Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13958 del 23/05/2019

Cassazione civile sez. III, 23/05/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 23/05/2019), n.13958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9071-2016 proposto da:

F.M.T., R.M.D.C.S.,

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA CHIESA

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCO DESIO E DELLA BRIANZA SPA, in persona del suo procuratore

speciale Dott.ssa PIEROBON MARIA CRISTINA, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA OMBRONE, 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CAPUTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO ALESSANDRO

GALBIATI giusta procura speciale in calce al controricorso;

UNICREDIT BANCA SPA, e per essa DOBANK SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

U. TUPINI, 103, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CRIVELLARI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO

BENINTENDI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

RO.MA.DI.CO.ST.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 108/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CHIESA ANDREA;

udito l’Avvocato CRIVELLARI FRANCESCA;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. R.M.d.C.S. e F.M.T. ricorrono, affidandosi a cinque motivi illustrati anche con memorie, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva rigettato l’impugnazione da loro proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Monza di accoglimento dell’azione revocatoria avanzata dalla Banca Desio e della Brianza Spa, con intervento della Unicredit Spa, con dichiarazione di inefficacia degli atti di costituzione del fondo patrimoniale con i quali i ricorrenti (nonchè il figlio Ro.St. e la consorte S.F.) avevano destinato ad uso esclusivo della famiglia tutti i loro immobili.

2. Hanno resistito entrambe le banche intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso in esame è stato rinviato alla pubblica udienza in quanto il Procuratore Generale ne aveva prospettato, nelle conclusioni scritte depositate in occasione dell’adunanza camerale, l’improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, con riferimento ai pregressi arresti di questa Corte (Cass. 30918/2017 e Cass. SU 10266/2018) che avevano statuito la necessità che la documentazione informatica relativa alla notifica a mezzo PEC dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione dovesse essere asseverata con sottoscrizione autografa, assente nel caso in esame.

1.1. La questione, tuttavia, rimessa alle Sezioni Unite per una ulteriore rimeditazione, è stata risolta da Cass. SSU 22438/2018 che ha affermato che “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.”.

1.2. Il caso in esame è riconducibile alla seconda ipotesi fra quelle oggetto di statuizione nella massima sopra riportata e, pertanto, deve escludersi che possa applicarsi la sanzione di improcedibilità precedentemente paventata.

2. Preliminarmente, inoltre, deve essere esaminato il rilievo di tardività del controricorso.

2.1. Il ricorrente assume, infatti, che l’atto è stato notificato a mezzo PEC il 16.5.2016, fuori dai termini processuali dell’art. 370 c.p.c. che, come è noto, prevede che la notifica al ricorrente debba intervenire entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso (fissato entro venti giorni dall’ultima notificazione, perfezionatasi, per ciò che qui rileva, il 4.4.2016).

2.2. Nel caso in esame, tuttavia, il termine deve computarsi tenendo conto del frazionamento dei due periodi, in ragione del fatto che il secondo di essi iniziava a decorrere e spirava in due giorni festivi (rispettivamente il 25 aprile ed una giornata domenicale), dei quali non può tenersi conto.

2.3. A ciò consegue che la notifica a mezzo PEC del controricorso, perfezionatasi il 16.5.2016 alle ore 18,40, risulta regolare e tempestiva e che il rilievo deve ritenersi infondato.

3. Sui motivi di ricorso.

3.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. “circa il presupposto dell’esistenza del credito e della sua influenza sull’elemento soggettivo”.

Al riguardo, contestano la decisione della Corte territoriale che, tenuto conto dell’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo favorevole alle banche, non si era discostata dalla relativa pronuncia in relazione all’entità del credito garantito, nonostante che nell’ambito di quel giudizio avessero più volte evidenziato di aver sottoscritto la garanzia fideiussoria in questione sul presupposto che riguardasse soltanto l’affidamento su un conto corrente (c/c (OMISSIS)) che rappresentava una piccola parte di quanto vantato dalla controparte.

3.2. Lamentano altresì che i giudici d’appello non avevano considerato il profilo soggettivo in relazione al quale doveva escludersi che potessero essere riconosciuti debitori per somme ulteriori rispetto a quelle che avevano inteso garantire.

3.3. Il motivo è inammissibile in quanto prospetta questioni di mero fatto, sulle quali la Corte d’Appello si è già pronunciata rendendo motivazione congrua, logica ed al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata): ragione per cui la censura postula la richiesta di un non consentito terzo grado di merito (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

4. Con il secondo motivo, ancora, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art.. 2901 c.c. per mancanza del requisito oggettivo dell’azione revocatoria e cioè dell’eventus damni; nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 61c.p.c. e art. 191 c.p.c. e ss. con omessa e contraddittoria motivazione sulla reiezione dell’istanza di CTU.

