Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1397 del 23/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1397 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 13897-2012 proposto da:
DI MICHELE GENNARO DMCGNR61t7L245I, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CLITUNNO 51, presso lo studio
dell’avvocato FOCI FABIO, rappresentato e difeso dall’avvocato
BURCHI LUIGI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente nonchè contro
FALLIMENTO PISCHEDDA GIUSEPPE E FIGLI SAS DI
MARIO PISCHEDDA E DEL SOCIO ILLIMITATAMENTE
RESPONSABILE PISCHEDDA MARIO;

– intimati avverso la sentenza n. 41/2012 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI del 23/01/2012, depositata il 24/01/2012;

Data pubblicazione: 23/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI
GIACALONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

Ric. 2012 n. 13897 sez. M3 – ud. 07-11-2013
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44) R. G. n. 13897/2012
IN FATTO E IN DIRITTO
Nella causa indicata in premessa. é stata depositata la seguente relazione:
‘i. — La sentenza impugnata (App. Cagliari, 24/01/2012) ha, per quanto qui
rileva, rigettato l’appello proposto da Gennaro Di Michele contro la
sentenza emessa dal Tribunale di Lanusei, che aveva rigettato l’opposizione

provvisoriamente esecutivo in quanto fondato su cambiali sottoscritte
dall’opponente, ritenendo non provata la violenza patita dal Di Michele, da
sua moglie Antonella Barbara Lai e dal fratello Raffaele Di Michele, a causa
della condotta di Mario Pischedda, al fine della sottoscrizione delle
cambiali. Il giudice di secondo grado confermava le conclusioni della
sentenza di primo grado.
2. — Ricorre per Cassazione il Di Michele, con due motivi di ricorso; gli
intimati non hanno svolto attività difensiva. Le censure lamentate dal
ricorrente sono:
2.1 — Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3,
c.p.c.), per avere il giudice d’appello violato l’art. 112 c.p.c., travisando le
ragioni che conducevano l’odierno ricorrente ad impugnare la sentenza di
primo grado, in quanto fin dalla notificazione dell’atto di opposizione il Di
Michele aveva allegato e distinto la violenza (morale e psicologica) che lo
aveva indotto a sottoscrivere le cambiali contro la propria volontà, dalla
violenza fisica perpetrata dal Pischedda e non che la violenza fu perpetrata
tre giorni dopo la sottoscrizione delle cambiali, come ritenuto dalla Corte
Territoriale;
2.2 — Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 111, sesto comma, Cost.; art. 360,
n. 5, c.p.c.), conseguente alla violazione del principio della corrispondenza
tra chiesto e pronunciato, in quanto l’oggetto del giudizio di secondo grado
era stato delimitato dal Di Michele, eccependo il mancato esame, da parte
del Tribunale, degli atti del fascicolo penale che avrebbero confermato la
genesi illecita del rapporto contrattuale sottostante le cambiali forzatamente

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avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale stesso e

sottoscritte dal Di Michele e proverebbero che il Pischedda si era presentato
al proprio domicilio armato di una pala di ferro.
3. — Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
3.1 — Con i motivi di ricorso, il ricorrente lamenta, in sostanza, l’omessa
pronuncia su un capo dell’appello, ma impropriamente, anziché denunziare
un error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., deduce la violazione
dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.. Si deve ribadire, infatti, che l’omessa pronuncia

violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., costituisce una violazione della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato che deve essere fatta valere
esclusivamente a norma dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. e non come
violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ne’ tanto meno come
vizio della motivazione (Cass. n. 26598/09; 25825/09; 12952/07; 9707/03).
Peraltro, le doglianze ripropongono un’inammissibile “diversa lettura” delle
risultanze probatorie, senza tenere conto del consolidato orientamento di
questa S.C. secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai
giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato
ricostruttivo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al
giudice di merito, (Cass. n. 12690/10, in motivazione; n. 5797/05;
15693/04). Del resto, i vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non
possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle
prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte,
spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di
prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale
è assegnato alla prova (Cass. n. 6064/08; nonché Cass. n. 26886 /08 e
21062/09, in motivazione). L’esame dei documenti esibiti e delle
deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle
risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del
merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di
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avverso specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integrando una

prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare
le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni
singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo
ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione
adottata (Cass. n. 5328/07, in motivazione; 12362/06).
La sentenza impugnata ha ritenuto che la dedotta violenza fu perpetrata

e, in base a tale prospettazione, non valgono le altre ragioni esposte, riferite
al clima di paura che sarebbe stato generato dai comportamenti del
Pischedda, perché il Di Michele ha subito la dedotta violenza quando i titoli
erano già stati sottoscritti e l’art. 1427 c.c. prevede che la violenza sia
esercitata al fine di estorcere il consenso.
4. — Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai
sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai
difensori delle parti costituite.
Nell’imminenza dell’adunanza odierna il ricorrente ha prodotto
dichiarazione di rinunzia sottoscritta dal medesimo e dal suo procuratore.
Tale atto pur non essendo rituale, in quanto non comunicato alla
controparte, dimostra, tuttavia, la sopravvenuta mancanza di interesse del Di
Michele all’impugnazione. Ne deriva che il ricorso va dichiarato
inammissibile (Cass. n. 2259/2013).
Nulla per le spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa
sede;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2013.

dal Pischedda tre giorni dopo la sottoscrizione dei titoli di credito in esame

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