Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13934 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 07/07/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 07/07/2016), n.13934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22838-2012 proposto da:

CIFA SRL, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore sig. C.M., domiciliata ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUCA FABBRI con studio in FANO VIA PISACANE

46 giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SERVICE EXPRESS DI F.S. & FIGLI SNC, in persona

dell’amministratore S.I., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA R. GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO BONAIUTI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO

CECCHINI giusta procura speciale notarile;

– resistente –

avverso la sentenza n. 973/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato LUCA FABBRI;

udito l’Avvocato MARCELLO CECCHINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al Tribunale di Pesaro, Sezione distaccata di Fano, la s.n.c. Service express chiese che la s.r.l. CIFA fosse condannata al pagamento della somma di Euro 23.439,40, oltre interessi, a titolo di indennità aggiuntiva ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 2.

A sostegno della domanda espose che la società convenuta, dopo aver ottenuto, tramite l’intimazione di sfratto, il rilascio dell’immobile in precedenza locato alla società attrice, aveva cominciato a svolgere all’interno dello stesso un’attività commerciale identica a quella esercitata dalla società Service express, e tanto prima che fosse trascorso l’anno dal rilascio.

La società convenuta fu inizialmente dichiarata contumace;

costituitasi in seguito, la stessa pose eccezioni preliminari e chiese nel merito il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò la società convenuta al pagamento della somma richiesta, con gli interessi ed il carico delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dalla società CIFA e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 14 febbraio 2012, ha rigettato il gravame, confermando la sentenza del Tribunale e condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

2.1. Ha osservato la Corte territoriale, in ordine ai motivi di appello relativi alle eccezioni in rito, che era infondata la censura con la quale si era contestata la validità della procura alle liti rilasciata dalla s.n.c. Service; ed infatti, mentre la previsione statutaria secondo cui era necessaria la firma di tutti i soci in riferimento alle operazioni di importo superiore ad Euro 10.329,14 era da ritenere valida ai soli fini sostanziali, decisiva era la circostanza della successiva ratifica; tutti i soci, infatti, avevano sottoscritto la procura alle liti, così ratificando l’operato dell’amministratore.

Doveva pure essere respinta l’ulteriore censura formale consistente nella presunta nullità della notifica del ricorso introduttivo a causa della non regolarità della consegna; il consegnatario, infatti, si trovava nella sede della società e la stessa non aveva dimostrato l’insussistenza di un rapporto tale da legittimare la ricezione delle notifiche.

2.2. Quanto al merito, la Corte anconetana ha ribadito che alla società attrice spettava l’ulteriore indennità di cui all’art. 34, comma 2 cit.; dalle prove assunte, infatti, era emerso che la s.n.c. Service express aveva esercitato fino al 28 agosto 2008 l’attività di bar, ristorante e pizzeria nei locali in questione, e che negli stessi locali la s.r.l. CIFA aveva intrapreso un’attività analoga a partire dal giugno 2009. Le attività erano “sostanzialmente identiche”, come risultava dalle autorizzazioni rilasciate dal Comune di Fano (l’autorizzazione del 19 settembre 2005 in favore della società CIFA aveva lo stesso codice di quella rilasciata nel 2002 alla s.n.c. Service express). La documentazione prodotta da quest’ultima società, del resto, non poteva essere ritenuta tardiva, in quanto conseguente alla tardiva costituzione della controparte e delle relative difese.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso la s.r.l. CIFA con atto affidato a sette motivi.

La s.n.c. Service express ha depositato una comparsa di costituzione in giudizio chiedendo di poter partecipare alla discussione orale del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2266 e 2298 c.c., nonchè degli artt. 83, 125 e 182 c.p.c., dell’art. 1399 c.c., oltre a vizio di motivazione.

Rileva la società ricorrente che la procura alle liti fu conferita in primo grado ai difensori della s.n.c. Service express dal solo socio amministratore, mentre avrebbe dovuto essere conferita da tutti i soci, trattandosi di valore della causa dichiarato pari a circa 25.000 Euro. Il riferimento al limite di valore contenuto nello statuto sociale non potrebbe essere ritenuto operante solo per gli atti sostanziali e la sanatoria non opererebbe nel campo processuale, tramite la procura alle liti.

