Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1397 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. III, 22/01/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1870-2018 proposto da:

TINTORIA V. SRL, elettivamente domiciliato in MILANO, PIAZZALE DE

AGOSTINI, 1, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BERNARDINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALL. (OMISSIS) SRL elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MESSINA

30, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CARATOZZOLO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3589/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 5 ottobre 2016 il Tribunale di Busto Arsizio rigettava l’opposizione all’esecuzione proposta dalla debitrice Tintoria V. S.r.l. a due atti di pignoramento verso terzi notificati dalla creditrice (OMISSIS)e S.r.l. a seguito di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano per il pagamento della somma di Euro 141.962,56 quale corrispettivo di fornitura di gas naturale. Tintoria V. aveva opposto che sarebbe intervenuta una transazione riduttiva del credito di (OMISSIS) S.r.l. alla somma di Euro 35.000; il Tribunale riteneva mancante la prova della transazione.

Avendo Tintoria V. proposto appello, cui resisteva – essendo stato dichiarato il fallimento in data 3 novembre 2016 – il Fallimento (OMISSIS) S.r.l., la Corte d’appello di Milano lo rigettava con sentenza del 2 agosto 2017.

2. Ha presentato ricorso Tintoria V. sulla base di tre motivi. Si è difeso il Fallimento (OMISSIS) S.r.l. con controricorso.

Essendo stata proposta la trattazione della causa ex art. 380 bis c.p.c., la ricorrente – di cui nelle more si era costituito un nuovo difensore – depositava anche memoria.

All’esito dell’adunanza del 23 maggio 2019, la causa veniva rimessa a pubblica udienza, in relazione alla quale la ricorrente depositava ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Come già rilevato, il ricorso si articola in tre motivi.

1.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1326,1967,2729 c.c. e art. 116 c.p.c. nonchè omessa applicazione del principio di apparenza del diritto e del principio di affidamento incolpevole.

La censura richiama un passo dell’impugnata sentenza in cui si dichiara la mancanza di un atto scritto proveniente dalla creditrice opposta attestante la volontà di stipulare una transazione, reputando sussistente soltanto la prova del comportamento della creditrice nel senso “della volontà di riscuotere per intero il credito”; perciò dagli atti non sarebbe stato possibile desumere alcuna volontà della creditrice di far propria la proposta di transazione formulata per posta elettronica da tale B.F. – ad essa estraneo – rilevandosi inoltre che la stessa appellante aveva nell’atto d’appello riconosciuto che l’amministratore unico della creditrice era tale dottor G.. La corte territoriale altresì riconosce che la società in cui operava il suddetto B. e la creditrice erano collegate, osservando però che “da tale collegamento non discende, diversamente da quanto prospettato dall’appellante, alcuna possibilità di deroga ai principi generali che regolano il potere di rappresentanza nelle società di capitali” (la creditrice era una società a responsabilità limitata), non potendosi neppure applicare, come prospettato invece dall’appellante, “il principio dell’apparenza del diritto”, perchè la e-mail sottoscritta dal B. proveniva dalla società in cui questi operava e non dalla società creditrice, “e vi era espressamente menzionata la necessità, per il perfezionamento dell’accordo, di firma da parte di altro soggetto”.

Tanto premesso, si sostiene che il giudice d’appello abbia “fatto malgoverno delle norme” indicate nella rubrica del motivo, poichè “l’esistenza del mandato a transigere (latamente inteso, nei termini di esprimere la volontà societaria nel senso di proporre e far proprio il contenuto dell’accordo transattivo raggiunto) in capo al signor B. non esigeva la forma scritta ad probationem, ma la sua esistenza poteva ben essere desunta anche da semplici elementi presuntivi, precisi e concordanti”. Il che si sarebbe verificato nel caso in esame in quanto, come avrebbe riconosciuto la stessa corte territoriale laddove rileva la pacifica circostanza che le due società (quella per cui operava B. e quella creditrice) erano collegate, risulterebbe evidente che l’attuale ricorrente avrebbe “interloquito con soggetti”, in particolare con il B., “che apparivano esprimere chiaramente la volontà” della creditrice, società con “comune denominazione” rispetto a quella in cui lavorava il B. – che era Energy T.I. Industrial Group S.p.A., mentre la creditrice era (OMISSIS) S.r.l. -. Quindi la corte territoriale sarebbe censurabile nella sua valutazione negativa sull’inapplicabilità del principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole da parte dell’attuale ricorrente.

