Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13951 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35041-18 proposto da:

B.J.H., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio

Strillacci, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma,

Largo Lucio Apuleio, n. 11;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO:

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia depositata il

24 settembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/1/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La corte d’appello di Venezia, con la sentenza n. 1012/18, pubblicata il 24 settembre 2018, confermando l’ordinanza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da B.J.H., cittadino proveniente dal Bangladesh, il quale aveva riferito di aver abbandonato il paese a seguito di aggressioni e minacce subite da parte dei membri del partito (OMISSIS): ad una prima aggressione, subita da suo padre nel 2009, era seguita una successiva aggressione ai suoi danni nell’anno 2013, da parte dei membri del medesimo partito (OMISSIS); il richiedente deduceva inoltre di aver abbandonato il paese di origine,, perchè non era in grado di mantenere la sua famiglia.

La Corte territoriale, in particolare, ha affermato la mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, rilevando la scarsa credibilità delle dichiarazioni del richiedente, considerato il considerevole lasso di tempo intercorso tra i due episodi di violenza riferiti e la sproporzione tra la condizione di simpatizzante dell’opposta fazione politica del padre e le aggressioni subite dal richiedente a distanza di diversi anni; il richiedente, inoltre, si era contraddetto nelle diverse versioni fornite ed aveva fatto riferimento quale ragione della fuga anche a ragioni di carattere economico.

La Corte ha escluso, in conseguenza della scarsa credibilità del racconto, il pericolo di un danno grave alla persona in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e la sussistenza, nell’area di provenienza del rifugiato, di una situazione di conflitto armato e violenza generalizzata, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, il richiedente asilo.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge, censurando il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e lamentando, in particolare, la valutazione di scarsa credibilità delle dichiarazioni.

Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevando che tale forma di protezione non richiede necessariamente una condizione di persecuzione dello straniero.

Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 lamentando l’omesso esame concreto della condizione del richiedente. I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili, poichè, nonostante la rubrica, si risolvono in una doglianza sulla valutazione di merito della Corte e sono del tutto generici.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. 3340/2019)

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato, con apprezzamento adeguato, che la narrazione risultava poco coerente e priva di attendibilità, lacunosa e scarsamente verosimile, anche in considerazione delle contraddizioni su elementi essenziali della narrazione; da ciò il rigetto della domanda di protezione internazionale.

Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili, alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Quanto infine alla censura avverso il mancato riconoscimento della protezione umanitaria – secondo la disciplina previgente applicabile ratione temporis (Cass. Sez. U. 29459 del 2019), è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla sua condizione, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, considerato che il Ministero dell’interno non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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