4.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Si osserva preliminarmente, infatti, che la censura denuncia un vizio che può essere ricondotto alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più vigente ed inapplicabile ratione temporis al caso in esame (visto che la sentenza impugnata è stata depositata ben oltre l’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 che ne ha sancito la modifica limitando l’omissione esclusivamente all’esame di un fatto storico decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti).

4.2. Sotto tale aspetto, dunque, la critica è inammissibile.

4.3. Per la restante parte si osserva quanto segue.

I ricorrenti contestano la statuizione della Corte territoriale che, confermando la pronuncia di primo grado, avevano avallato il presupposto che il vincolo posto dal fondo patrimoniale rendesse quanto meno più incerta e difficile la soddisfazione dei crediti vantati dalle Banche assumendo che, attese le limitazioni portate dall’art. 170 c.c., si sarebbe ridotta la garanzia generale dei creditori sui patrimoni dei costituenti: assumono, in buona sostanza, che tale statuizione si tradurrebbe in una impropria abrogazione dell’istituto ed in una conseguente inversione dell’onere della prova in relazione alla sufficienza del patrimonio residuo a garantire le obbligazioni assunte.

4.4. Il presupposto della censura è manifestamente infondato.

Questa Corte, infatti, ha condivisibilmente affermato che “il negozio costitutivo del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria; ne consegue che, avendo l'”actio pauliana” la funzione di ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore, a determinare l'”eventus damni” è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore integrata con la costituzione in fondo patrimoniale di bene immobile (nel caso l’unico) di proprietà dei coniugi, in tal caso determinandosi, in presenza di già prestata fideiussione in favore di terzi, il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, della cui insussistenza incombe al convenuto, che nell’azione esecutiva l’eccepisca, fornire la prova. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, trattandosi di ipotesi di costituzione in fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito (nel caso, l’obbligazione fideiussoria), è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (“scientia damni”), la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (“consilium fraudis”) nè la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (cfr. Cass. 966/2007; Cass. 24757/2008; Cass. 5359/2009 ed in termini Cass. 13343/2015).

4.5. E, tanto premesso, la Corte ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati (cfr. pag. 5 e 6 della sentenza impugnata), ragione per cui la censura in esame deve essere respinta.

5. Con il terzo motivo, ancora, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., circa il presupposto dell’esistenza del requisito soggettivo della scienza damni: contestano il percorso argomentativo della Corte territoriale sulla consapevolezza dello stato di difficoltà finanziaria della società garantita.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Come sopra argomentato in relazione al presupposto dell’eventus damni, infatti, la Corte ha applicato correttamente i consolidati principi di legittimità rendendo anche sul secondo presupposto oggetto di censura una motivazione assolutamente congrua (cfr. pag. 7 ed 8 della sentenza impugnata con particolare riferimento alla cronologia degli eventi ed al ragionamento presuntivo legittimamente articolato), rispetto alla quale la critica maschera la richiesta di una inammissibile rivalutazione di merito della controversia (cfr. al riguardo Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

6. Con il quarto motivo, i ricorrenti prospettano una censura così titolata: “sulla domanda riconvenzionale di cancellazione o riduzione delle ipoteche iscritte dal Banco Desio”.

6.1. Il motivo è inammissibile perchè la critica non viene ricondotta ad un vizio specificamente enunciato e regolato dall’art. 360 c.p.c..

Questa Corte ha affermato, con orientamento dal quale questo Collegio non intende discostarsi che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.” (cfr. Cass. 11603/2018; Cass. 5597/2015)

7. Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2.

7.1. Con la censura si contesta l’aumento del 20% nella liquidazione delle spese di lite e si assume che la statuizione non era stata motivata.

7.2. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo, infatti, la Corte territoriale da dato conto dell’aumento del 20% applicato, riconducendolo espressamente (in dispositivo) al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2: l’enunciato è sufficiente a motivare le ragioni dell’aumento, tenuto conto della natura accessoria della statuizione sulle spese.

In secondo luogo, la norma sancisce che l’aumento del 20% previsto nelle ipotesi in cui un avvocato assista più soggetti aventi la stessa posizione processuale si applica anche nel “caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti: la disposizione, dunque, è stata correttamente in ragione del fatto che la parte appellante, soccombente, era costituita da due soggetti e cioè i coniugi odierni ricorrenti.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte,

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun contro ricorrente, in Euro 8000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019

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