1.1. Il motivo non è fondato.

La Corte d’appello ha compiuto, in proposito, due decisive affermazioni. Da un lato, ha rilevato che, secondo le previsioni dello statuto sociale, la necessità della firma da parte di tutti i soci in riferimento agli atti ed alle operazioni di importo superiore ad Euro 10.329,14 riguardava soltanto gli atti di natura sostanziale e non quelli di natura processuale; dall’altro ha aggiunto – con un’affermazione non contestata – che tutti i soci avevano, nella specie, sottoscritto la procura alle liti, in tal modo ratificando l’operato dell’amministratore. Da ciò consegue che la natura di atto processuale della procura alle liti non rientrava nella categoria di quelli soggetti ad obbligo di firma da parte di tutti i soci, senza contare che il testo dell’art. 182 c.p.c., comma 2, anche nella versione precedente a quella attuale già prevedeva la possibilità di una correzione dei vizi formali inerenti la procura alle liti.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 145, 160, 294 c.p.c. e art. 354 c.p.c., comma 1, oltre a motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

La doglianza riguarda la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, siccome eseguito a mani di persona priva delle qualifiche e poteri necessari per la ricezione degli atti.

Nella specie, il commercialista dott. F. che risultava aver ricevuto la notifica risiedeva sì nello stesso indirizzo dov’era la sede della società CIFA, ma non aveva alcuna funzione sociale; ed infatti, egli aveva trasmesso solo tardivamente l’atto alla società ricorrente. Si lamenta, inoltre, che nel giudizio di merito la parte non fu ammessa a provare le circostanze relative all’assenza di un rapporto giuridicamente rilevante tra chi ricevette la notifica e la società ricorrente.

2.1. Il motivo non è fondato.

Anche su questo problema preliminare la Corte d’appello ha fornito una propria condivisibile motivazione, rilevando che la persona che aveva ricevuto la notifica svolgeva la propria attività (studio commerciale) nello stesso luogo dove c’era la sede legale della società oggi ricorrente; ed ha aggiunto che la prova dell’insussistenza di un rapporto tale da legittimare alla ricezione delle notifiche deve essere fornita dal destinatario e che l’atto aveva comunque raggiunto il suo scopo. Tale decisione appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia, cui la presente pronuncia intende dare continuità (sentenza 2 luglio 2010, n.15798, e ordinanza 5 settembre 2012, n. 14865).

La parte ricorrente ribadisce, in questa sede, argomentazioni già vagliate e respinte dalla Corte territoriale, in particolare insistendo nel fatto che il dott. F. non era socio della società.

Tali considerazioni – che involgono anche profili di fatto non esaminabili in questa sede – non sono in grado di superare la ratio decidendi della sentenza impugnata. Ed infatti, considerando che la società CIFA si è comunque costituita, sia pure tardivamente, nel giudizio di primo grado, il motivo in esame non fornisce alcuna prova dell’effettiva menomazione del diritto di difesa, a danno della parte ricorrente, in relazione al presunto vizio di notifica, posto che vi sono soltanto alcune generiche indicazione delle prove che non furono ammesse in conseguenza del ritardo nella costituzione.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n n. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, oltre a motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

La società ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto che le attività svolte dalla s.n.c. Service express e dalla società CIFA fossero identiche, mentre dalla documentazione prodotta risulta che non era così, poichè le attività di ristorante-pizzeria e di bar non possono essere considerate uguali.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, oltre a motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

La censura viene posta in ordine al diverso profilo concernente la circostanza per cui la s.n.c. Service express fosse già in attività al momento del recesso ed in possesso di regolare autorizzazione amministrativa. Osserva la società ricorrente che dalle deposizioni testimoniali e dalla visura camerale in atti risulterebbe che la s.n.c. Service express cominciò la propria attività solo in data 19 settembre 2005, con il rilascio delle autorizzazioni comunali n. 1717 e n. 1718, mentre non sarebbe rilevante l’esistenza di precedenti autorizzazioni commerciali del 2002, le quali non erano state trascritte nel registro delle imprese.

5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, oltre a motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

La violazione di legge viene proposta in questo motivo sotto un ulteriore profilo, relativo all’esatto computo del termine annuale indicato dal citato art. 34. Rileva la società ricorrente che è incontestata la circostanza per cui la procedura di sfratto rivolta nei confronti della s.n.c. Service express si concluse con l’ordine di rilascio per la data del 31 marzo 2006. In realtà, il rilascio effettivo avvenne solo in data 28 agosto 2008, ma ciò non avrebbe alcun rilievo, perchè la permanenza della società nei medesimi locali sarebbe da ritenere abusiva. Ne consegue che il termine annuale di cui all’art. 34, comma 2 cit. dovrebbe essere calcolato a partire dalla data fissata nella procedura di sfratto e non da quella dell’effettivo rilascio; così ragionando, l’inizio dell’attività da parte della società CIFA, avvenuto il 17 giugno 2009, si collocherebbe ben oltre l’intervallo temporale imposto dalla legge, per cui l’indennità non doveva essere riconosciuta come dovuta.

6. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, oltre a motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria.

Osserva la società ricorrente che, ove pure si ammettesse che la s.n.c. Service express aveva una licenza fin dal 2002, la stessa non sarebbe opponibile in quanto non trascritta nel registro delle imprese.

