Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13940 del 06/07/2020

Cassazione civile sez. I, 06/07/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23795/2018 proposto da:

D.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ibrahim Khalil, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 206/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/01/2020 dal cons. TRIA LUCIA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 30 gennaio 2018, respinge il ricorso proposto da D.M., cittadino del Mali, avverso l’ordinanza del locale Tribunale che ha respinto il ricorso proposto dal richiedente contro il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale ha sottolineato che gli elementi forniti nel ricorso e la nuova audizione disposta in sede giudiziaria non hanno consentito di superare le motivate perplessità avanzate anche dalla Commissione territoriale;

b) in aggiunta il Tribunale ha rilevato che l’intero racconto del richiedente poggia su contraddizioni riguardanti dati molto rilevanti come le generalità, la città di provenienza, la religione, la composizione e la presenza stessa della famiglia dell’interessato;

c) la valutazione di non credibilità del primo giudice deve essere condivisa e va precisato che in sede di appello il ricorrente non ha fornito alcun elemento per superare gli anzidetti dubbi di credibilità;

d) inoltre, tutto il racconto appare generico e vago e privo di dettagli descrittivi;

e) pertanto, la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale non può essere accolta perchè non sono emersi elementi per ritenere che, in caso di rientro nel Paese d’origine, il richiedente sarebbe esposto al rischio concreto di persecuzioni (per l’appartenenza ad etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita);

f) d’altra parte, date le anzidette incertezze sulla zona di provenienza del richiedente neppure è possibile accertarne le condizioni socio-politiche onde stabilire se esse siano tali da poter creare una situazione di indiscriminata violenza che possa coinvolgere il ricorrente;

g) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute che consentano di accordare la protezione umanitaria, essendo la relativa domanda fondata sugli stessi elementi posti a base di quella di protezione internazionale e quindi travolta dagli stessi dubbi di credibilità h) la manifesta infondatezza dell’appello comporta D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 136, la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, da disporre con separato decreto, con conseguente onere del richiedente del versamento di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater;

3. il ricorso di D.M. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il ricorso è articolato in tre motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni legislative sostenendosi che il giudizio negativo sulla credibilità del ricorrente espresso dalla Corte d’appello (e ancora prima dal Tribunale) essendo fondato sulle dichiarazioni asseritamente attribuite all’interessato in sede di compilazione del modello C3 sul motivo di emigrazione dal Paese di origine sarebbe del tutto illegittimo e in contrasto con le norme che regolano la procedura di esame della domanda di protezione internazionale, che escludono una possibile equiparazione tra il contenuto della domanda (su cui sono incentrate le valutazioni) e il modello C3, compilato in un contesto del tutto diverso senza alcuna garanzia dell’esatta comprensione di quanto viene chiesto al migrante;

in effetti, nella specie, la compilazione di tale modello è avvenuta senza l’ausilio di un interprete e per questo si sono determinati dei fraintendimenti e si è verificato che le informazioni ivi contenute sul luogo di nascita e la famiglia di origine del richiedente risultino del tutto erronee; del resto l’interessato ha dichiarato di non comprendere la lingua al suo arrivo e quindi di non sapere cosa fosse scritto nel modulo, che peraltro non viene firmato;

in realtà il richiedente ha deciso di emigrare per sottrarsi agli attacchi che delle popolazioni musulmane locali contro gli appartenenti alla minoranza cristiana, di cui faceva parte la sua famiglia;

il Tribunale ha fatto riferimento a fatti di cronaca avvenuti nella zona di provenienza del ricorrente ritenendoli erroneamente legati al fenomeno jiadista, ma la Corte d’appello avvalendosi delle regole istruttorie in materia avrebbe potuto rilevare la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, valutando la pluralità dei fatti narrati non solo singolarmente ma in modo sintetico;

1.2. con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio motivazionale, con riguardo all’erronea esclusione di una situazione di violenza indiscriminata in Mali configurante un conflitto armato internazionale e interno;

1.3. con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio motivazionale, con riguardo al rigetto della domanda di protezione umanitaria, rilevandosi che l’interessato aveva evidenziato la situazione di vulnerabilità soggettiva rappresentata dal rischio di venire arruolato con la forza e mandato a combattere nel Nord del Paese, data la sua giovane età;

tali circostanze, riferite nel ricorso di primo grado e ribadite in appello, non sono state esaminate dalla Corte territoriale e, quindi, sul punto sarebbe rinvenibile il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.;

2. l’esame dei motivi di censura porta alla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo, all’accoglimento del secondo motivo e all’assorbimento del terzo motivo, nei limiti e per le ragioni di seguito esposti;

3. preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dei profili di censura (contenuti nel secondo e nel terzo motivo) con i quali si prospetta il vizio di motivazionale, vizio che non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (fra le tante: Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 4 luglio 2018, n. 17470);

in base a tale ultima disposizione, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, sicchè la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

tali evenienze qui non si verificano, mentre nella sostanza le censure proposte al riguardo si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito, denuncia come tale inammissibile in questa sede;

3. il primo motivo va dichiarato inammissibile in quanto le censure con esso proposte muovono dal presupposto che la Corte d’appello abbia basato la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente solo sulle incongruenze riscontrate nel modello C3, mentre la Corte territoriale sul punto ha precisato che: a) il Tribunale ha sottolineato che gli elementi forniti nel ricorso e la nuova audizione disposta in sede giudiziaria non hanno consentito di superare le motivate perplessità avanzate anche dalla Commissione territoriale; b) inoltre il Tribunale ha rilevato che l’intero racconto del richiedente poggia su contraddizioni riguardanti dati molto rilevanti come le generalità, la città di provenienza, la religione, la composizione e la presenza stessa della famiglia dell’interessato; c) la valutazione di non credibilità del primo giudice deve essere condivisa e va aggiunto che in sede di appello il ricorrente non ha fornito alcun elemento per superare gli anzidetti dubbi di credibilità; d) infine, tutto il racconto appare generico e vago e privo di dettagli descrittivi;

ne deriva che le censure proposte con il primo motivo risultano basate su un presupposto erroneo e, di conseguenza, non toccano le rationes decidendi che sorreggono la sentenza sul punto, indirizzandosi inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con il decisum tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, il primo motivo in quanto le statuizioni non censurate sono divenute definitive e quindi non si può più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

