Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13966 del 08/07/2016

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 08/07/2016), n.13966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 25300/12 proposto da:

Comune di Cavallino-Treporti, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte

di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Trevisan,

con studio in Venezia, Cannaregio 5677, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Opera Diocesana per l’Assistenza Religiosa – O.D.A.R., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma Viale Regina Margherita 1, presso l’avv. Massimiliano De

Stefano, rappresentata e difesa dagli avv.ti Innocenzo Megali e

prof. Maurizio Logozzo, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

(Venezia-Mestre), Sez. 14, n. 34/14/12 del 15 febbraio 2012,

depositata il 22 marzo 2012, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 20 maggio 2016

dal Relatore Cons. Dott. Raffaele Botta;

Udito l’avv. Maurizio Trevisan per il Comune ricorrente e l’avv.

Innocenzo Megali per la parte controricorrente;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso,

preliminarmente rigettata l’eccezione di giudicato esterno.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini ICI per l’anno 2003 relativamente al complesso turistico denominato “(OMISSIS)” dell’Opera Diocesana per l’Assistenza Religiosa, la quale opponeva l’illegittimità delle sanzioni irrogate e della pretesa tributaria in ragione della peculiarità dell’attività ivi svolta.

La Commissione adita rigettava il ricorso affermando la legittimità dell’atto impositivo non essendo stata provata la prevalenza di operazioni non commerciali nell’attività dell’ente. La decisione era riformata in appello con la sentenza in epigrafe, la quale riconosceva la sussistenza nel caso del requisito soggettivo e del requisito oggettivo richiesti dalla legge per il riconoscimento dell’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i).

Avverso tale sentenza l’ente locale propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati con memoria. L’ente religioso resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Preliminarmente occorre valutare l’eccezione di giudicato esterno formulata dall’ente religioso nella memoria ex art. 378 c.p.c..

1.1. Il giudicato al quale l’ente fa riferimento – formatosi successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione in esame (come da attestazione del 7 ottobre 2015 prodotta in allegato alla memoria) – è quello relativo ad una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia – la n. 377/13/14 depositata il 10 settembre 2014 – che avrebbe riconosciuta l’esenzione ICI per l’anno 2010 relativamente alla medesima struttura ricettiva.

2. L’eccepito giudicato non osta, tuttavia, alla valutazione della fattispecie oggetto del presente giudizio sia perchè quanto accertato non concerne una “qualità permanente” – le modalità di esercizio di una determinata attività, infatti, specialmente se non ne siano date specifiche prove, ben possono essere diverse se riferite a periodi di imposta diversi, in particolare se così distanti nel tempo (circa sette anni) com’è nel caso in questione –

sia perchè il giudicato stesso è fondato (decisivamente) su una norma – il D.L. n. 223 del 2006, art. 39 – che secondo il costante orientamento di questa Corte non è applicabile retroattivamente, stante il suo carattere innovativo (v. Cass. n. 14795 del 2015; nello stesso senso in precedenza Cass. n. 14530 del 2010).

3. Peraltro la suddetta norma è stata radicalmente modificata con il D.L. n. 1 del 2012, art. 91 bis, convertito dalla L. n. 27 del 2012, del quale è stato emanato un “regolamento di attuazione” con D.M. 19 novembre 2012, n. 200, che definisce in modo rigoroso, e in una prospettiva esegetica di carattere restrittivo, quali siano i requisiti per l’esercizio con modalità non commerciali delle attività svolte dagli enti ecclesiastici ai fini dell’esenzione di cui si discute.

4. Passando all’esame del ricorso, va rilevato che con il primo motivo l’ente locale denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in relazione all’art. 73 T.U.I.R. (già art. 87, comma 1, lett. c), in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto erroneamente sufficienti al diritto all’esenzione le circostanze che l’Opera Diocesana fosse un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (e per questo fosse un soggetto compreso tra quelli considerati dall’art. 73 T.U.I.R. e quindi in possesso del requisito soggettivo richiesto dalla norma di esenzione) e che l’attività ricettiva svolta nel ” (OMISSIS)” avesse “lo scopo di migliorare le condizioni di vita di categorie particolarmente svantaggiate”.