Il motivo in seguito si sviluppa in ulteriori illustrazioni delle circostanze che sarebbero emerse in ordine alla vicenda, per poi addurre che l’attuale ricorrente avrebbe maturato un “ragionevole convincimento circa la piena legittimazione del detto B.” a esprimere la volontà della società creditrice, considerato anche l’art. 2475 bis c.c., comma 2, per cui “le limitazioni al potere di rappresentanza che risultano dall’atto costitutivo o dallo statuto, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società”.

D’altronde, per la transazione la forma scritta sarebbe “richiesta soltanto quando la stessa abbia ad oggetto controversie relative a rapporti giuridici concernenti beni immobili, diritti reali immobiliari e rapporti assimilati”, e l’esistenza del mandato a transigere e dell’eventuale ratifica di transazioni riguardanti controversie su rapporti obbligatori non necessita forma scritta, potendo essere desunta da elementi presuntivi. Nel caso di specie il giudice d’appello avrebbe dovuto applicare il “principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quello più generale della tutela dell’affidamento incolpevole”, applicabile appunto quando, “indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell’art. 1393 c.c., vi è chiaramente stata la buona fede del terzo (Tintoria V. Srl) che ha concluso una transazione con il (presunto) falso rappresentante”. Per di più, vi sarebbe stato pure “il comportamento colposo/omissivo del rappresentato quantomeno nella misura in cui ha omesso di vigilare sull’operato di un soggetto, chiaramente inserito nella struttura aziendale, al quale è stato concesso di esternalizzare la volontà sociale – tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza fosse stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente”.

La ricorrente ricorda poi che la transazione di cui si tratta necessita della forma scritta solo ad probationem e non ad substantiam, onde non sarebbe pertinente il richiamo del giudice d’appello alla necessità, per il perfezionamento dell’accordo, della firma di un altro soggetto, in quanto la firma del B. sarebbe già stata una proposta, cui sarebbe seguita l’accettazione di Tintoria V.; e il tenore della proposta – “se ok faccio firmare subito” – sarebbe “chiaro nel subordinare la conclusione della transazione alla mera accettazione dell’odierna ricorrente”, poi in effetti comunicata, “ponendosi l’apposizione della firma come una conseguenza… puramente “meccanica”, ma in ogni caso inidonea ad incidere sul raggiunto incontro volontà delle parti, secondo il classico schema di cui all’art. 1326 c.c., e sulla prova della conclusione dell’accordo transattivo raggiunto”.

Seguono altre argomentazioni fattuali nonchè un ulteriore riferimento all’art. 1967 c.c., per qualificare raggiunta la prova scritta, trascrivendo quindi quello che sarebbe stato l’atto di transazione allegato alla lettera trasmessa per via elettronica dal B. (ricorso, pagine 29-31), che avrebbe giustificato l’opposizione all’esecuzione dell’attuale ricorrente.

1.2 Il motivo richiama, come si è visto nell’ampia illustrazione sin qui fornita, principi di diritto – in particolare, la questione dell’apparenza, dell’affidamento correlato e della interpretazione dell’art. 1967 c.c. -; però, come evidenzia proprio l’esposizione appena offerta, esso si basa in realtà su una valutazione alternativa degli elementi probatori diretta a dimostrare che sarebbe stata raggiunta la prova della transazione.

Invero, quel che si imputa alla corte territoriale in termini di violazione dei principi di diritto invocati deriva dall’avere la corte ritenuto insufficiente il compendio probatorio per reputare provata la transazione. E non a caso, a ben guardare, il contenuto del motivo in esame corrisponde, nella sua effettiva sostanza, al contenuto del primo motivo del gravame, come d’altronde emerge dall’accurata motivazione che il giudice d’appello ha dedicato proprio a tale censura (sentenza, pagine 4-5), tra l’altro affermando – con valutazione di fatto, e dunque in questa sede incensurabile – la sussistenza di “prova di comportamento della creditrice (successiva allo scambio di mail citato) univocamente dimostrativo della volontà di riscuotere per intero il credito… Allo scambio di mail intervenuto il 16 aprile 2015 ha fatto seguito la richiesta di pagamento dell’intero importo in data 22 maggio 2015. Non è dunque possibile desumere in atti alcuna volontà della creditrice di fare propria la proposta di transazione formulata nella mail a firma B….”.

