Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13935 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 07/07/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 07/07/2016), n.13935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28385-2012 proposto da:

LIER SRL, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore E.S.R.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 37, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO MARIA GIOVANNI SEPE, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GIANO SRL, in persona dell’Amministratore unico e legale

rappresentane pro tempore Arch. P.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio

dell’avvocato GAETANO AMOROSO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ROBERTO ADINOLFI, ANDREA PELLEGRINI giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4968/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato GAETANO AMOROSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. Giano convenne in giudizio la s.r.l. LIER davanti Tribunale di Roma, intimando lo sfratto per morosità in relazione ad un compendio immobiliare dalla società attrice concesso in locazione ad uso commerciale.

Si costituì in giudizio la società convenuta, contestando il contenuto della domanda e chiedendone il rigetto.

Il Tribunale, respinta la richiesta di emissione dell’ordinanza provvisoria di rilascio e disposta la trasformazione del rito, accolse la domanda, dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento, ordinò alla convenuta il rilascio degli immobili, rigettò la domanda della società locatrice volta ad ottenere la condanna della conduttrice al pagamento della ulteriore morosità e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dalla società LIER in via principale e dalla società Giano in via incidentale e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 gennaio 2012, ha respinto entrambe le impugnazioni, confermando la decisione del Tribunale e compensando integralmente tra le parti le ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che era pacifico che il canone relativo all’unico mese di morosità contestato dalla società locatrice era stato pagato solo dopo la notifica dell’atto di intimazione dello sfratto. Nella specie, non poteva trovare applicazione la disposizione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55 perchè, per giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, detta norma non vale per le locazioni commerciali, per cui il pagamento in ritardo non costituiva una valida sanatoria della morosità e non escludeva l’inadempimento della conduttrice. Nel contratto stipulato tra le parti, del resto, era prevista una clausola risolutiva espressa in ragione del mancato pagamento anche di una sola rata di canone; per cui, mentre non aveva alcuna rilevanza la mancata emissione dell’ordinanza di cui all’art. 665 cod. proc. civ., era da ritenere giustificato il rifiuto opposto dalla società locatrice al pagamento in ritardo da parte della società conduttrice, con conseguente fondatezza della domanda di risoluzione del contratto.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso la s.r.l. LIER, con atto affidato a cinque motivi.

Resiste la s.r.l. Giano con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., per omessa indagine unitaria sull’importanza dell’inadempimento.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè del principio generale di buona fede.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione.

5. Rileva la società ricorrente, ripercorrendo una serie di vicende in fatto relative al giudizio di merito, che la Corte d’appello non avrebbe correttamente valutato l’entità e l’importanza dell’inadempimento della parte conduttrice. Nella specie, infatti, la morosità era relativa soltanto ad un mese di canone e la società conduttrice aveva offerto il pagamento della mensilità con soli diciannove giorni di ritardo, subito dopo aver ricevuto l’intimazione di sfratto. Il contratto prevedeva sì la risoluzione in caso di mancato pagamento anche di una mensilità, ma richiamava l’art. 5 Legge sull’equo canone, il che comporta che il pagamento intervenuto nei successivi venti giorni doveva considerarsi tale da sanare la morosità. Pretestuoso sarebbe, quindi, il rifiuto del pagamento opposto dalla società locatrice, che aveva costretto la conduttrice a pagare tramite vaglia postali. La sentenza sarebbe poi errata nella parte in cui ha affermato che vi erano state precedenti morosità da parte della società ricorrente, oltre ad essere nulla per mancato riconoscimento della violazione del principio di buona fede da parte della società locatrice e per mancanza di un’effettiva motivazione in ordine alla gravità dell’inadempimento.

5.1. I motivi ora indicati, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce, sono tutti inammissibili.

La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento in punto di fatto correttamente motivato e privo di vizi logici, ha verificato la sufficienza, ai fini dell’inadempimento, della morosità di un solo mese, come da previsione contrattuale, ed ha correttamente richiamato la sentenza 28 aprile 1999, n. 272, delle Sezioni Unite di questa Corte che ha dichiarato non estensibile alle locazioni diverse da quelle abitative il regime del termine di grazia di cui all’art. 55.

Ha poi anche aggiunto, ad abundantiam, che non era la prima volta che il conduttore era in ritardo nei pagamenti, tanto che il locatore era stato costretto ad intraprendere un altro giudizio per la morosità;

per cui il pagamento intervenuto dopo l’instaurazione del giudizio, se da un lato non consentiva l’emissione dell’ordinanza di cui all’art. 665 c.p.c., dall’altro non costituiva neppure sanatoria dell’inadempimento.

A fronte di simile motivazione, i motivi di ricorso in esame sono formulati con una tecnica che li rende di per sè inammissibili, perchè essi non contengono, in effetti, alcuna precisa censura in diritto, risolvendosi nella riproposizione di una serie di argomentazioni di fatto già vagliate dalla Corte d’appello e tentando, in questa sede, di sollecitare la Corte ad un nuovo e non ammissibile esame del merito.

6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 51 c.p.c..

La nullità deriverebbe dal fatto che il Collegio della Corte d’appello è stato composto anche dalla dott. S.M.G. la quale, avendo già conosciuto di precedenti controversie tra le stesse parti, non aveva la necessaria obiettività ed avrebbe dovuto presentare istanza di astensione.

6.1. Il motivo non è fondato.

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato con la sentenza 23 aprile 2001, n. 170, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (tale principio è stato ribadito anche in seguito). E il ricorso nulla dice circa l’avvenuta proposizione dell’istanza di ricusazione davanti alla Corte d’appello, nè lamenta alcuna omissione di pronuncia sul punto.

7. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a regolare le competenze professionali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 7.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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