Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13956 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 438-19 proposto da:

J.B.I., rappresentato e difeso dall’avv. Caterina Bozzoli,

elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Padova, via

Trieste n. 49;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia depositata il

12 giugno 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/1/2020 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La corte d’appello di Venezia, con la sentenza n. 1624/18, pubblicata il 12 giugno 2018, confermando l’ordinanza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da J.B.I., cittadino proveniente dalla Nigeria, il quale ha riferito di aver abbandonato il suo paese per timore di essere ucciso, sia dalla matrigna, per ragioni ereditarie, che dal padre di una ragazza, messa incinta dal richiedente, morta in ospedale durante la gravidanza.

La Corte territoriale, in particolare, ha rilevato la non verosimiglianza, le numerose contraddizioni e la mancanza di coerenza interna della narrazione ed inoltre il carattere privato della stessa, che non presentava alcun elemento di persecuzione; il giudice di appello ha inoltre ritenuto che nella regione di provenienza del richiedente non fosse ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata, secondo quanto richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, non ravvisando alcun concreto motivo di vulnerabilità del richiedente.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, il richiedente asilo.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’unico, articolato, motivo di ricorso, denuncia violazione di legge e mancanza assoluta di motivazione, censurando anzitutto la statuizione che ha negato la protezione internazionale sul presupposto della scarsa credibilità della narrazione e del carattere privato della vicenda.

La censura è inammissibile, in quanto si limita a contestare, nel merito, la valutazione di assoluta genericità e scarsa credibilità del racconto da parte della Corte territoriale, fondata sulla indicazione di specifici elementi inverosimili e contradditori; il mezzo non si confronta, inoltre, con l’altra, autonoma, ratio decidendi della pronuncia, che ha affermato il carattere privato delle vicende narrate, posto che non risultava che il richiedente avesse mai provveduto a formulare denuncia o richiesta di protezione alle autorità locali.

La seconda doglianza lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La censura è inammissibile.

Il Tribunale ha infatti accertato, mediante il ricorso a fonti internazionali citate in motivazione (EASO, Giugno 2017) che la zona di provenienza dell’immigrato (Edo State) è immune da situazioni di violenza indiscriminata, ed è anzi una delle zone più sicure del paese, sostanzialmente priva di attentati terroristici: il motivo si traduce per un verso, nella esposizione astratta dei principi giuridici in materia, per altro verso, in una richiesta di rivisitazione del merito della valutazione inammissibile in questa sede.

Del pari inammissibile la censura avverso il diniego di protezione umanitaria.

E’ infatti evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche ai fini della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Avuto riguardo invece alle circostanze, allegate dal richiedente soltanto nel grado di appello, vale a dire il fatto di essere coniugato e di avere figli, si osserva la novità della questione, ed il fatto che tale nuova domanda, attinente al ricongiungimento familiare, va veicolata mediante un diverso procedimento, che ha differenti presupposti e finalità, oltre che una diversa disciplina.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, considerato che il Ministero non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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