4. il secondo motivo è da accogliere per la parte relativa al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria derivante dalla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

4.1. è noto che l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio Paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (vedi Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; 21 luglio 2017, n. 18130; 30 luglio 2015, n. 16202; Corte di Giustizia UE, 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji);

4.2. peraltro, l’esclusione della necessità di un coinvolgimento diretto del richiedente nel contrasto tra le forze in campo, in ragione del suo ruolo istituzionale, della sua posizione politica, della sua appartenenza etnica o delle sue idee religiose, non implica infatti in alcun modo la dispensa dall’onere di allegare e provare che, per intensità e caratteristiche, lo scontro armato in atto comporta una situazione tale da rendere gravemente rischiosa per la sua vita o la sua incolumità la mera presenza nel territorio del Paese di origine;

4.3. ma, diversamente da quel che si verifica per le altre ipotesi di protezione internazionale e per la protezione umanitaria (regolata da una specifica disciplina), nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tale onere di allegazione non riguarda l’interessamento del richiedente alla situazione di conflitto armato interno in modo specifico a motivo di elementi relativi alla propria situazione personale, tanto che in questa particolare ipotesi il giudizio di attendibilità e credibilità non entra in gioco, salvo che non sia controversa la stessa provenienza del richiedente da area geografica interessata a una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (vedi per tutte: Cass. 24 maggio 2019, n. 14283, che ha superato il diverso orientamento espresso da Cass. 20 dicembre 2018, n. 33096; Cass. 19 febbraio 2019, n. 4892);

4.4. di conseguenza nel caso di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), il richiedente non ha l’onere di presentare, tra “gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda”, quelli che ineriscono a circostanze, riferite alla sua storia personale, di cui si debba vagliare la veridicità, salvo quanto sia indispensabile per verificare la provenienza del medesimo dal Paese o dalla regione indicati come teatro di violenza indiscriminata, ove sia controversa;

4.5 a tale ultimo riguardo va precisato che con riguardo alla stessa dichiarazione del richiedente di provenire da un Paese o da una regione interessata a una situazione di violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato interno o internazionale assume invece rilievo la non credibilità, visto con riguardo alla provenienza non può non rilevare l’onere probatorio a carico dell’istante, onere che investe il profilo attinente la condizione fattuale che consente di riferire la disciplina di cui all’art. 14, lett. c), alla posizione del richiedente;

4.6. la suddetta ricostruzione trova la sua base nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 secondo cui l’obbligo di cooperazione, riferito all’istante, deve essere commisurato all’oggetto delle singole domande da questo proposte, come si desume dal comma 1 dello stesso articolo, ove di puntualizza che l’esame svolto in cooperazione col richiedente riguarda gli “elementi significativi della domanda”, cioè quelli che rilevano con riguardo alla diverse ipotesi di protezione internazionale (o alla protezione umanitaria);

4.7. pertanto, una volta che il suddetto obbligo sia stato adempiuto da parte del richiedente il giudice deve esercitare il potere-dovere di porre in essere quell’accertamento officioso che si impone per la verifica della fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), cit., che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da renderne possibile la verificare anche dell’aggiornamento (Cass. 12 novembre 2018, n. 28990);

4.8. nella specie, la Corte d’appello, dopo aver dato atto dell’esistenza di una situazione di violenza generalizzata in Mali, tuttavia ha ritenuto di non accertare le condizioni socio-politiche onde stabilire se esse siano tali da poter creare una situazione di conflitto armato interno che possa coinvolgere il ricorrente senza tenere conto del fatto che l’interessato aveva evidenziato la di essere esposto al rischio di venire arruolato con la forza e mandato a combattere nel Nord del Paese, data la sua giovane età (pratica usata in Mali) (elemento che avrebbe dovuto portare a sciogliere i dubbi circa la zona di provenienza del ricorrente) e senza neppure considerare che, in base ad un consolidato indirizzo di questa Corte, laddove venga in considerazione una domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il giudice deve esercitare il proprio potere-dovere di indagine d’ufficio circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente, dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative utilizzate, in modo che sia possibile verificarne anche l’aggiornamento, senza che tale operazione trovi ostacolo nella affermata non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso (Cass. 24 maggio 2019, n. 14283);

4.9. nè va omesso di rilevare che le suddette indagini si presentano assolutamente indispensabili quando – come accade nel caso del Mali – già da semplici notizie di cronaca risulta che il Paese sta attraversando un momento di grande instabilità e violenza generalizzata se non addirittura di guerra civile, visto che il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatti notori) ammissibile nel processo civile ordinario lo è a maggior ragione nelle controversie in materia di protezione internazionale;

4.10. ne consegue che la Corte d’appello non ha tenuto conto dei peculiari principi da applicare all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, di cui si è detto sopra;

5. questo porta all’accoglimento dell’indicata censura, cui consegue l’assorbimento delle censure proposte con il terzo motivo non dichiarate inammissibili;

6. in sintesi, il primo motivo va dichiarato inammissibile, il secondo va accolto nei limiti indicati e il terzo va dichiarato assorbito, per la parte non dichiarata inammissibile;

7. pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo per quanto di ragione, dichiara assorbito il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020

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