E’ chiaro che tutte le argomentazioni in jure che il motivo dispensa traggono origine dall’asserto, di sostanza appunto fattuale, che sussistesse “l’apparenza”, laddove, come appena si è visto, la corte territoriale reputa e conseguentemente afferma che tale “apparenza” non poteva certo essersi formata, considerata la condotta della creditrice in siffatta prossimità temporale alla proposta del B..

Nè, d’altronde, l’asserto di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c. assume una valenza superiore a quella di schermo, in realtà, per una richiesta di valutazione alternativa dell’esito probatorio propria di un terzo grado di merito, come dimostra, altresì e ancora, l’intera trascrizione (ricorso, pagine 29-31) dell’allegato alla e-mail del B., che, ad avviso della ricorrente, sarebbe appunto (come già addotto in premessa, a pagina 6 del ricorso, prima di un’altra integrale trascrizione in detta pagina e in quella seguente) “il testo della transazione vera e propria”.

Il motivo, dunque, perseguendo un terzo grado di merito, patisce una natura di evidente inammissibilità.

2.1 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè, denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Sostiene la ricorrente che la sentenza sia censurabile anche per avere rigettato la domanda, proposta “in via subordinata e riconvenzionale dall’odierna resistente” – evidente errore materiale, in quanto, come si apprende anche dal prosieguo, si tratta di “domanda svolta in primo grado dall’odierna ricorrente (e tale ribadita in appello)” -, diretta ad accertare il credito di Tintoria V. verso controparte nella misura di Euro 105.257,15 e di cui alla fattura n. (OMISSIS) emessa da Tintoria V. “a titolo di costi da questa sostenute in seguito all’acclarato inadempimento contrattuale avversario (cd. fornitura in default)”.

Questa domanda sarebbe stata rigettata sulla base del fatto che il giudice di prime cure avrebbe rilevato che la fattura non era prova di alcun controcredito, non essendo titolo esecutivo, osservando al riguardo il giudice d’appello: “L’affermazione non può che essere condivisa e, in ogni caso, stante la contestazione della controparte, l’eccezione di compensazione non poteva essere disattesa, difettando i presupposti per l’operatività dell’istituto invocato”.

Ad avviso della ricorrente la corte territoriale non avrebbe “in realtà esaminato la domanda, avendo apoditticamente e unilateralmente ritenuto che il titolo sul quale la Tintoria V. Srl aveva basato la propria domanda subordinata fosse una “eccezione di compensazione” “, mai proposta: vi sarebbe pertanto una “evidente discrasia” tra il chiesto e il pronunciato, che si sarebbe “tramutata in una motivazione solo apparente”, nonchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Infatti l’attuale ricorrente aveva chiesto soltanto il pagamento di Euro 105.257,15, quale danno per i maggiori costi di fornitura derivato dall'”acclarato inadempimento contrattuale” di controparte; e nelle sue difese avrebbe “unicamente dedotto, per ciò che concerneva la presunta “compensazione”, che la stessa poteva dirsi implicita nel tenore della transazione raggiunta (risultando la somma di Euro 35.000,00 quale somma residua a seguito della compensazione, appunto, tra i rispettivi controcrediti di Euro 141.000,00 ed Euro 105.000,00)”: il che sarebbe stato però “una mera argomentazione difensiva” diretta a rimarcare “come il contenuto della transazione fosse perfettamente coerente con il quadro fattuale descritto dalla Tintoria V.” e a spiegare come nella transazione si sarebbe raggiunto l’importo di Euro 35.000. Ma proprio per il caso di mancato riconoscimento della transazione sarebbe stata proposta la relativa domanda subordinata, il cui accertamento e la conseguente condanna di controparte il giudice d’appello non avrebbe effettuato.

Quanto poi all’avere la corte territoriale ritenuto non provato il credito perchè esso non sarebbe un titolo esecutivo, davvero sarebbe stato mancante un titolo giudiziario, ma la domanda sarebbe stata a sua volta preordinata proprio ad ottenerlo, mediante l’accertamento e la correlativa condanna. Del tutto illogico sarebbe dunque affermare che una domanda non è fondata solo perchè manca di un titolo giudiziario.