5. Il motivo è fondato sulla base del costante orientamento di questa Corte espresso con riferimento ad analoghe fattispecie: “In tema d’imposta comunale sugli immobili, deve essere escluso dall’esenzione un fabbricato nel quale un ente religioso svolga un’attività a dimensione imprenditoriale anche se non prevalente essendo la predetta esenzione prevista in via generale solo per gli immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana mentre per gli immobili in cui si svolgono attività diverse dalla religione e dal culto è necessario verificare se tali attività, ancorchè esercitate da enti religiosi siano svolte per lo scopo istituzionale protetto ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) nella formulazione anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. n. 248 del 2005. (Nella fattispecie l’esenzione è stata esclusa per un fabbricato gestito da un ente religioso destinato a “casa religiosa di ospitalità”)” (Cass. n. 16728 del 2010; nello stesso senso v. anche Cass. n. 23584 del 2011 e Cass. n. 5041 del 2015, la quale ultima pone in evidenza che “l’esenzione di cui del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), è prevista a condizione che gli immobili –

appartenenti ai soggetti di cui del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87 (ora art. 73), comma 1, lett. c) – siano destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività ivi contemplate, tra le quali quelle indicate della L. 20 maggio 1985, n. 222, richiamato art. 16, lett. a), (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana) e, pertanto, non spetta in relazione ad un immobile, appartenente ad un ente religioso, destinato ad attività alberghiera o ad assistenza di pellegrini”, come sembra essere il caso in esame).

6. In buona sostanza, secondo la Corte, “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’imposta prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), è subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 14226 del 2015).

7. La giurisprudenza della Corte esclude, quindi, che il requisito soggettivo abbia valore sufficiente e decisivo per il riconoscimento dell’esenzione in parola.

7.1. Occorre, in ogni caso, un accertamento di fatto da parte del giudice circa l’esercizio con modalità “non commerciali” di una determinata attività che secondo la norma potrebbe astrattamente considerarsi esente: questa Corte non ha mancato di evidenziare che “la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino “a priori” il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 5485 del 2008).

8. Questo tipo di accertamento manca del tutto nella sentenza impugnata la quale risolve il problema attribuendo alle prestazioni svolte nel villaggio “lo scopo sociale di migliorare le condizioni di vita di categorie particolarmente svantaggiate”, senza verificare –

ad es. attraverso l’analisi del bilancio dell’ente, le condizioni economiche del trattamento “alberghiero” fatto agli ospiti, comparate con quelle poste da altre analoghe strutture ricettive sul territorio alla luce del rispetto dei principi della libera concorrenza, la eventuale stagionalità dell’attività stessa, il target indifferenziato dell’offerta ricettiva, ecc. – se l’attività dell’ente fosse svolta, o meno, con modalità commerciali.

9. Va oltretutto considerato che la circolare ministeriale n. 2/DF del 26 gennaio 2009, citata da parte controricorrente, mette l’accento sul fatto che le c.d. “rette”, devono essere di importo significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato (con il chiaro richiamo alla necessità che l’attività in questione non alteri il regime di libera concorrenza, per evitare che l’esenzione tramuti in “aiuto di stato”) e soprattutto specifica che: “La prova delle condizioni che giustificano il riconoscimento dell’esenzione, come sostiene ormai la consolidata giurisprudenza (Cfr. fra tutte:

Cass. n. 555 del 1994; n. 14992 del 2000; n. 12749 del 2 settembre 2002; n. 21728 del 17 novembre 2004; n. 7905 del 15 aprile 2005, n. 20776 del 26 ottobre 2005), spetta a chi sostiene di averne diritto.

Detto assunto trova fondamento sui principi che regolano l’incidenza dell’onere probatorio stabiliti dall’art. 2697 c.c., per cui “spetta al soggetto che fa valere il diritto ad un’agevolazione tributaria, che costituisce deroga al normale regime di imposizione di fornire la prova che ricorrono in concreto le condizioni previste dalla legge per poter godere della… esenzione” (Cass. n. 14146 del 24 settembre 2003)”.

9.1. Dalla sentenza impugnata non emerge alcun richiamo ad un eventuale svolgimento da parte dell’ente religioso di una specifica attività probatoria sulla sussistenza del requisito oggettivo decisiva ai fini del diritto all’esenzione.

10. Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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