 22 marzo 2017, n. 7305; Cass. SU 27 dicembre 2011, n. 28808; Cass. SU 28 aprile 2011, n. 9446).

3.1. In applicazione di tale principio queste Sezioni Unite hanno affermato, proprio riguardo al bando di concorso in oggetto, che il giudice munito di giurisdizione deve essere individuato con riferimento alla data della determinazione con la quale è stata approvata la nuova graduatoria (6 febbraio 2004), atteso che solo tale provvedimento, disponendo la decorrenza economica ex nunc del superiore inquadramento, ha fatto insorgere nei dipendenti la necessità di chiedere la tutela giurisdizionale della propria posizione. Pertanto, avuto riguardo alla data del 6 febbraio 2004, devono considerarsi appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, le controversie, come quella in esame, riguardanti la gestione dei rapporti di impiego c.d. contrattualizzato. muovendosi dal tenore del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, secondo il quale “Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni…”.

3.2. Muovendosi dal tenore del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, secondo il quale “Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni…”, a partire da Cass. SU 15 ottobre 2003, n. 15403e dalle conformi pronunce successive (vedi: Cass. SU n. 3948/2004, n. 10183/2004, n. 6217/2005, n. 10605/2005, n. 20107/2005), in ordine alle controversie aventi ad oggetto i concorsi interni si è affermato che il riferimento all’assunzione, contenuto nel citato art. 63, comma 4, va inteso in senso non strettamente letterale, ma come comprendente le “prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore” (Cass. S.U. n. 15403/2003, cit.).

3.3. In definitiva, il concorso è in ogni caso rivolto all’assunzione allorchè sia pubblico, cioè aperto agli esterni, ed è indifferente che vi partecipino anche lavoratori già dipendenti pubblici; ma è ugualmente rivolto all’assunzione, ove sia riservato agli interni, quante volte risulti finalizzato ad una progressione verticale che consista nel passaggio ad una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro (vedi Cass. SU 10 dicembre 2003, n. 18886).

Con la lettura estensiva, nei sensi sopra precisati, del lemma “assunzione”, la qualificazione della procedura come attività autoritativa oppure negoziale dipende dall’interpretazione delle fonti che la regolano.

3.4. Non v’è problema quando la procedura sia comunque aperta all’assunzione di esterni: si tratta di procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 97 Cost., e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35.

3.5. Per i concorsi interni, invece, la giurisdizione è determinata dall’esito della verifica in ordine alla natura della progressione verticale, permanendo all’ambito dell’attività autoritativa soltanto il mutamento dello status professionale, non le progressioni meramente economiche, nè quelle che comportino il conferimento di qualifiche più elevate, ma pur sempre comprese nella stessa area, categoria, o fascia di inquadramento, e caratterizzate, di conseguenza, da profili professionali omogenei nei tratti fondamentali, diversificati sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo.

La nozione di area, quale insieme di posizioni professionali associato a plurime qualifiche, anche di diverso livello, ma connotate da elementi di omogeneità, viene introdotta dalla riforma c.d. di “privatizzazione” o “contrattualizzazione” del lavoro pubblico, attuata dalle norme generali raccolte nel D.Lgs. n. 165 del 2001.

Alcune aree sono direttamente definite dalle norme di legge (area della dirigenza e dei professionisti: art. 40, comma 2; area della vice-dirigenza: art. 7 bis).

Per il restante personale contrattualizzato, il disegno di delegificazione è stato attuato affidando alla contrattazione collettiva nel settore pubblico (vedi Corte Cost. n. 199 del 2003) anche la materia degli inquadramenti (in quanto non esclusa dalla previsione di cui all’art. 40, comma 1).

3.6. Dunque, per il personale dei comparti, sono stati i contratti collettivi (della seconda tornata contrattuale) ad introdurre il sistema di classificazione per aree di inquadramento, cui lo stesso testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, come successivamente modificato e integrato, si riferisce (art. 30, comma 2 bis, quanto alla disciplina della mobilità; art. 34 bis, comma 1, quanto ai concorsi per l’assunzione).

La giurisprudenza di questa Corte (vedi: Cass. n. 14193/2005) ha avuto modo di chiarire che la disciplina legale della classificazione dei lavoratori pubblici c.d. contrattualizzati ha carattere speciale rispetto a quella dettata dal codice civile; di conseguenza, il sistema di inquadramento per aree sostituisce quello per categorie, di cui all’art. 2095 c.c., che parimenti può accorpare più qualifiche.

3.7. In conclusione, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, si interpreta, alla stregua dei principi enucleati ex art. 97 Cost., dal giudice delle leggi, nel senso che per “procedure concorsuali di assunzione”, ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione, si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro (come le procedure aperte a candidati esterni, ancorchè vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali interni, destinati, cioè, a consentire l’inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, profilandosi in tal caso una novazione oggettiva dei rapporti di lavoro.

3.8. Le progressioni, invece, all’interno di ciascuna area professionale o categoria, sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive sia con il conferimento di qualifiche (livello funzionale di inquadramento connotato da un complesso di mansioni e di responsabilità) superiori (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1), sono affidate a procedure poste in essere dall’amministrazione con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2).

Tale differente disciplina tra i passaggi interni alle aree professionali rispetto a quelli esterni appare, inoltre, confermata dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 193, là dove si riferisce “agli importi relativi alle spese per le progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria…” e alla diversa nozione di “passaggio di area o di categoria”.

3.9. In presenza di progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, necessariamente ci si trova al di fuori dell’ambito delle attività amministrative autoritative e la procedura è retta dal diritto privato (L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1 bis, nel testo attuale), con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

Questo è il caso di specie, trattandosi di procedura concorsuale per accedere ad una qualifica funzionale interna alla medesima area professionale.

