Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13952 del 05/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/06/2017, (ud. 05/04/2017, dep.05/06/2017),  n. 13952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22683-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI,

VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA, 94, presso lo studio dell’avvocato SABRINA FORTUNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DI GIALLUCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 769/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. l’Inps ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila che confermò la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva condannato l’istituto alla corresponsione in favore di L.L. della retribuzione per i mesi di novembre e dicembre 2007, della tredicesima e quattordicesima mensilità e del TFR a carico del Fondo di garanzia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

2. La Corte territoriale riferiva in fatto che il credito del L. era stato accertato nei confronti della cooperativa Eurosped con sentenza del Tribunale di Teramo pubblicata il 27/2/2013. Il lavoratore si era trovato nell’impossibilità di inserimento nel passivo fallimentare, in quanto l’ex legale rappresentante della cooperativa di cui egli era stato dipendente aveva omesso di comunicare al curatore fallimentare l’elenco dei creditori della cooperativa medesima, sicchè egli nessuna comunicazione aveva ricevuto riguardo alla procedura in corso (che era stata chiusa con decreto del 5.6.2012 che accertava l’insufficienza dell’attivo). Soltanto in data 31/5/2013 il L. presentava quindi inutilmente istanza di insinuazione tardiva al passivo della procedura concorsuale, e successivamente notificava atto di precetto alla cooperativa il 3.7.2013 ed al rappresentante legale della stessa, cui seguiva il 10.12.2013 – essendo ormai cessata la prima – il pignoramento negativo nei confronti dell’ex legale rappresentante della cooperativa. Riconosceva quindi il diritto argomentando che erano idonei a soddisfare la ratio della L. n. 297 del 1982, art. 2 l’accertamento giudiziale del credito e l’infruttuosa esecuzione forzata dopo la chiusura del fallimento.

3. L’istituto ricorrente sostiene come primo motivo che la soluzione della Corte territoriale violerebbe della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 2, 3, 4 e 5 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 1.

3.1. Come secondo motivo, deduce la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e la nullità della sentenza, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulla violazione del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2 per il mancato rispetto nella quantificazione del dovuto a titolo di pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione del massimale di legge, pari a tre volte la misura massima dell’integrazione salariale mensile al netto delle ritenute fiscali ed assistenziali.

4. L.L. resistito con controricorso; l’Inps ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c. e successiva memoria integrativa.

5. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Questa Corte ha infatti da tempo adottato una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987 del 1980 (e dalla successiva direttiva 2008/94/CE, che ne riprende e amplia i principi fondamentali) che consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. Si è così affermato che ” l’espressione “non assoggettabile alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942″ va interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo” (Cass. n. 8529 del 29/05/2012, n. 8072 del 21/04/2016, Ord. n. 7877 del 17/04/2015).

Da tali affermazioni, si è poi fatto conseguire che, ove l’insolvenza del datore di lavoro sia stata accertata con sentenza dichiarativa di fallimento, il lavoratore può conseguire il pagamento del t.f.r. dal fondo di garanzia costituito presso l’INPS, se dimostra di essere stato ammesso al passivo ovvero, in mancanza, che l’esame della domanda tardiva di insinuazione è stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo, sempre che, in tal caso, prima di agire per la condanna del fondo, abbia esperito l’azione esecutiva contro il datore di lavoro tornato “in bonis” e il patrimonio di quest’ultimo sia risultato incapiente (Cass., ord., 17/04/2015 n. 7877 e 22/12/2016 n. 26669).

1.2. La situazione da ultimo descritta si è verificata nel caso in esame, in quanto, non potuta esercitare tempestivamente l’insinuazione al passivo, successivamente alla chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo è stata infruttuosamente esperita l’azione esecutiva individuale per il credito già giudizialmente accertato.

1.3. Non contraddice tale soluzione il recente arresto n. 7924 del 2017 di questa Corte, richiamata dalla difesa dell’Inps nella memoria integrativa, che ha ribadito i principi di diritto sopra richiamati, ma ha cassato la sentenza gravata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda del lavoratore, sul rilievo che nel caso sottoposto al suo esame la procedura fallimentare non era stata neppure esperita, pur essendo la società ancora iscritta nel registro delle imprese e quindi assoggettabile al fallimento, nè l’arresto n. 5878 del 2014, che ha valorizzato la circostanza che il lavoratore, oltre a non avere provveduto ad insinuare il proprio credito nello stato passivo, neppure avesse esperito la procedura esecutiva individuale nei confronti del datore di lavoro ritornato in bonis.

2. Il secondo motivo è infondato, considerato che la Corte territoriale si è pronunciata sulla quantificazione dell’importo riconosciuto nell’ultimo periodo della motivazione, valorizzando i conteggi effettuati da fonte qualificata ex art. 425 c.p.c., che non erano stati fatti oggetto di contestazioni analitiche, sicchè ha implicitamente risolto anche la censura, che il ricorrente riferisce essere stata proposta anche in sede d’appello, secondo la quale il limite massimo indennizzabile a titolo di mensilità di retribuzione non poteva essere superiore al limite di tre volte la misura massima del trattamento di integrazione salariale. Nè il motivo così come formulato addebita alla Corte di merito l’errata valutazione delle risultanze fattuali sottese a tale conclusione.

3. Deve infine aggiungersi che non è valutabile il rilievo secondo il quale l’azione esecutiva individuale è stata iniziata dopo la presentazione infruttuosa in sede amministrativa della domanda di accesso al Fondo, che è stato formulato dall’Inps solo con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. e non ha costituito motivo di ricorso ritualmente proposto, considerato che la funzione delle memorie è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso, e non già di contenerne di nuovi (v. in tal senso Cass. 25/02/2015 n. 3780) non vertendosi peraltro in ipotesi di carenza di domanda amministrativa, rilevabile d’ufficio.

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato. La regolamentazione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2017

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