Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13978 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 08/07/2016), n.13978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3131/2012 proposto da:

CATOPLASTIC SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. BORSI 4, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI CATINI, rappresentato e difeso dall’avvocato

PASQUALE MERCONE giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 13/2011 della COMM. TRIB. REG. della CAMPANIA,

depositata il 25/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il resistente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Catoplastic s.r.l. ricorre per cassazione avverso la sentenza in atti della CTR Campania che, rigettandone il gravame, ha confermato la legittimità della ripresa a tassazione di ricavi, consistenti nei corrispettivi pattuiti per l’affitto di un ramo d’azienda, non esposti dalla società nella dichiarazione relativa al periodo di imposta 28.12.2005-31.12.2005 a seguito della sua messa in liquidazione.

La CTR, a confutazione del formulato motivo di gravame, ha fatto previamente rilevare che gli effetti dello scioglimento si determinano a far tempo dall’iscrizione della relativa causa nel registro delle imprese, sicchè, constando dalla certificazione camerale che l’atto di scioglimento fu presentato in data 10.1.2006, “la dichiarazione presentata per il periodo 28/12-31/12/2005 deve intendersi riferita all’intero periodo 2005, in quanto la società alla data del 10 gennaio 2006 non era da considerarsi in liquidazione”.

Il ricorso in parola illustrato con memoria fa leva su unico motivo di censura, al quale il fisco non ha inteso replicare riservandosi di partecipare alla discussione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso la ricorrente deduce, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omessa ed insufficiente motivazione in capo alla sentenza impugnata, atteso che il collegio partenopeo ha espresso nella specie “un giudizio di valore”, omettendo qualunque “riferimento alla documentazione versata in atti” e segnatamente al contratto di affitto del ramo d’azienda ed incorrendo “in una erronea percezione dei fatti posti a fondamento della decisione”, dato che l’accertamento si fonda sulla mancata esposizione dei corrispettivi e non sull’erronea presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società, sicchè tale ultima questione “giammai potrebbe di per sè esaurire l’esame dei fatti da cui dipende la legittimità/illegittimità dell’accertamento”.

2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.

2.3. Esso deduce in pari tempo un vizio di omessa ed insufficiente motivazione ed in tal modo mostra di obliterare l’insegnamento di questa Corte, che da tempo si è pronunciata per l’inammissibilità dei motivi di ricorso che attuano un’impropria mescolanza di censure osservando, tra l’altro, che non è consentita la prospettazione di un una medesima questione sotto profili tra loro incompatibili quali l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e ciò in quanto “l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (1704/16; 38/16;

19343/11).

2.4. E’ privo poi di autosufficienza poichè la ricorrente ha omesso di riprodurre gli elementi di giudizio asseritamente ignorati dal decidente. E la Corte ha già più volte ricordato che “il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto” (11594/16; 14784/15; 15952/07).

2.5. In ultimo la genericità che affligge costitutivamente la doglianza, laddove lamenta insieme che il decidente avrebbe espresso “un giudizio di valore” e sarebbe incorso “in una erronea percezione dei fatti”, racchiude in sè l’implicita postulazione di un rinnovato giudizio di fatto e la denuncia di un vizio revocatorio, l’una e l’altra, com’è noto, rigidamente preclusi al sindacato di legittimità che ha luogo in questa sede, atteso che, come è largamente noto, la Corte non è giudice del fatto sostanziale e che l’erroneità in fatto della decisione si vale di forme specifiche di impugnazione.

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il motivo di ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1500,00, oltre alle eventuali spese prenotate a debito e ad eventuali accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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