7. I motivi terzo, quarto, quinto e sesto sono da trattare insieme, poichè tutti hanno ad oggetto il problema del riconoscimento dell’indennità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34.

7.1. Osserva il Collegio che i motivi terzo, quarto e sesto sono inammissibili, in quanto involgono profili e valutazioni di merito, già compiute dalla Corte anconetana con motivazione corretta e priva di vizi logici, non più esaminabili in questa sede. La sentenza impugnata, infatti, ha riconosciuto la sostanziale identità delle due attività svolte, nei medesimi locali, prima dalla società Service express e poi dalla società CIFA, e tanto ha affermato valutando la documentazione amministrativa proveniente dal Comune di Fano e le testimonianze ed affrontando anche il punto della presunta inammissibilità della documentazione prodotta.

Ne consegue che i motivi suindicati non possono essere esaminati, perchè ne risulterebbe alterata la natura del presente giudizio di legittimità.

7.2. Il punto in diritto che, al contrario, deve essere deciso è quello di cui al quinto motivo di ricorso.

La questione giuridica sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi riguarda l’interpretazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 2, secondo cui il conduttore ha diritto a percepire un’ulteriore indennità pari all’importo di quella di cui al primo comma – diciotto o ventuno mensilità a seconda del tipo di locazione in discussione – qualora l’immobile venga da chiunque adibito all’esercizio della medesima attività commerciale (o attività affini) esercitata dal conduttore uscente, “ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente”. In particolare, si chiede a questa Corte di stabilire se il termine annuale ivi previsto decorra dalla data fissata nell’eventuale provvedimento giudiziale che impone al conduttore il rilascio dell’immobile o, viceversa, dalla diversa data dell’effettiva consegna dello stesso. Ciò in quanto avviene di frequente, come nel caso in esame, che le due date non siano coincidenti.

Nella presente vicenda, la questione risulta essere stata posta fin dal primo grado (lo dice la Corte d’appello a p. 6-7 della sentenza) e poi riproposta in sede di gravame.

Osserva il Collegio che la questione non è nuova nella giurisprudenza di questa Corte, come dà atto la società ricorrente che, peraltro, non ha correttamente interpretato i precedenti richiamati. Ed infatti, l’attenta lettura delle sentenze 28 marzo 2003, n. 4701, e 25 luglio 2008, n. 20435, dimostra quale sia la corretta interpretazione della norma in questione. La pronuncia odierna, riprendendo e chiarendo meglio quanto nelle citate pronunce è stato già affermato, intende stabilire il principio secondo cui il termine annuale decorre non dalla data della cessazione del contratto decisa giudizialmente, bensì da quella nella quale effettivamente avviene il rilascio dell’immobile. Ciò in quanto è evidente che, fino a quando il conduttore permane nella detenzione del bene, il problema neppure si pone, giacchè nessuno può intraprendere nei medesimi locali alcuna attività. Soltanto nel momento in cui l’immobile torna nella reale disponibilità del locatore diventa possibile che si verifichi ciò che la legge ha inteso impedire, e cioè che il locatore stesso (come nella specie) o chiunque altro sfrutti l’avviamento del precedente conduttore per proseguire in proprio la medesima attività (v. anche la sentenza 16 maggio 2006, n. 11378). D’altra parte, la stessa espressione usata dalla legge (un anno dalla cessazione del precedente esercizio) dimostra la volontà di ancorare la previsione ad un dato di fatto.

La Corte d’appello ha, dunque, correttamente deciso, facendo decorrere il termine annuale dalla data del 28 agosto 2008 – momento in cui la società Service express restituì l’immobile – ed aggiungendo che la società CIFA aveva intrapreso nei medesimi locali un’attività del tutto simile a decorrere dal mese di giugno del successivo anno 2009; per cui ha riconosciuto il diritto della società Service express a percepire la contestata indennità aggiuntiva.

Da tanto consegue che anche il quinto motivo di ricorso deve essere rigettato.

8. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, in ordine all’ammissione di documenti tardivamente allegati.

Lamenta la società ricorrente che la documentazione prodotta dalla controparte con la comparsa di costituzione in appello non doveva essere ammessa, perchè la s.n.c. Service express avrebbe dovuto produrla in primo grado nelle udienze successive a quella nella quale la società ricorrente si costituì tardivamente.

8.1. Il motivo, ove non lo si voglia considerare inammissibile attesa la sua estrema genericità – atteso che non esplicita neppure di quali documenti si tratti e se gli stessi siano stati messi a disposizione di questa Corte – è comunque infondato, avendo la Corte d’appello collegato l’ammissibilità della produzione documentale alla tardività della costituzione della controparte.

9. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a regolare le competenze professionali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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