Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13976 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 08/07/2016), n.13976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14405/2011 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato ANNA CHIOZZA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCA SORBI,

LUIGI GINO ROSSI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/2010 della COMM. TRIB. REG. della

LOMBARDIA, depositata il 03/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CHIOZZA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nei confronti di T.C. venne emesso avviso di accertamento per l’anno 1999. Il ricorso del contribuente, con cui si lamentava l’applicazione acritica dei parametri, senza considerazione delle concrete caratteristiche dell’attività economica, venne accolto dalla CTP. L’appello dell’Ufficio venne accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sulla base della seguente motivazione.

Nella sentenza della CTP, in modo contraddittorio, “dopo aver ribadito l’applicabilità nel caso di specie del principio di cassa, si accolgono le doglianze del ricorrente facendo sostanzialmente riferimento al principio di competenza, laddove si giustifica lo scostamento dei redditi accertati per effetto della corresponsione ritardata dei compensi dovuti in relazione ad opere effettuate nell’anno 1999. E’ ben vero, come afferma l’appellante, che, a parte la mancanza di prova efficace su tale circostanza affermata dal ricorrente, se di tale dato si dovesse tenere conto, si dovrebbero logicamente e parallelamente espungere dai costi dichiarati nell’anno 1999 quelli riferiti ad opere svolte in anni diversi. Non si può sottacere poi che lo stesso ricorrente – dopo aver a sua volta affermato l’applicabilità nel caso del `principio di cassà –

fornisce prova di aver dichiarato compensi in misura inferiore a quelli effettivamente percepiti nell’anno, laddove indica di aver percepito oltre quella dichiarata per Lire 82.898.000 la somma di Lire 6.300.000 e quella a parziale frazionato compenso delle opere fatturate nell’anno successivo….Lo stesso deve dirsi per quanto attiene alla motivazione dell’avviso di accertamento, avendo l’Ufficio tenuto conto delle giustificazioni addotte dal contribuente, invitato ad esporle in contraddittorio”.

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Osserva il ricorrente, a proposito della seguente affermazione della CTR “è ben vero, come afferma l’appellante, che, a parte la mancanza di prova efficace su tale circostanza affermata dal ricorrente”, che in tal modo viene illegittimamente posto a carico del contribuente l’onere di giustificare lo scostamento dei redditi dichiarati da quelli determinati mediante l’applicazione dei parametri, laddove, al contrario, è l’Ufficio che deve fornire gli elementi, diversi dai parametri, atti a sorreggere le presunzioni in essi contenuti.

Aggiunge di avere comunque fornito all’Ufficio prima e al giudice poi tutta la documentazione atta a dimostrare la nullità dell’accertamento.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d). Osserva il ricorrente che la motivazione dell’avviso non può limitarsi alla mera applicazione dei parametri ma deve indicare gli elementi necessari a sorreggere le presunzioni, dimostrando l’applicabilità in concreto dello standard prescelto, e che non risultano prese in considerazione le motivazioni fornite dal contribuente volte a dimostrare le ragioni dello scostamento. Aggiunge che la discrasia alla base dello scostamento deriva dal fatto che, nonostante il mancato incasso di una serie di compensi maturati nel corso del 1999, per la realizzazione delle relative prestazioni nel medesimo anno erano stati sostenuti una serie di costi.

I motivi primo e secondo, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono infondati. Come affermato dalle sezioni unite (Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635; conforme Cass. 15 maggio 2013, n. 11633), la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente.

Il giudice tributario ha accertato che nel caso di specie si è svolto il contraddittorio. L’accertamento parametrico, svolto nel contraddittorio con il contribuente, non richiede ulteriori elementi per fondare l’accertamento tributario, ma è presunzione sufficiente a sostenere quest’ultimo. I motivi di censura sono errati sul piano giuridico perchè negano l’autosufficienza probatoria dell’accertamento parametrico, una volta che sia stato instaurato il contraddittorio, e la natura di presunzione idonea a spostare l’onere della prova sul contribuente.

Quanto al rilievo secondo cui non sarebbero state prese in considerazione le motivazioni fornite dal contribuente volte a dimostrare le ragioni dello scostamento trattasi di affermazione che si giustappone all’accertamento del giudice di merito, che ha invece concluso nel senso che l’Ufficio ha “tenuto conto delle giustificazioni addotte dal contribuente”, La censura, in mancanza di una denuncia di vizio motivazionale, non può essere presa in considerazione nella presente sede di legittimità.

Con il terzo motivo si denuncia errata motivazione. Osserva il ricorrente di avere provato che la somma di Lire 6.300.000 era stata incassata, fatturata e conteggiata nella dichiarazione dei redditi e che l’importo di Lire 1.700.000 non era mai stato percepito, mentre quello restante di Lire 15.000.000 non era stato incassato nel 1999.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente non denuncia un vizio motivazionale ma già nella rubrica della censura una “errata motivazione” che, alla stregua del contenuto del motivo, va intesa come errata valutazione della prova. Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (fra le tante Cass. 18 marzo 2011, n. 6288 e 3 agosto 2005, n. 16204).

PQM

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso, dichiarando inammissibile il terzo; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in Euro 5.250,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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