Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13979 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 08/07/2016), n.13979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 323 del ruolo generale dell’anno 2010,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia;

– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –

contro

s.p.a. Abibes, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dagli avvocati Isabella Cantalupo e Gioia Vaccari,

elettivamente domiciliatosi presso lo studio della seconda in Roma,

alla via Gioacchino Rossini, n. 18;

-controricorrente e ricorrente incidentale in via condizionata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sede di Brescia, sezione 65, depositata in

data 6 novembre 2008, n. 153/65/08;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 7

giugno 2016;

uditi per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri e

per la società l’avv. Alberto Colitti, per delega dell’avv. Gioia

Vaccari;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

La società ha impugnato un avviso di accertamento ed un avviso di rettifica concernenti iva, irpeg ed ilor relative all’anno 1996, scaturenti, nella prospettazione dell’ufficio, dall’omessa fatturazione di vendite di prodotti petroliferi risultanti mancanti in sede di verifica, nonchè dall’omessa fatturazione dell’acquisto di propano denaturato, risultato in eccedenza rispetto alle giacenze contabili.

La Commissione tributaria provinciale ha parzialmente accolto i ricorsi, limitatamente alla ripresa riguardante la riscontrata mancanza di miscela propano-butano e l’eccedenza di propano denaturato; quella regionale ha accolto l’appello della società, sia pure preliminarmente reputando adeguatamente motivati gli atti impositivi. In particolare, nel merito, il giudice d’appello ha fatto leva sulla sentenza di assoluzione del legale rappresentante della Abibes, divenuta definitiva, sostenendo che la mancanza di propano/butano sia ascrivibile ad una procedura di denaturazione del prodotto non contabilizzata per errore, che dà conto altresì dell’eccedenza del propano.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la società reagisce con controricorso e ricorso incidentale proposto in via condizionata, articolato in due mezzi, che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c., che l’ufficio controbatte con controricorso.

Diritto

1.-Col secondo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di rilievo prodromico rispetto al primo, rispetto al quale spiega effetto assorbente, l’Agenzia lamenta la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, in combinazione con gli artt. 2727 e 2729 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha reputato idonee a superare le presunzioni legali relative di acquisto di beni reperiti nel luogo dove la società esercita la propria attività e di cessione dei beni ivi non reperiti le risultanze, anche testimoniali o peritali emergenti dalla sentenza penale di assoluzione menzionata in narrativa.

1.1.-Va anzitutto respinta l’obiezione mossa dalla società all’operatività già in tesi delle presunzioni di acquisto e di cessione poste dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 44, determinata dalla circostanza che le mancanze e le eccedenze in questione sono state riscontrate nell’unico deposito della società e non già in luoghi diversi da quelli in cui la contribuente esercita la propria attività.

Ciò in quanto l’elemento dell’alterità del luogo dove sono riscontrate mancanza od eccedenza rispetto ai luoghi in cui il contribuente svolge la propria attività è estraneo alle disposizioni invocate, contenute nel D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 (sulla natura integrativa e ricognitiva del quale rispetto alla previgente disciplina contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 vedi, fra varie, Cass. 20 giugno 2008, n. 16838): le disposizioni in oggetto, di contro, si limitano a far riferimento rispettivamente ai “luoghi” (art. 1) o ad “uno dei luoghi” (art. 3) “in cui il contribuente svolge le proprie operazioni”. Locuzioni, queste, di tenore tanto ampio, da ricomprendervi anche l’unico deposito del quale si discute.

1.2.-.Le presunzioni in questione per conseguenza operano, essendosene verificati i presupposti di fatto, dati dalle differenze inventariali indicate in narrativa e inidonee a superarle sono gli elementi ritraibili dalla sentenza penale di assoluzione valorizzati dal giudice d’appello; esse sono difatti annoverabili tra le presunzioni legali “miste”, che consentono la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova prefigurati dal legislatore e da quest’ultimo previsti ad evidenti fini antielusivi (tra varie, Cass. 28 luglio 2006, n. 17210;

4 febbraio 2015, n. 1976). Limiti di oggetto e mezzi di prova, ai quali sono estranei gli elementi desunti dalla sentenza penale in questione.

2.-Ne risulta assorbito, come si anticipava, il primo motivo del ricorso principale, che verte sul grado di autonomia di valutazione della sentenza da parte della Commissione tributaria.

3.-L’accoglimento del ricorso principale impone l’esame di quello incidentale condizionato.

4.-Infondato ne è il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la società si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, anche in relazione al D.Lgs. n. 37 del 2001, art. 1 e 2, sostenendo che l’art. 7 imponga un obbligo, cogente per l’amministrazione finanziaria, di allegazione, anche sotto forma di riproduzione, dell’atto al quale l’avviso di accertamento faccia riferimento.

Dispone il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, intitolato alla “notificazione e motivazione degli accertamenti”, che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Dunque, il ricevimento dell’atto richiamato da parte del contribuente fissa una presunzione legale assoluta di conoscenza di esso, che esclude l’obbligo di allegazione.

4.1.-La regola non è incrinata dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, il quale, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; infatti, un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (in termini, fra varie, Cass. 14 gennaio 2015, n. 407).

Nessun obbligo di allegazione doveva per conseguenza essere osservato nel caso in esame, in cui opera la presunzione assoluta di conoscenza, scaturente dal fatto, accertato in sentenza e non contestato, che “le risultanze della Guardia di Finanza -ossia l’atto del quale la società lamenta l’omessa allegazione- fossero già in possesso della parte”.

5.- Il secondo motivo del ricorso incidentale, calibrato sulla pretesa insufficiente motivazione della sentenza impugnata, è, invece, inammissibile, perchè non corredato del quesito di fatto, richiesto in base al regime ratione temporis vigente, in considerazione della data di deposito della sentenza, risalente al 6 novembre 2008, in cui l’art. 366-bis c.p.c. era vigente.

6.- In definitiva, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo, la sentenza impugnata va cassata; non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto del ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

La circostanza che l’orientamento di questa Corte si sia consolidato successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo comporta la compensazione delle spese inerenti alle fasi di merito. Quelle concernenti il giudizio di legittimità seguono, invece, la soccombenza.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto. Compensa le spese inerenti alle fasi di merito e condanna la società a rifondere quelle concernenti il giudizio di legittimità, che liquida in euro 7000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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