D’altronde sarebbe stata proposta in primo e in secondo grado “istanza istruttoria svolta all’eventuale accertamento, per il tramite di consulenza tecnica d’ufficio, del contro-credito”: si richiamano le precisate conclusioni in appello nella parte in cui era stata effettivamente chiesta la disposizione di consulenza tecnica d’ufficio per quantificare “gli extra-costi” che l’appellante avrebbe sostenuto a causa dell’inadempimento contrattuale dell’appellata, per lamentare che la corte territoriale avrebbe “implicitamente disatteso l’istanza, senza motivazione alcuna”, fondando il rigetto della domanda solo “perchè il credito/fattura non è titolo esecutivo”. La Corte d’appello avrebbe quindi “del tutto omesso di esaminare la richiesta istruttoria”, la quale, “alla luce del materiale probatorio acquisito”, vale a dire “fattura di addebito degli extra-costi, prospetto di calcolo, e fatture di raffronto”, sarebbe stata “invece fondata e verosimilmente determinante ai fini del decidere”.

2.2.1 Il motivo è palesemente infondato laddove adduce che il giudice d’appello avrebbe v.to l’art. 112 c.p.c. dichiarando la sussistenza di un’eccezione: si tratta, invero, di una qualificazione che il giudice d’appello ha effettuato in relazione alle conclusioni di Tintoria V., interpretando come insita nella domanda subordinata anche la presenza di una – conseguente eccezione di compensazione. E’ agevole intendere, infatti, come la corte abbia ritenuto che, se fosse stata accolta tale domanda, la condanna dell’opposta a pagare all’opponente la somma di Euro 105.257,15 o la diversa somma di giustizia avrebbe decurtato la debenza di Tintoria V..

A prescindere, quindi, dalla fondatezza o meno di questa qualificazione, si deve riconoscere che la v.zione dell’art. 112 c.p.c. non ricorre.

2.2.2 Il motivo, come emerge dalla sintesi sopra tracciata, è peraltro composto da due censure. Oltre a quella per cui è stato invocato l’art. 112 c.p.c., sussiste infatti anche una censura relativa al mancato accertamento del credito, e ciò sia per la conformazione della motivazione laddove segnala (condividendo quanto rilevato dal giudice di prime cure) che la fattura addotta da Tintoria V. non è titolo esecutivo, sia per non avere il giudice d’appello disposto, senza darne motivazione, la consulenza tecnica d’ufficio che “appariva invece fondata e verosimilmente determinante ai fini del decidere”.

Sotto il primo profilo, la censura tenta senza pregio alcuno di reintrodurre il testo previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, tra l’altro, concerne soltanto l’apparato motivazionale relativo al fatto, e non al diritto, nel cui caso rileva soltanto l’esattezza o meno del principio applicato.

D’altronde, è del tutto evidente che il passo della motivazione in cui la corte territoriale dichiara di condividere l’affermazione del Tribunale che “ha rilevato che la fattura emessa da Tintoria V. non costituisce prova di alcun controcredito poichè non è un titolo esecutivo” (affermazione, appunto, in jure, che avrebbe dovuto semmai essere censurata – appunto – come errore di diritto, mentre inammissibilmente qui lo è come vizio motivazionale) costituisce una ratio decidendi che non è l’unica adottata dalla corte territoriale, la quale, subito dopo, aggiunge: “… e, in ogni caso, stante la contestazione della controparte, l’eccezione di compensazione non poteva che essere disattesa, difettando i presupposti per l’operatività dell’istituto invocato”. Al riguardo, avrebbe dovuto allora essere censurata, se mai si ritenesse fosse proposta una censura in jure alla precedente ratio decidendi (il che, come si è appena visto, non è), anche la seconda ratio decidendi, censura insussistente che apporta pertanto inammissibilità pure sotto questo profilo.

L’ulteriore doglianza, poi, relativa alla mancata disposizione di consulenza tecnica d’ufficio ha una natura ictu oculi fattuale, in quanto persegue dal giudice di legittimità una valutazione sul “materiale probatorio acquisito in giudizio” per giungere a ritenere la richiesta di consulenza tecnica come qualificata dalla ricorrente: “appariva fondata e verosimilmente determinante ai fini del decidere”.

