Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1394 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/01/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 22/01/2020), n.1394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21299/2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 14,

presso lo studio legale Sinagra-Sabatini-Sanci, rappresentato e

difeso dagli avvocati FRANCO SABATINI e CHIARA SABATINI;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI BARI SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato

GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCO DI TEODORO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 418/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/06/2018 R.G.N. 869/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato FRANCO SABATINI;

udito l’Avvocato MATTEO SILVESTRI per delega verbale Avvocato FRANCO

DI TEODORO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 418 depositata il 14.6.2018, ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara ed ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da Banca popolare di Bari s.coop.p.a., con lettera del 22.2.2016, a C.M. per abuso dei permessi della L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3.

2. La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato, che poteva ritenersi raggiunta la prova dell’abuso di quattro permessi della L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3, risultando dalla relazione dell’agenzia investigativa (incaricata dal datore di lavoro) nonchè dalle prove testimoniali – che il C. nelle giornate dell’11, 16, 18 e 30 novembre 2015 si era recato presso l’abitazione del padre, disabile, solo per 15 minuti nella giornata del 18 novembre, utilizzando peraltro la pausa pranzo (e non l’orario concesso per il permesso).

3. Per la cassazione di tale sentenza il sig. C. ha proposto ricorso affidato a un unico motivo. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, avendo, la Corte territoriale, trascurato che la disposizione in oggetto non impone la necessaria coincidenza temporale tra tempo del permesso e tempo dell’assistenza diretta.

2. Il ricorso non merita accoglimento.

La Corte d’appello si è uniformata alla giurisprudenza di questa Corte (Cass.. 21529 del 2019; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 17968 del 2016; n. 9217 del 2016; n. 8784 del 2015) che ha precisato come il permesso di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, sia riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.

Invero, in base alla ratio della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, che attribuisce al “lavoratore dipendente… che assiste persona con handicap in situazione di gravità…” il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, è necessario che l’assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; questa può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purchè nell’interesse del familiare assistito (cfr. Cass. Ord. n. 23891 del 2018).

Secondo l’orientamento di questa Corte (per tutte Cass. n. 17968 del 2016), il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che non si avvalga del permesso previsto dal citato art. 33, in coerenza con la funzione dello stesso, l’assistenza del familiare disabile, integra un abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale;

3. In conclusione, il ricorso va respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

4. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi nonchè in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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