Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13967 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 08/07/2016), n.13967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 1865/13 proposto da:

Istituto Minime Suore del Sacro Cuore, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II, presso lo Studio Grez & Associati

s.r.l.,

rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Giovannelli, giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale (già Comune di Roma), in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via del

Tempio di Giove 21, presso l’Avvocatura di Roma Capitale,

rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Rossi, giusta procura

speciale per scrittura autenticata dal Vice Segretario Generale di

Roma Capitale, Dott.ssa Mariarosa Turchi dell’11 maggio 2016;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

(Roma), Sez. 37, n. 139/37/12 del 14 maggio 2012, depositata il 29

maggio 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 20 maggio 2016

dal Relatore Cons. Dott. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Mauro Giovannelli per la parte ricorrente e l’avv.

Domenico Rossi per la parte controricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale il Comune chiede all’Istituto religioso il pagamento dell’ICI per l’anno 2002 in relazione ad un immobile adibito a ” (OMISSIS)”, in quanto, essendo ivi esercitata un’attività ricettiva con modalità commerciali, non spettava l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), per difetto del requisito oggettivo, pur sussistendo il requisito soggettivo.

La Commissione adita rigettava il ricorso dell’Istituto riconoscendo il carattere commerciale dell’attività svolta nell’immobile in questione. La decisione era confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale l’Istituto propone ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune di Roma resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Preliminarmente occorre valutare l’eccezione di giudicato esterno formulata dall’ente religioso nella memoria ex art. 378 c.p.c..

1.1. Il giudicato al quale l’ente fa riferimento – formatosi successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione in esame (come da attestazione del 12 febbraio 2015 prodotta in allegato alla memoria) – è quello relativo ad una sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la n. 736/01/13 depositata il 28 novembre 2013.

1.2. Tale sentenza ha accertato, con riferimento agli anni d’imposta 2003, 2004 e 2005, che il complesso immobiliare cui si riferisce la pretesa tributaria, analoga a quella esercitata dallo stesso ente locale nel presente giudizio è adibito in parte a “convento delle suore” e in parte a “(OMISSIS)”: ha, quindi, escluso, sulla base di un accertamento di fatto, che ricorressero i presupposti per il diritto all’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), per questa seconda attività, mancandone i requisiti (in particolare il “requisito oggettivo”), mentre ha riconosciuto che l’esenzione spettasse per la porzione immobiliare destinata a “convento delle suore”. Conseguentemente ha demandato all’ente locale di ricalcolare l’imposta “con riferimento alle unità dell’immobile effettivamente destinate a (OMISSIS) e quindi escludendo dal computo l’unità oggetto di frazionamento destinata a convento”.

2. Questo accertamento, coperto poi dall’autorità della cosa giudicata, è invocato dall’istituto ricorrente per trarne speciale sostegno a quanto dedotto nel presente giudizio nel terzo motivo di ricorso, con il quale l’Istituto lamenta, sotto il profilo della violazione di legge (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 2) e del vizio di motivazione, la mancata considerazione da parte del giudice di merito del fatto che l’attività di “(OMISSIS)” era esercitata solo in una delle due unità immobiliari oggetto dell’accertamento.

3. L’eccepito giudicato non osta, tuttavia, alla valutazione della fattispecie oggetto del presente giudizio perchè quanto accertato non concerne una “qualità permanente”: le modalità di esercizio di una determinata attività, infatti, specialmente se non ne siano date specifiche prove, ben possono essere diverse se riferite a periodi di imposta temporalmente diversi.

4. Potrebbe, peraltro, osservarsi che il giudicato invocato non opererebbe (e non potrebbe operare) solo per la parte relativa alla distinzione delle unità immobiliari rispetto alle attività nelle stesse esercitate, ma opererebbe anche per la parte relativa all’esclusione del diritto all’esenzione di cui è causa per la porzione immobiliare destinata a “(OMISSIS)”: sicchè la richiesta di applicazione del giudicato da parte dell’Istituto non potrebbe che intendersi come superamento delle ragioni di impugnazione dedotte con il primo ed il secondo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente ha lamentato, sotto differenti profili, che il giudice di merito non abbia applicato correttamente la disposizione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i.

5. Superata, quindi, l’eccezione di giudicato esterno sollevata con la memoria ex art. 378 c.p.c., possono esaminarsi i motivi di ricorso.

6. Con il primo motivo di ricorso, l’Istituto lamenta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, che il giudice di merito non abbia applicato la disposizione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), nella sua formulazione originaria, alla luce della quale è sufficiente per l’esenzione l’esistenza di un requisito soggettivo, nella specie non controverso, e di un requisito oggettivo consistente nell’esercizio di una serie di attività elencate nella norma senza alcun ulteriore attività valutativa (commerciale o non commerciale). Inoltre, il giudice di merito avrebbe omesso qualsiasi valutazione in ordine all’attività specifica – (OMISSIS) – svolta nell’immobile, considerata attività ricettiva “per definizione non commerciale” alla luce delle disposizioni di cui alla L. n. 326 del 1958 e L. n. 217 del 1983.

6.1. Il motivo non è fondato sulla base del costante orientamento di questa Corte espresso con riferimento ad analoghe fattispecie: “In tema d’imposta comunale sugli immobili, deve essere escluso dall’esenzione un fabbricato nel quale un ente religioso svolga un’attività a dimensione imprenditoriale anche se non prevalente essendo la predetta esenzione prevista in via generale solo per gli immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana mentre per gli immobili in cui si svolgono attività diverse dalla religione e dal culto è necessario verificare se tali attività, ancorchè esercitate da enti religiosi siano svolte per lo scopo istituzionale protetto ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) nella formulazione anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. n. 248 del 2005. (Nella fattispecie l’esenzione è stata esclusa per un fabbricato gestito da un ente religioso destinato a “casa religiosa di ospitalità”)” (Cass. n. 16728 del 2010; nello stesso senso v. anche Cass. n. 23584 del 2011 e Cass. n. 5041 del 2015).