Per di più, è del tutto evidente che le due rationes decidendi di cui il giudice d’appello si avvale per la domanda subordinata – oggetto del secondo motivo d’appello -, a prescindere dalla loro fondatezza o meno (e a prescindere altresì dagli effetti della dichiarazione del fallimento dell’appellata sopravvenuta nelle more del giudizio, poco dopo la sentenza di primo grado), hanno implicitamente assorbito l’istanza istruttoria orientandosi inevitabilmente senso della sua superfluità.

Il motivo, in conclusione, è del tutto privo di consistenza.

3.1 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1243 c.c.

Qualora si ritenesse che il giudice d’appello abbia correttamente qualificato la domanda di Tintoria V. come eccezione di compensazione anzichè domanda di accertamento e condanna di Euro 105.257,16, il motivo richiama ancora il passo della motivazione dell’impugnata sentenza per cui il giudice di prime cure “ha rilevato che la fattura emessa da Tintoria V. non costituisce prova di alcun controcredito poichè non è un titolo esecutivo. L’affermazione non può che essere condivisa e, in ogni caso, stante la contestazione della controparte, l’eccezione di compensazione non poteva che essere disattesa, difettando i presupposti per l’operatività dell’istituto invocato”. E al riguardo si adduce che in tal modo il giudice d’appello avrebbe ritenuto inapplicabile l’istituto della compensazione giudiziale ex art. 1243 c.c. erroneamente in quanto, “nel caso di specie, risulta dagli atti come non sia mai stato in contestazione l’an del controcredito vantato dalla Tintoria V.”, che sarebbe quindi certo, “essendo acclarata la volontà di controparte di farsi carico degli extra-costi” sostenuti da Tintoria V. a causa del suo inadempimento; e la certezza del controcredito non sarebbe “mai stata in contestazione”, sussistendo quindi i presupposti per applicare l’art. 1243 c.c.

Inoltre, lamenta la ricorrente che il giudice d’appello “alcunchè spiega” in ordine alla sua affermazione “che la compensazione non avrebbe potuto avere luogo unicamente in ragione del fatto che il controcredito opposto non era “titolo esecutivo” “, così subordinando l’applicabilità dell’istituto ad un requisito non richiesto dalla norma.

A ciò si aggiunge che, “a tutto concedere”, la pretestuosa contestazione di controparte riguarderebbe solo il quantum del controcredito, “ma, anche in tale ipotesi, le evidenze processuali sopra richiamate consentivano di ritenere provato” il credito della ricorrente per l’intero ammontare, “come da elementi indiziari, precisi e concordanti, e quale implicitamente deducibile dal contenuto della transazione”, che, se anche non valesse come tale, rappresenterebbe comunque “un atto ricognitivo del credito vantato dall’odierna ricorrente”.

Se poi fosse il credito di quest’ultima almeno pari all’importo di Euro 37.008,12, avendo la stessa controparte nel documento 35 del fascicolo di primo grado dichiarato di essere disponibile a detrarre tale somma dal proprio credito quale indennizzo per gli extracosti, “e quindi sospendendo il giudizio, con riserva di procedere alla liquidazione dell’eventuale maggior credito…, operazione che.. si sarebbe potuta esplicare mediante il mero raffronto tra le condizioni contrattuali pattuite… e i maggiori oneri sostenuti dalla Tintoria V…., il tutto come da documentazione acquisita in atti”. Il giudice d’appello però non avrebbe spiegato “nel ritenere non applicabile l’istituto della compensazione giudiziale, in ragione dell’assenza di un contrapposto titolo esecutivo”.

3.2 Il motivo si presenta in certi punti contraddittorio (come, appunto, nella frase in cui da un lato si afferma che il giudice d’appello non avrebbe spiegato, e subito dopo si riconosce che avrebbe ritenuto inapplicabile l’istituto della compensazione “in ragione” dell’assenza di titolo esecutivo) e anche non del tutto comprensibile (come nella frase, sopra riportata in massima parte, sulla sospensione del giudizio).

Per quel che se ne può intendere, comunque, appare una censura di sostanza fattuale, in quanto verte in ordine a una diversa valutazione degli elementi probatori, che dovrebbe portare appunto alla certezza del controcredito. L’inammissibilità risulta pertanto evidente.

4. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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