3.10. Nè alla Agenzia ricorrente giova obiettare, sulla scorta di Cass. SU 7 luglio 2014, n. 15428, che il danno che il lavoratore assume essergli derivato sarebbe riconducibile non già al ritardo con il quale l’Amministrazione ha provveduto ad attribuirgli la superiore qualifica, bensì all’illegittimo ritardo con cui la stessa Amministrazione ha portato a compimento la procedura concorsuale, con l’approvazione definitiva della graduatoria.

Invero, trattandosi – come s’è detto – d’una procedura concorsuale per la progressione in carriera all’interno della medesima area professionale ormai attratta nella giurisdizione del giudice ordinario fin dal 30 giugno 1998 e comunque già alla data del provvedimento del 6 febbraio 2004 – che, approvando la graduatoria con mera decorrenza economica ex nunc del superiore inquadramento, ha integrato la fattispecie determinativa di danno – si verte in materia di rapporto di pubblico impiego cd. contrattualizzato, che per sua stessa natura non prevede in capo al lavoratore se non posizioni di diritto soggettivo nei confronti dell’Amministrazione datrice di lavoro.

Inoltre – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – il danno di cui il lavoratore controricorrente ha ottenuto il risarcimento deriva non dal ritardo nell’approvazione della graduatoria (come nella vicenda esaminata da queste Sezioni Unite nella citata sentenza n. 15428/14) e neppure dall’illegittima formazione della graduatoria originariamente approvata con decreto 24 giugno 1996 (già annullata all’esito di precedente giudizio), ma dall’illegittima decorrenza (fatta coincidere con il 6 febbraio 2004) degli effetti economici della superiore qualifica.

4. Le considerazioni esposte, a proposito del primo motivo, dimostrano l’infondatezza anche del terzo motivo.

4.1. Invero, una volta chiarito che il superamento del concorso interno de quo non comportava novazione alcuna, concorso che si svolgeva nell’ambito d’un unico e ininterrotto rapporto lavorativo in essere già da tempo, non si vede come possa qualificarsi aquiliana la responsabilità dell’Amministrazione che ha illegittimamente fatto decorrere gli effetti economici dell’attribuzione della superiore qualifica solo dal 6 febbraio 2004 anzichè dal 2 settembre 1996 (vedi, in tal senso: Cass. SU 20 dicembre 2016, n. 26276 cit.).

Inoltre, all’odierno controricorrente è stato riconosciuto non un trattamento retributivo, ma uno meramente risarcitorio ex art. 1218 c.c. (e ciò a prescindere dal parametro di quantificazione adottato) e, versandosi in tema di responsabilità contrattuale, l’imputabilità dell’inadempimento si presume fino a prova contraria.

5. Tenuto conto della data del provvedimento (6 febbraio 2004) a decorrere dalla quale il diritto poteva essere rivendicato è altresì privo di pregio il profilo di doglianza proposto nel secondo motivo a proposito della prescrizione, visto che la prescrizione è stata tempestivamente interrotta nel momento in cui l’Amministrazione ha ricevuto la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione alla D.P.L. del 29 novembre 2005 (come si legge nella sentenza impugnata) e poi, ulteriormente, la notifica del ricorso introduttivo di lite.

5.1. Il secondo motivo, peraltro, è, nel suo insieme, da respingere in quanto, nella specie, la motivazione per relationem adottata dalla Corte d’appello, a proposito del merito delle censure, è del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la motivazione per relationem, non solo è legittima, ma risponde alle indicazioni del legislatore di motivare le sentenze con una “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” (art. 132 c.p.c., n. 4), mediante la “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi” (così l’art. 118 disp. att. c.p.c.), chiedendosi al giudice la sintesi, tanto attraverso il tratto conciso (art. 132 c.p.c.) e succinto (art. 112 disp. att. c.p.c.) della motivazione, che attraverso la tecnica del richiamo di eventuali provvedimenti conformi (art. 112 cit.), dello stesso ufficio o di altri giudici (Cass. 2 agosto 2012, n. 13886), sempre che la motivazione della sentenza d’appello non sia laconicamente formulata in termini di mera adesione dei precedenti richiamati e quindi non consenta in alcun modo di ritenere che a tale adesione la Corte d’appello sia pervenuta attraverso l’esame e la valutazione dei motivi di gravame. Ipotesi, quest’ultima, che non si verifica nella specie perchè la Corte territoriale non si limita a riportare stralci delle precedenti decisioni richiamate ma aggiunge che quelle argomentazioni e valutazioni trovano conferma nella documentazione agli atti della controversia in esame e, in particolare, nelle difese dell’Agenzia (Cass. 11 giugno 2008, n. 15483; Cass. 20 maggio 2011, n. 11138; Cass. 12 agosto 2010, n. 18625).

6. Il quarto motivo va dichiarato inammissibile in quanto le relative censure risultano prospettate in modo non conforme all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata depositata dopo l’11 settembre 2012 e precisamente il 18 giugno 2015. In base alla novella la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928). Evenienze che non si verificano nella specie.

Come precisato da queste Sezioni Unite (vedi, per tutte: sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) nei giudizi per cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, la formulazione di una censura riferita al n. 5 dell’art. 360 cit. che replica sostanzialmente il previgente testo di tale ultima disposizione – come accade nella specie – si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” della motivazione, limitando il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, “omesso esame” che non costituisce nella specie oggetto di censura.

3 – Conclusioni.

7. In conclusione, si deve dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario e rigettare il ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’Amministrazione pubblica ricorrente (che, in quanto tale, non è tenuta anche al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

La Corte, a Sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2017

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