Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1398 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. III, 21/01/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 21/01/2011), n.1398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17401/2006 proposto da:

D.P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CALABRIA 17, presso lo studio dell’avvocato GALLO PASQUALE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LO GIUDICE Vincenzo giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.S. (OMISSIS), V.G.

(OMISSIS), V.P. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 308/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

Sezione Terza Civile, emessa il 18/3/2005, depositata il 18/04/2005,

R.G.N. 1564/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del 2^ motivo,

assorbito il 1^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 18.9.00 D.P.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo V.G., V. P. e V.S., esponendo che aveva stipulato con essi un contratto di locazione avente ad oggetto un complesso immobiliare in (OMISSIS), da destinare a fabbrica di argenteria, per un canone annuo di L. 30.000.000; che era poi risultato che l’immobile locato era sprovvisto del certificato di agibilità e che la sua destinazione era diversa da quella originariamente pattuita, vizi che legittimavano la risoluzione del contratto; che i locatori avevano preteso nel corso del rapporto un canone maggiore di quello pattuito;

tutto ciò premesso, chiedeva che il contratto venisse risolto ex art. 1578 c.c., e che i convenuti venissero condannati al pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento, pari a 18 mensilità, oltre al risarcimento dei danni, interessi e rivalutazione monetaria, nonchè alla restituzione di quanto corrisposto per canoni in più della misura pattuita.

I convenuti non si costituivano in giudizio e, quindi, espletata l’istruzione, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione e condannava i convenuti al pagamento della somma rivalutata di Euro 23.240,566, più interessi dalla data di deposito della sentenza al soddisfo, rigettando le altre domande attrici.

I convenuti proponevano appello avverso la suddetta sentenza e il D. P., costituitosi in giudizio, resisteva al gravame, chiedendone il rigetto: con sentenza depositata il 18.4.05 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande di risoluzione contrattuale e di risarcimento danni.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D. P., con due motivi, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta dagli intimati V..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 1578 c.c., non avendo erroneamente la Corte di merito ravvisato nel caso di specie gli estremi dei requisiti richiesti dalla norma predetta per la risoluzione del contratto.

Con il secondo motivo si duole invece della violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., non avendo la Corte di merito tenuto conto della circostanza che dall’interpretazione combinata degli artt. 4 ed 1 del contratto risultava che nell’intenzione delle parti (od almeno del ricorrente) fosse innegabile l’accordo sulla destinazione dell’immobile locato ad uso artigianale e non già commerciale.

1. Il primo motivo è infondato.

Infatti, la Corte di merito ha correttamente ritenuto che nel caso di specie non ricorressero i requisiti per la risoluzione del contratto di locazione ai sensi dell’art. 1578 c.c., atteso che il ricorrente, ritenuto a conoscenza della destinazione d’uso dell’immobile locato (commerciale e non artigianale) al momento in cui al contratto venne data attuazione (circostanza desumibile dalla clausola contrattuale art. 4 relativa al divieto di mutamento della destinazione originaria) e, quindi, anche della inidoneità dell’immobile a realizzare il proprio interesse, accettò il rischio economico dell’impossibilità di utilizzazione dell’immobile stesso come rientrante nella normalità dell’esecuzione della prestazione (Cass. n. 14659/2002).

La sentenza impugnata ha altresì fondatamente rilevato che il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso dell’immobile locato non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto di locazione sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d’uso convenuto, come si è verificato nel caso di specie, potendo invece tale mancato rilascio comportare una responsabilità del locatore nei confronti del conduttore allorquando la particolare destinazione dell’immobile in conformità alle richieste autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative abbia costituito oggetto di un obbligo specifico assunto dallo stesso locatore onde garantire il pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto (obbligo del locatore al cambiamento d’uso dell’immobile locato che, secondo la sentenza impugnata, non si rinviene nel contratto di locazione nel caso in esame).

2. Anche il secondo motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha giustamente ritenuto che il conduttore sarebbe stato a conoscenza della destinazione d’uso commerciale (e non già artigianale) dell’immobile locato in ragione di quanto stabilito dall’art. 4 del contratto che recita: “è fatto espresso divieto di mutamento della destinazione d’uso originaria”, e cioè quella commerciale.

Premesso che “nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice di merito deve arrestarsi al significato letterale delle parole, e non può far ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici quando dalle espressioni usate dalle parti emerga in modo immediato la volontà comune delle medesime, in quanto il ricorso agli altri criteri interpretativi, al di fuori dalle ipotesi di ambiguità della clausola, presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale” (Cass. n. 83/2003), è indubbio che il senso letterale delle parole espresse nella clausola contrattuale sopra riportata non si presta ad alcun equivoco nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, che risulta indiscutibilmente quella accertata e recepita nella sentenza impugnata, nonchè menzionata nel precedente punto 1. della presente sentenza.

La circostanza che all’art. 1 ultimo inciso del contratto di locazione sia stato previsto che l’immobile locato andava adibito a “fabbrica di argenteria”, che rappresenta certamente l’effettiva utilizzazione del bene, non toglie: tuttavia valore determinante al fatto che, sottoscrivendo il contratto, il D.P. sia venuto a conoscenza – come giustamente ritenuto dalla sentenza gravata – dell’originaria destinazione ad uso commerciale.

3. Il ricorso va, quindi, rigettato, mentre nulla va statuito sulle spese del giudizio di cassazione per la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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