6.2. In buona sostanza, secondo la Corte, “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’imposta prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), è subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 14226 del 2015).

6.3. Si tratta, quindi, di un accertamento di fatto da parte del giudice circa l’esercizio con modalità “non commerciali” di una determinata attività che secondo la norma potrebbe astrattamente considerarsi esente: questa Corte non ha mancato di evidenziare che “la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino “a priori” il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass n 5485 del 2008).

6.4. Irrilevanti sono i riferimenti che parte ricorrente svolge in ordine alle disposizioni normative che regolerebbero la fattispecie “(OMISSIS)”, nessuna delle quali definisce (nè può definire) “non commerciale” la predetta attività ai fini dell’esenzione disposta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i); ed irrilevante è anche il riferimento alla sentenza n. 26657 del 2009 di questa Corte che riguarda tutt’altra fattispecie, concernendo essa, invece, “la destinazione dell’immobile di cui è causa ad abitazione della comunità religiosa composta da membri dell’ente”.

7. Con il secondo motivo, l’Istituto lamenta, sotto il profilo della violazione di legge (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 2, L. n. 217 del 1983, art. 6) e sotto il profilo del vizio di motivazione, che il giudice di merito non avrebbe valutato, come avrebbe dovuto:

a) l’andamento economico dell’attività (in perdita), b) i prezzi dell’alloggio (calmierati), c) la discontinuità dell’attività (sospesa nei mesi di alta stagione), d) il numero limitato degli utenti del servizio (parenti delle suore, fedeli, ecc.).

7.1. Sul punto la parte ricorrente fa riferimento alla Circolare del Ministero delle Finanze n. 2/DF del 26 gennaio 2009, con la quale sono stati in qualche modo definiti i confini dell’esercizio commerciale di un’attività ai fini dell’esclusione dell’esenzione di cui è causa.

8. Il motivo non è fondato. La circolare ministeriale citata concerne una trasformazione della disciplina dell’esenzione che è successiva a quella prevista dall’originaria formulazione della norma, che la stessa parte ricorrente reclama: tuttavia la circolare in questione oltre a mettere l’accento sul fatto che le c.d. “rette”, devono essere di importo significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato (con il chiaro richiamo ala necessità che l’attività in questione non alteri il regime di libera concorrenza, per evitare che l’esenzione tramuti in “aiuto di stato”), specifica che: “La prova delle condizioni che giustificano il riconoscimento dell’esenzione, come sostiene ormai la consolidata giurisprudenza (Cfr. fra tutte: Cass. n. 555 del 1994; n. 14992 del 2000; n. 12749 del 2 settembre 2002; n. 21728 del 17 novembre 2004; n. 7905 del 15 aprile 2005, n. 20776 del 26 ottobre 2005), spetta a chi sostiene di averne diritto. Detto assunto trova fondamento sui principi che regolano l’incidenza dell’onere probatorio stabiliti dall’art. 2697 c.c., per cui “spetta al soggetto che fa valere il diritto ad un’agevolazione tributaria, che costituisce deroga al normale regime di imposizione… di fornire la prova che ricorrono in concreto le condizioni previste dalla legge per poter godere della… esenzione” (Cass. n. 14146 del 24 settembre 2003)”.

8.1. Questo è il punto. Dal ricorso non appare censurato nè che il giudice di merito abbia erroneamente negato che l’istituto religioso avesse assolto l’onere della prova circa la sussistenza in concreto delle condizioni necessarie per il godimento dell’esenzione di cui è causa, nè in qual modo (e in quale fase) la parte ricorrente avesse eventualmente assolto a tale onere: tanto più ciò sarebbe stato necessario, stante che l’impugnazione dell’atto impositivo è stata respinta, con motivazioni pressappoco identiche, in primo grado e in appello. Al contrario il ricorso si esaurisce in affermazioni generiche e apodittiche nel quadro di un’impugnazione che manifestamente tende ad ottenere una inammissibile revisione del merito, facendo prevalere le valutazione della fattispecie proprie del ricorrente su quelle ritenute dal giudicante.

9. Analoghe considerazioni possono svolgersi in ordine al terzo motivo di ricorso, con il quale l’Istituto lamenta, sotto il profilo della violazione di legge (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 2) e del vizio di motivazione la mancata considerazione da parte del giudice di merito del fatto che l’attività di “(OMISSIS)” era esercitata solo in una delle due unità immobiliari oggetto dell’accertamento.

9.1. Le argomentazioni della parte ricorrente, che peraltro sono relative a circostanze (frazionamento) successive all’annualità accertata (pur sostenendosi una supposta retroattività della denuncia di variazione), non sono idonee a superare – con circostanziati riferimenti ad una attività probatoria illegittimamente pretermessa – la chiara affermazione del giudicante così formulata: “dalle argomentazioni addotte dalle parti si evince che trattasi di immobili aventi destinazione di residenza religiosa delle suore, scopo di scuola privata e di ricezione turistico-

religiosa non distinguendo specificamente la specifica destinazione d’uso d’ogni singolo immobile, nè il periodo dell’anno l’attività prevalente e l’uso dell’immobile stesso”. Un’altra ragione che rende evidente come non potesse darsi positivo ingresso nel giudizio all’eccezione di giudicato esterno già esaminata.

10. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre spese forrettarie 15% e oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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